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La religione del modello

No, per il momento non abbiamo deciso di trasformare CM in un atelier di alta moda. Ci dedicheremo oggi ad un altro tipo di modello, molto più conosciuto dai nostri lettori: il modello matematico. Ne abbiamo parlato centinaia di volte, oggi però vorrei affrontare con voi un discorso più generale. Non ci focalizzeremo su un modello climatico in particolare o sul modello climatico tout court, cercheremo invece di capire l’effettiva utilità di un modello matematico, delle sue potenzialità e ci metteremo dentro anche un po’ di storia della matematica.

In particolare, vedrete, del modello matematico approfondiremo l’utilizzo che se ne fa per ottenere previsioni a breve e medio-lungo termine. Per far questo ci viene in aiuto un ottimo testo, che consiglio a tutti: “Useless arithmetic: Why Environmental Scientists Can’t Predict the Future”1, in calce trovate i riferimenti.

Nel testo troviamo un interessante aneddoto. Il responsabile capo per la pianificazione della guerra del Vietnam, Robert McNamara, quando ormai la guerra volgeva alla sconfitta, venne chiamato alla Casa Bianca e fu appunto aggiornato sul probabile esito nefasto della campagna militare. Questa la risposta di McNamara:

Where is your data? Give me something I can put in a computer. Don’t give me your poetry

Ovvero: dove sono i vostri dati? Datemene qualcuno, così posso metterli in un computer.

Certo, la guerra del Vietnam non è stata persa per questo motivo, o meglio non solo per questo. Infatti il modello matematico era preposto a prevedere il numero di vittime vietnamite in base alla tipologia di bombardamento (terreno, esplosivo ecc). Le cause che concorrono a rendere fallace un modello matematico sono le seguenti:

  1. Gli obiettivi politici, che inquinano il modello in sè (non è importante se funziona, ma è importante che dica quello che la politica vuole sentir dire);
  2. Le domande errate. Porre una domanda scorretta vuol dire, probabilmente, far percorrere al modello una strada sostanzialmente inutile;
  3. Verifica dei risultati. Se nessuno controlla il risultato del modello, con un confronto diretto con il mondo reale, difficilmente possiamo immaginare la performance di quel modello.

Come ormai ben sappiamo, abbiamo versato fiumi di inchiostro digitale sull’argomento, esistono fondamentalmente due tipologie di modelli matematici: quelli quantitativi e quelli qualitativi. Il primo tipo di modello serve proprio a fare previsioni: oggi vogliamo conoscere la quotazione di un titolo, la settimana prossima. Oppure: di quanti centimetri crescerà il livello del mare entro il 2020? Domande precise, risposte precise.

I modelli qualitativi, invece, hanno uno scopo più scientifico, se così si può dire: sono strumenti che aiutano il ricercatore a indagare un particolare fenomeno e, piuttosto che dirci quanto, il modello ci aiutare a scoprire perchè e magari come. Per esempio: cosa succederà al sistema economico se introdurremo una carbon tax? La temperatura media globale aumenterà o diminuirà? Se dovessero aumentare le piogge, cosa succederebbe al versante della montagna XYZ?

Ecco, questa è la fondamentale differenza. Per inciso esistono tanti altri tipi di modelli, per esempio quelli di tipo stocastico (anche di questi abbiamo parlato lungamente su CM), e poi abbiamo i modelli matematici che simulano (o provano a simulare) un particolare fenomeno (un uragano, un’esplosione nucleare).

Sono certo che leggendo queste righe, gli attenti lettori, abbiano già individuato i possibili problemi insiti nella modellizzazione matematica della realtà, ma se credete che i rischi di un errore concreto, intendendo per tale un errore che possa minare dalle fondamenta una teoria, siano remoti, vi sbagliate. A volte, la fiducia in questi strumenti quantitativi è tanta e tale che non ci si accorge del cul-de-sac nel quale si è finiti.

Un esempio illuminante, e celeberrimo, in tal senso ce lo consegna Lord Kelvin (sì, proprio il Kelvin della scala termometrica). Nel XIX secolo fu un eminente fisico. I suoi accurati studi sulla termodinamica lo spinsero a indagare l’età della Terra. Ipotizzando di poter applicare le leggi della termodinamica al nostro pianeta, ed ipotizzandone un raffreddamento graduale, Kelvin risalì al momento X, all’istante della creazione del nostro pianeta. Sì, in un periodo compreso tra 20 e 40 milioni di anni fa. In quegli anni si faceva avanti la teoria evoluzionistica di Darwin e, a quel punto, la sincrasia tra le due ipotesi si rese subito evidente. Dire che fossero entrambe ipotesi è in realtà sbagliato. Perchè la posizione di Kelvin emergeva da un calcolo matematico, e quindi era di certo considerata più forte, al punto da rallentare per anni l’avanzamento scientifico della ricerca geologica e aprendo un (inutile) fronte di dibattito con il darwinismo.

E’ chiaro che in questa sede non ci interessi calcolare l’età della Terra. Ciò che importa, ai fini del nostro ragionamento, è che un modello fisico-matematico corretto (le leggi su cui si fondava sono assolutamente universali!), tuttavia fondato su ipotesi estremamente errate e fallaci, non può che portare ad un risultato errato. E invece no. Dal  momento che c’è dentro la fisica e la matematica, lo si prende per buono, senza troppi problemi critici. E ripeto, succede. Vedasi appunto Kelvin, 200 anni fa, ma anche il più recente e preoccupante McNamara.

Un altro esempio? Le previsioni del Club di Roma, raccolte nel famigerato “Limits to Growth”. Prima di procedere un piccolo disclaimer: viste le accuse e gli insulti che ho ricevuto l’ultima volta che ne ho parlato, ci tengo a precisare che sto commentando un libro edito dalla Columbia University. Il modello matematico utilizzato, World III, è estremamente complesso, altro che il modello di Lord Kelvin. Tuttavia, sempre di modello matematico si tratta. Un modello fatto da 150 righe di codice che cerca di modellizzare il funzionamento del mondo (sistema ecologico ed economie comprese). Insomma, per il run più pessimistico dovremmo essere in ginocchio già dal 2000. Lo dico a favore dei sostenitori di questo modello: esistono anche altri run, meno pessimistici.

E così via, gli esempi si sprecano e vanno dalle modellizzazioni errate fatte sull’HIV, agli evidenti problemi negli algoritmi utilizzati a Wall Street (argomento di tragica attualità), agli errori previsionali in ambito meteorologico (ma di questo ne parleremo tra poco).

Per tanta altra interessante casistica, vi rimando al libro “Useless arithmetic”. Sono rimasto sinceramente stupito dal problema di Yucca Mountain, sito di stoccaggio delle scorie nucleari americane. Pare che sia stato elaborato un modello che tenti di prevedere cosa accadrà al sito nei prossimi, diciamo, 100mila anni? Non sto a ripercorrere tutta la vicenda, la trovate sul libro, ma mi piace riportare qui il costo complessivo dell’operazione: 4 miliardi di dollari. Non è mia intenzione aprire un fronte di discussione sull’energia nucleare. La domanda è: con quei 4 miliardi di dollari investiti nella ricerca di questo modello, cosa si è ottenuto? La certezza che tra 100mila anni succederà questo o quello? Un range di certezza, diciamo con una approssimazione del 5%, che accadrà questo o quello? Il 10%? Chi lo può realmente sapere?

Un fisico danese, Per Bak, afferma:

Non prevedere, cerca di adattarti.

L’approccio modellistico tanto in voga negli ultimi decenni, invece, si muove in una direzione completamente opposta. Prevedere. Ottimizzare. Modificare.

E il clima? In fondo siamo su Climatemonitor, stiamo parlando di modelli matematici, quando arrivano i modelli climatici, vi starete chiedendo? Ebbene, in questa occasione non ne parleremo. Accenno solo al fatto che i modelli climatici possono essere sviluppati con un approccio bottom-up: si modellizza un fenomeno su scala locale e poi ci si muove su scala planetaria. Oppure con una metodologia top-down: si modellizza il pianeta, e poi si scende su scala geografica locale.

Alla fine di questo lungo elenco di fallimenti modellistici, cosa possiamo dire? I modelli matematici, servono a qualcosa o meno? Uno dei motivi principali di fallacia, è dato dalla cattiva qualità della modellizzazione stessa. Ovvero, non ho capito il fenomeno, lo voglio descrivere, ma utilizzo un modello creato su una comprensione parziale se non del tutto errata. Questo, se possibile, è l’errore più triviale. C’è invece un problema più serio: la precisione dei dati utilizzati. In questo senso non intendiamo solo l’accuratezza del rilevamento e/o del campionamento, ma anche la vera e propria manipolazione dei dati. Spesso si parte con grandezze fisiche che, una volta sottoposte alla statistica, diventano semplicemente scatole vuote e prive di senso.

Abbiamo poi la dipendenza dei modelli dalle condizioni iniziali (ne parla qui su CM, Macrini), e tante altre sfaccettature.

Come se ne viene fuori, da questo delirio di onnipotenza matematica? Come suggerisce lo stesso Pilkey, ci vuole un cambiamento completo nel nostro modo di affrontare i problemi. La scienza deve smettere di utilizzare i modelli matematici, o meglio deve smettere di guardare ai modelli come ad un film che andrà sicuramente in onda al momento X. L’approccio attuale di cercare di quanti metri si innalzerà il livello del mare, è sbagliato. Perchè la scienza non ammette una previsione di un innalzamento del livello marino con una probabilità di accelerazione? L’approccio che ci porta a dire che tra 100 anni avremo un aumento di temperatura pari a 6°C, è sbagliato. Che problemi ha la scienza odierna nell’accettare una previsione di temperature genericamente crescenti, con possibili alti e bassi? Che informazione in più ci da, sapere che tra 100 anni la temperatura sarà di 6°C superiore? Oltre al fatto che sia impossibile saperlo, perchè i modelli non sono in grado di dircelo. Che supporto da all’avanzamento generale della conoscenza?

Al contrario, fondare le proprie politiche, ciecamente, sui modelli matematici, a quali giganteschi errori e problemi può portare, se il modello si rivela errato?

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  1. Useless Arithmetic: Why Environmental Scientists Can’t Predict the Future; Orrin H. Pilkey and Linda Pilkey-Jarvis; ISBN: 978-0-231-13213-8 []
Published inAttualitàClimatologiaEconomia

22 Comments

  1. Karlo

    Sette di mattina o giù di lì, nebbia. Ieri, nebbia. Però… mentre guido mi viene in mente: già, ma il moto browniano? Perché le goccioline di nebbia, animate dal loro moto casuale, dovrebbero andare a sbattere tra di loro, formando gocce più grosse che poi cadono. Detto fatto, ho cercato di creare un modello matematico che mi dicesse quanto tempo ci sarebbe voluto per raddoppiare la visibilità. Il modello era piuttosto rozzo ma in un secondo tempo avrei potuto riformularlo meglio.
    Mi pare di ricordare che il modello mi dava come risultato una ventina di milioni di anni… mi sono perso il file, non ricordo la cifra esatta: lo cercherò tra dieci milioni di anni.

  2. Guido è un uomo di Scienza, ma ha il cuore del poeta.
    Le sue teorie hanno sempre base scientifica, ma il suo modo di formularle ed esprimerle non si allontana mai dai canoni dell’ars poetica, che ha per principio il comandamento di farsi capire da chiunque. Chi ha capacità scientifiche comprenderà il valore scientifico delle sue parole, chi non le ha, come me, magicamente ne farà tesoro per affinare il suo spirito.

  3. duepassi

    Servono i modelli matematici ?
    [ So bene che i modelli sono complessi (ma non abbastanza, a volte, rispetto alla realtà che pretendono di rappresentare), ma qui mi interessa mostrare dei concetti, e quindi cercherò di semplificare al massimo. Pur essendo questo un sito frequentato da persone esperte e competenti, il mio discorso non vorrebbe perdere di vista coloro che hanno professionalità di tipo non tecnico, o non specifico del campo climatologico (come me stesso, per esempio). ]

    La mia risposta è si, i modelli matematici servono.
    Ma devono essere usati per quel che sono.
    Usereste una formula di una parabola per calcolare un’ellisse ?
    Sempre coniche, sono, ma se la vostra traiettoria è un’ellisse, creare un modello a computer mettendoci dentro
    y = ax2 + bx + c
    vi porterebbe fuori rotta.
    Quindi, non vendete il computer, non è colpa sua. Usate il modello giusto, metteteci i dati giusti, e la risposta sarà quella giusta.
    Sempre ?
    Questo non posso garantirlo, ma dipende dal modello che usate e dalla realtà che volete rappresentare.
    Se volete rappresentare una ellisse, una formula che potrebbe andar bene è questa:
    x2/a2 + y2/b2 = 1
    Ma se volete rappresentare il moto della Terra, potete forse trascurare la presenza, per esempio, di Giove e Saturno ?
    Mettiamoci in un campo più semplice, la descrizione di una retta.
    y = mx + q
    Ok, la metto nel mio computer, e chiamo il mio modello LPC (Linear Predictive Coding), un nome a cui sono affezionato.
    Che retta potrebbe essere ?
    Per esempio quella del trend dell’aumento globale medio di temperatura.
    Allora, supposto che io calcolassi la pendenza “m” del trend (quella che Al Gore voleva seguire coll’ascensore), e l’intercetta con l’asse delle ordinate “q” (ovvero la temperatura globale media iniziale), potrei prevedere ogni valore globale medio della temperatura, in qualsiasi istante di tempo futuro o addirittura precedente a quello iniziale (possibilità di prevedere il “passato”, o, se preferite, di “verificarlo”).
    Tutto questo però poggia sull’assunto che il trend sia una retta, e che continui ad esserlo in futuro.
    Se restringiamo opportunamente l’intervallo di osservazione di un fenomeno fisico, c’è un momento in cui possiamo approssimare qualsiasi curva ad una retta. E’ così che qualcuno mi ha dimostrato che l’atmosfera è piatta (nei limiti della normale approssimazione che si usa, dice, nei centri di ricerca).
    Ma se poi allarghiamo i limiti dell’intervallo, non possiamo più pretendere che valga ancora la nostra approssimazione, e i valori reali potrebbero discostarsi da quelli forniti dal modello anche in maniera drammatica.
    Inutile piangere se vi accorgete che la Terra non rimane piatta a lungo. Dovete farvene una ragione.
    E allora, dei modelli che funzionano nei limiti di pochi giorni, vale la pena comunque di usarli, ma non per far previsioni a cent’anni.
    “Ma funzionano, li usiamo con profitto !”…certo, in quei limiti.
    Quella famosa retta, magari è davvero approssimabile ad una retta, ma in un piccolo intervallo, come può essere approssimata ad una retta una opportunamente piccola porzione di parabola, di ellisse, di superficie terrestre.
    Un uomo cammina a Roma. Il suo percorso può essere approssimato ad una retta, per un certo tratto. Non basta sapere che sta andando ad ovest per sapere che arriverà al mare e poi, a nuoto, in Sardegna. Molto più normalmente ad un certo punto girerà. Così fa anche il clima, e la temperatura globale media, che non si capisce perché dovrebbe salire sempre, come quell’uomo che arriva in Sardegna. Non servirà dunque che si convincano le genti a tassarsi per costruire un costosissimo passaggio (ricordate Mosé?) che congiunga il Lazio con la Sardegna, per salvare l’uomo prima che cada a mare. E chi vuole capire, capisca.

    Secondo me.
    Guido Botteri

    • Ormai in pieno delirio da FB, stavo cercando il pulsante “MI PIACE”. Ah già, ma siamo su CM. Poi però, a ripensarci bene… l’ho messo l’altra sera (guardare in basso per credere, nella toolbar)…

      In altre parole, quoto l’amico Guido Botteri (alias duepassi), mi piacciono molto i suoi esempi.

      CG

    • Il suo è un sunto di scienza ragione e buon senso. Grazie

      …cerco anch’io il pulsante “mi piace”…..

  4. agrimensore g

    Innanzi tutto mi complimento per l’articolo.
    Poi vorrei sottolineare il punto (3), la verifica di risultato. Secondo me, il principale pericolo dei modelli è suppore che quando essi riescono, più o meno bene, a simulare i dati passati (quelli su cui sono stati costruiti), allora sono pronti per l’uso. Questo sarebbe un errore. I modelli andrebbero testati con i dati futuri, non con quella passati, prima di dire che funzionano. Sembra, ed in effetti è, una banalità, ma quando si ha a disposizione uno strumento tecnologicamente avanzato, la tentazione di saltare il passo “sperimentale” è forte.
    Insomma, come per qualsiasi teoria, la bontà di un modello, in qualsiasi disciplina, si dovrebbe valutare misurando la sua capacità predittiva. E’ vero che esistono dei modi per fingere che il “passato” sia “futuro” per il modello, ma hanno dei limiti precisi, a volte, mi pare, sottovalutati.
    Comunque, come insegnano i commenti sopra, in realtà anche il test dei modelli più facilmente confrontabili con la realtà, non si può esaurire in breve tempo…

  5. fufo1959

    Mi chiedo quali titoli possa vantare il Gravina per poter mettere in dubbio il lavoro di tutti gli scienziati che stanno dandosi da fare per rispondere a domande estremamente complesse ed importanti. Conosce forse il Gravina un linguaggio diverso da quello della matematica per descrivere il mondo? glielo suggerisce direttamente il nostro creatore? se è così ce lo comunichi, saremo lieti di impararlo.

    • Non si ponga troppe domande, per il resto, sono contento che su quattro commentatori, solo uno, lei, ha dimostrato di non aver compreso davvero nulla di quanto è stato scritto. Se poi è qui per fare del sarcasmo, va bene, divertiamoci tutti insieme.

      Saluti.

      cg

    • fufo1959

      non si preoccupi non mi pongo domande. C’è ben poco da chiedersi, visti i contenuti. Cmq ho stampato l’articolo ne farò buon uso.
      saluti

  6. Giuseppe Serra

    Gravina, la ringrazio per avermi ricordato, suppongo nelle sue vesti di amministratore del blog, che non ho il diritto di fare domande, e che non pensava a me in quel disclaimer inserito nel pezzo, in particolare alla luce di questo nostro passato scambio di battute

    http://www.climatemonitor.it/?p=4044

    Prenoterò al più presto una visita dal mio otorinolarigoiatra.

    Distinti Saluti

    Giuseppe Serra

    • Ricordo molto bene lo scambio di battute. Probabilmente è stato quello a innescare le successive mail che ho ricevuto che, per correttezza di cronaca, lo sottolineo, non mi ha spedito lei. Ecco a cosa mi riferivo. Ne ho già anche parlato di striscio altre volte sul sito, ma mi rendo conto che la sua attenzione si desti solo nel momento in cui compare la parola chiave “club di roma”. Tant’è.

      Saluti,

      CG

      PS: eh no, non scrivevo in qualità di admin, cosa che rendo sempre ben individuabile e mai dubbia… Come admin, adesso, la invito ad aggiungere qualcosa di interessante sui modelli matematici, altrimenti scivolerà troppo nell’OT, diluendo troppo i precedenti ed interessanti interventi. Grazie per la fattiva collaborazione.

    • Giuseppe Serra

      Eventualmente “Limits to growth”, Gravina, non “Club di Roma”, del quale non ho mai parlato. Così quello che voleva essere un pungente commento si trasforma nella prova che lei continua a confondere fatti, persone e ideologie.

      Mi dispiace deluderla ma non credo di poter esprimere commenti particolarmente arguti sui modelli matematici. Quando servono li uso, conscio dei loro limiti. Il problema è l’uomo che esige risposte, non il computer o l’astrologo che le forniscono.

      Distinti Saluti

      Giuseppe Serra

    • Ok, quando ha ragione, ha ragione.

      Ricordo molto bene lo scambio di battute. Probabilmente è stato quello a innescare le successive mail che ho ricevuto che, per correttezza di cronaca, lo sottolineo, non mi ha spedito lei. Ecco a cosa mi riferivo. Ne ho già anche parlato di striscio altre volte sul sito, ma mi rendo conto che la sua attenzione si desti solo nel momento in cui compare la parola chiave “Limits to growth”. Tant’è (x2)

      Per il resto, i suoi interventi sono di una vacuità imbarazzante. Se vuole parlare di modelli matematici, qui è il benvenuto, altrimenti l’aspetto in uno dei prossimi articoli sul suo tema preferito.

      Buona Domenica.

      CG

    • Giuseppe Serra

      Nel volgere di poche ore i miei “interessanti interventi” sono divenuti “di una vacuità imbarazzante”. Non credo di poter prendere seriamente il suo invito alla discussione.

      Distinti Saluti

      Giuseppe Serra

    • diluendo troppo i precedenti ed interessanti interventi (degli altri lettori, nda).

  7. Giuseppe Serra

    Egregio Gravina,
    per prima cosa, sentendomi fischiare le orecchie, le chiedo di specificare chi l’abbia insultata, quando e in quali termini, certi comportamenti sono da biasimare.
    Poi, che l’editore sia la Columbia University Press è del tutto ininfluente, e trovo curioso che tale precisazione venga fatta in un blog che da tempo conduce una campagna contro l’attuale sistema di peer-review.

    Entrando nel merito, cito dei brevi tratti da pagina 31.

    “The document argued that population growth and pollution from industrial expansion were leading to total exhaustion of natural resources and massive environmental destruction. It predicted that catastrophes would begin by the year 2000.”

    Nella peggiore delle ipotesi si parla del 2015, non prima.

    “There were many problems with the model. It treated the earth’s mineral reserves as fixed and unchanging. This decidedly static view of economics and unhistorical understanding of human creativity held that we would run out of oil according to a time schedule calculated from what was then known about reserves and production methods. It ignored the possibility of additional major oil discoveries, advances in petroleum exploration and extraction technology, and the possible contributions of nuclear, solar, or wind energy sources.”

    Le riserve non sono fisse e immutabili, gli autori non capiscono la differenza fra riserve e risorse, e non è nemmeno vero che non si tiene conto dei progressi tecnologici.

    “The model also assumed that food production per unit of land area would remain steady.”

    Falso.

    Non stupirà scoprire che fra i riferimenti per il secondo capitolo NON figura il libro “The limits to growth”, in nessuna delle sue tre versioni (1972, 1992, 2004), evidentemente l’abitudine a parlare di cose nelle quali si è ignoranti non risparmia gli accademici, ma questa in fondo non è una novità.

    A suo tempo un commentatore aveva suggerito la lettura di un articolo, mi permetto di segnalarlo nuovamente.

    A comparison of The Limits to Growth with 30 years of reality
    Graham M. Turner
    Global Environmental Change
    Volume 18, Issue 3, August 2008, Pages 397-411

    Distinti Saluti

    Giuseppe Serra

    • Egr. Serra, gli acufeni possono essere sintomi di patologie anche gravi, non li sottovaluti.

      E soprattutto, che diritto ha di venire qui e chiedere di specificare una cosa piuttosto che l’altra, quando il fatto non la tocca nemmeno lontanamente? Le ho risposto per educazione, perchè a ben vedere io non l’ho citata e quindi non vedo proprio quale tipo di delucidazione dovrei darle.

      Saluti,
      CG

  8. Bruno Stucchi

    Il peggior modello, forse in assoluto, è quelo usato dagli “epidemilogi” inglesi quando scoppiò il caso della mucca pazza, ricordate?
    Intorno al 1995 il loro perfetto modello decretò che, tempo dieci anni, i malati di mucca pazza sarebero stati circa 80000 (ottantamila). Nel 2005 in UK i casi accertati erano circa 80 (ottanta). Ricordo che ci fu, poco dopo 1l 2005 un “congresso” (te pareva!) per discutere dela clamorosa buca. Non ricordo quali furono le conclusioni nei dettagli, ma fondamentalmente si accusò il presunto agente della malatia (il prione) di non aver letto le istruzioni del loro perfetto modello e di non essersi comportato adeguatamente. Insomma, il prione era unfair, e quindi squalificato. Gli autori del modello in questione fecero comunque brilante carriera.

  9. Ringrazio Donato e Giovanni per gli interessanti interventi, che mi danno lo spunto per ulteriori riflessioni.

    Innanzitutto mi rivolgo a Donato, che è un ingegnere, ce lo dice lui stesso. Ebbene i modelli matematico-fisici che utilizza Donato devono per forza di cose restituirci un numero preciso (guai se non fosse così!), si tratta di modelli quantitativi. Per Donato un millimetro di tolleranza o qualche chilo di differenza nei carichi di un solaio o un pilastro, fanno la differenza. Da quel punto di vista i modelli discreti hanno raggiunto una affidabilità estrema, anche se mi piace ricordare che per fortuna abbiamo persone come Donato che i numeri, poi, se li controllano con l’esperienza. Anche questo tipo di modelli può errare, certo, e mi pare che l’errore possa essere fatto risalire al punto 2) dell’elenco. Altro discorso per i modelli previsionali, soprattutto a scala temporale più lunga. Una verification dei risultati non è possibile, quindi andare a spaccare il centesimo non è altrettanto utile. Inoltre sappiamo benissimo, per i limiti intrinseci dei modelli complessi, che un centesimo adesso, tra 50 anni e tra 100 assume significati completamente diversi (e inutili da indagare).

    Cerco di rispondere anche a Giovanni.
    I modelli che cercano di rappresentare i sistemi naturali sono tendenzialmente qualitativi, ma possiamo avere anche i modelli previsionali (gli stessi modelli meteorologici, ma anche modelli particolari su specifici sottoinsiemi, ad esempio per gli uragani, o per modellizzare un tornado). Sono modelli deterministici che sicuramente partono da una attenta osservazione del fenomeno, e quindi si fondano su regole fisiche certe. I sistemi socio-economici (che poi sono quelli di cui mi occupo io) possono rientrare sia nel modello quantitativo che in quello qualitativo. Per esempio nel mondo della finanza i modelli sono stocastici. I modelli che cercano di rappresentare fenomeni sociali sono certamente qualitativi.

    Ringrazio nuovamente Giovanni e Donato per aver condiviso le loro interessanti esperienze.

    Buona serata,
    Claudio Gravina

  10. Giovanni

    100% d’accordo con l’articolo. In breve la mia esperienza da geologo: anche in questo campo i modelli falsi abbondano e creano poi non pochi problemi. Il punto é che ad ex per la geologia per fare degli studi sul territorio ci va tempo, fatica, sudore, si corrono rischi fisici e qwuant’altro. Molto piu comodo campionare in fretta un po di cose ( rocce fossili ecc) e poi fare migliaia di analisi con strumenti sofisticati tipo SEM EDS Xray ecc che permettono di acquisire migiaia di numeri. Dpodic he basta metterli in un bel programma di computer et voilà fatto lo studio il modello e quant’altro. La scienza non funzionava cosi decenni fa, ma oggi si deve pubblicare a ripetizione e non ci si puo permettere di mandare avanti degli studi per anni senza (pseudo)risultati
    una riflessione:
    come deve essere considerato il concetto di MODELLO in natura e in un sistema antropico?. In un sistema antropico si fa un modello per ad esempio una rete di trasporti, di tubazioni, di distribuzione elettrica. Si fa un modello per lo sviluppo di un’azienda, per la gestione di una risorsa ecc. Questi modelli vengono in genere e soprattutto in economia utilizzati proprio come modello di riferimento per sviluppare ampliare gestire qualcosa.
    Un modello di un sistema natuale é un po diverso e forse qui qualcuno di voi ne saprà qualcosa. Un modello geologico ad esempio é un modello che cerca di rappresentare in maniera semplificata ma esaustiva una serie di eventi in un determinato luogo. Si puo fare un modello geologico per un sistema vulcanico, per una montagna, per un versante, per una frana. Il punto é che questo modello é applicabile a quel caso specifico, ma non dev’essere applicato ad un caso apparentemente simile ma in un luogo diverso. Il modello per un vulcano come l’etna sarà diverso per il Vesuvio o per lo Stromboli o per i vulcani islandesi, perché tutti questi vulcani sono diversi fra loro e diversi sono i meccanismi che regolano le modalità e i tempi delle loro attività. Al giorno d’oggi purtroppo si fanno grandi modelli che spiegano tutto in dettaglio e poi si applicano indiscriminatamente a tutti i casi apaprentmente simili, aiutati dai computer e dai GIS poi si riescono a fare previsioni molto verosimili ma completamente false, si creano dei film “fantascientifici” facendoli passare per documentari della realtà. E rispetto alle previsioni del tempo e del clima forse ne sapete piu di me..

  11. Donato

    Articolo veramente lodevole. Buona parte del mio lavoro è basato su modelli matematici. Pensare che i modelli da me creati possano generare risultati errati mi fa scorrere un brivido lungo la schiena: se i modelli matematici da me utilizzati dovessero avere le caratteristiche illustrate nell’articolo, di quì a qualche anno potrei trovarmi sulla coscienza qualche centinaio di morti e svariate centinaia di feriti più o meno gravi. Progetto case. Le strutture portanti di un edificio, per il comune mortale, sono travi, pilastri, solette. Per me sono sistemi di equazioni lineari e matrici: cioè un modello matematico complicato da valutazioni probabilistiche delle grandezze fisiche che entrano nel modello (resistenza dei materiali ed entità dei carichi da applicare sulle strutture). Per mia fortuna si tratta di modelli matematici ampiamente testati e collaudati che, fino ad ora, non hanno dato grandi problemi. Almeno quando usati in condizioni, diciamo, standard. Concordo pienamente con il dott. Gravina in merito all’importanza della conoscenza delle grandezze fisiche che vengono introdotte nel modello. Noi ingegneri siamo perfettamente coscienti della fallacia di certe nostre conoscenze e per questi motivi facciamo ricorso ai famigerati “coefficienti di sicurezza”: essi sono una misura della nostra ignoranza. Siamo, inoltre, perfettamente coscienti della distanza che separa il modello fisico (da cui deriva il modello matematico) dalla realtà. In altre parole utilizziamo dei modelli matematici, però, teniamo conto di tutta una serie di incertezze cercando di operare lontano dalle condizioni border-line che potrebbero crearci dei problemi. Diciamo che progettiamo strutture un po’ più grandi di quello che ci dicono i modelli matematici: fidarsi è bene, però….
    Anche la branca di cui mi occupo è ricca di episodi poco edificanti. Ponti crollati perché i modelli matematici non tenevano conto delle raffiche di vento e del problema della risonanza (ignoranza di una parte del problema). Navi colate a picco perché non erano ben note le grandezze fisiche inserite nel modello (vedi Titanic). Terminal aeroportuali crollati perché il modello matematico è stato “tirato” al punto tale che le dimensioni strutturali sono andate a finire in quella regione border-line di cui ho parlato qualche riga fa. Durante il mio lavoro quotidiano cerco sempre di tener presente l’insegnamento di un mio vecchio insegnante di Scienza delle Costruzioni: cercate di realizzare strutture che abbiano grosse riserve di sicurezza anche se più costose. In un certo qual modo è come se mi avesse detto “non prevedete, adattatevi”.
    Ancora complimenti, Donato Barone

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