Salta al contenuto

E intanto piove

Negli ultimi tempi sono apparsi molti articoli in cui una parte della comunità scientifica, quella più coinvolta nel sostegno all’ipotesi AGW, si è lamentata di essere stata oggetto di attacchi ingiustificati sulla credibilità e consistenza della preoccupazione così frequentemente espressa circa i destini climatici di questo pianeta. Sono stati fatti alcuni errori, cui forse si è dato troppo peso, ma forse no.

Il passo falso più clamoroso, se vogliamo, è stato quello sulla previsione di definitivo scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya, l’unico in effetti per il quale sono arrivate delle scuse ufficiali dal presidente dell’IPCC. Ma ce ne sono stati anche altri, presumibilmente animati dalle stesse intenzioni, o comunque causati dallo stesso modo di agire alquanto discutibile, che forse poco si confà ad una organizzazione sovranazionale che dovrebbe essere rappresentativa di tutte le opinioni scientifiche e non solo di una parte di esse, né dovrebbe avvalersi più di tanto del supporto di altre organizzazioni dichiaratamente schierate che in realtà, pur se legittimamente, rappresentano solo se stesse.

Tra questi quello giornalisticamente definito “Amazongate”. Si tratta, in analogia con quanto accaduto per i ghiacciai dell’Himalaya, di un allarme lanciato sul probabile collasso della foresta amazzonica in ragione di un mutato regime delle piogge. Sembra che le fonti di questo allarme non fossero propriamente scientifiche. O forse lo erano, non lo so. Fatto sta che ora il Sunday times pubblica una ritrattazione, ammettendo di aver sbagliato a giudicare negativamente quella specifica parte dell’ormai celeberrimo 4° Rapporto dell’IPCC.

Il mea culpa è chiaro ed incontrovertibile, ma, a mio modestissimo parere, vale tanto quanto il precedente articolo che aveva sollevato la questione. Si stanno facendo soltanto delle inutili polemiche, sarebbe meglio, molto meglio, guardare semplicemente ai fatti.

Il timore è che se dovessero diminuire le piogge, la foresta amazzonica potrebbe subire una profonda mutazione dei suoi ecosistemi, con tutte le inimmaginabili conseguenze che si possono immaginare. Questa è una ipotesi, non una teoria, scaturisce dagli output di alcuni modelli di simulazione. Come confutarla? Forse potrebbe aiutare a capirci qualcosa controllare se, con un aumento di sette decimi di grado delle temperature medie superficiali globali, sia possibile riscontrare almeno un iniziale mutazione nel trend delle precipitazioni di quella zona. Se così non dovesse essere, qualsiasi illazione circa ciò che potrebbe accadere in futuro è priva di fondamento fino a prova contraria.

Visto che si parla sempre di “evidenze”, vediamole.

Quattro dataset, una sola storia. Negli ultimi cento anni non c’è stata alcuna variazione nel regime delle piogge per quella porzione del mondo. Le piogge sono stabili, non ci sono segnali di eccessi o di deficienze, non c’è alcun trend, non c’è proprio niente. Bene, prendiamo per buoni gli scenari descritti dai modelli e consideriamoli per quello che sono, dei sofisticati elaboratori di ipotesi e basta. L’allarmismo, una volta di più non è giustificato.

NB: da WUWT.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inIn breve

Sii il primo a commentare

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »