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I quattro del clima selvaggio

In un celebre film del 1978, Richard Burton, Roger Moore, Richard Harris ed Hardy Krüger sono quattro mercenari, assoldati da una compagnia mineraria britannica per liberare un noto politico democratico africano tenuto prigioniero da un dittatore locale, al fine di ribaltare il governo di quel paese ed ottenere alcune importanti concessioni1. Le cose però non andarono per il verso goiusto, perché i quattro vennero traditi nel corso della missione, quando il proprietario della compagnia raggiunse un vantaggioso accordo con i rappresentanti del suddetto dittatore. In questo bel film sono presenti tutti gli ingredienti delle guerre che dilaniarono l’Africa post-coloniale: la mancanza di governi democratici e dediti agli interessi della popolazione; le ricchezze minerarie e l’avidità dei governi e delle compagnie straniere (non solo occidentali, è bene ricordarlo); i conflitti inter-etnici, l’apartheid ed i mercenari. Diversi altri film, meno famosi, precedenti o successivi, hanno ripercorso le stesse tematiche; lo stesso, per i palati più raffinati, molti libri più o meno famosi.

Evidentemente, però, più o meno tutti si sono dimenticati in tanti anni di un fattore fondamentale: il cambiamento climatico. A ricordarcelo è intervenuta una ricerca, pubblicata nel novembre 2009 dal PNAS2,3, in cui viene stabilita una “robusta correlazione” tra gli anni più caldi e la probabilità di avere maggiori conflitti, dal 1400d.C. ai giorni nostri.

Essa cerca immediatamente, come giusto, di prevenire eventuali critiche fornendo i criteri alla base di tale conclusione. Innanzitutto, il fatto che l’economia africana sia in larga parte basata sull’agricoltura e che conosca anni di migliori e di peggiori raccolti a seconda delle condizioni meteorologiche annuali. Vi è poi, ovviamente, una certa parte dedicata agli studi paleo-climatici, dove viene tra l’altro stabilito come gli anni caldi spesso coincidano con anni secchi e quindi peggiori raccolti, da cui derivano maggiori conflitti (suggesting that earlier findings of increased conflict during drier years might have been partly capturing the effect of hotter years). Non vengono esclusi i fattori sociali e politici, e viene anche fatto un accenno all’incertezza che possono presentare simili studi: tuttavia rimane la ferma assunzione che, ad anni più caldi, corrispondano più conflitti e quindi più morti. Viene anche fornito uno scenario dal 2003 al 2030, in cui tali conflitti dovrebbero aumentare del 54%, e le morti in combattimento4 di 393mila unità (non una di più, non una di meno).

Questo studio ha sollevato più di qualche perplessità. Innanzitutto, esso pare ribaltare una delle assunzioni più importanti della paleo-climatologia africana: a periodi di anni più caldi non corrispondono anni più secchi, ma anzi più piovosi in praticamente tutto il continente5. Inoltre l’argomento collegava in maniera quantomeno leggera argomenti geopolitici ed antropologici con quelli climatici. E infine, esistevano già diversi testi e ricerche su tali argomenti, ed una simile correlazione non era mai apparsa così fondamentale. Si prenda ad esempio l’ottimo libro di John Reader, Africa. Biografia di un continente, in cui vengono affrontati tutti questi argomenti, compresa la storia climatica africana, che dall’ultima glaciazione ad oggi ha visto coincidere i periodi più caldi con i più piovosi, ed i periodi più freddi con i più secchi6. Gli autori della ricerca dovettero dunque già presentare una propria difesa alle prime critiche, nel giugno 20107.

E’ invece appena uscito un nuovo studio, sempre presso il PNAS, che confuta completamente le conclusioni sopra descritte8. In esso, il professor Halvard Buhaug, del Peace Research Institute Oslo’s Centre for the Study of Civil War, dichiara chiaramente che: c’è stato probabilmente un equivoco sia nella definizione di “conflitto” applicato alle lotte intestine africane, sia in quella di “clima”; non sembra esserci alcuna chiara correlazione tra l’incremento della temperatura e l’incremento del rischio di conflitti; che le suddette guerre sono invece ben spiegate dalle disparità ed instabilità economiche, dalle tensioni etniche, dalla storia politica; che, in assenza di evidenze scientifiche, non si può che parlare di “speculazione”9. Ad esempio, la fine della guerra fredda ha avuto un impatto assai maggiore sulle guerre africane, costringendo alcuni gruppi a deporre le armi, ed altri a cercare fonti alternative di finanziamento come i diamanti. Aggiunge anche che tali ricerche sono ancora agli inizi, e potrebbero essere d’interesse; e che il suo intervento non vuole essere contrario alla necessità di adottare politiche per fronteggiare i cambiamenti climatici. Tuttavia, egli aggiunge, queste iniziative non possono e non devono rimpiazzare le tradizionali politiche di pace; e che, “le problematiche imposte dal futuro riscaldamento globale sono troppo scoraggianti per lasciare che il dibattito … sia sviato da conclusioni atipiche e non-scientifiche, e da personaggi in evidente conflitto d’interessi”.

Questa frase vorremmo farla nostra. Forse qualcuno ricorderà come, in anni passati, gran parte dei dissesti idrogeologi, dei danni e delle vittime in Italia, venissero imputati al “clima impazzito”: dimenticando completamente l’incuria del territorio, la cementificazione selvaggia, la corruzione, l’incapacità o l’indolenza della classe dirigente o anche di semplici cittadini. Lo stesso tentativo sembra essere in corso per giustificare l’incapacità e l’indolenza delle nazioni sviluppate a fronteggiare i problemi dell’Africa, nonché alcuni regimi sanguinari e corrotti di questo continente. Basti un esempio su tutti: il conflitto nel Darfur, causato da profonde ed ormai antiche divisioni etniche, geopolitiche, economiche e religiose, in una regione sottoposta al controllo di un regime alieno alla regione, cioè distante dai centri di potere sudanese lungo il Nilo, ed oppressivo, passando per la siccità e la terribile carestia del 1983-’84 (ma il conflitto esplose solo nel 2003); ed il tentativo di far passare tale guerra come causata dai cambiamenti climatici in atto.

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  1. I quattro dell’oca selvaggia (The Wild Geese), http://www.imdb.it/title/tt0078492/ []
  2. Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America []
  3. Warming increases the risk of civil war in Africa, Burke, Miguel, Satyanath, Dykema e Lobell, http://www.pnas.org/content/106/49/20670.full []
  4. vengono definite battle deaths, non chiarendo se il massacro di civili e prigionieri di guerra sia incluso o meno []
  5. si veda ad esempio http://www.sciencedaily.com/releases/2007/03/070323104706.htm []
  6. sono noti il periodo caldo preistorico, dove gran parte dell’attuale Sahara era una savana abitata da cacciatori ed animali (di cui rimangono diversi reperti, ad esempio nei monti Tibesti [http://it.wikipedia.org/wiki/Tibesti]; e le periodiche siccità del Sahel [http://en.wikipedia.org/wiki/Sahel_drought], dovute principalmente ai cicli termici oceanici []
  7. Reply to Sutton et al.: Relationship between temperature and conflict is robust, Burke, Miguel, Satyanath, Dykema e Lobell, http://www.pnas.org/content/107/25/E103.extract []
  8. Climate not to blame for African civil wars, Buhaug,  http://www.pnas.org/content/early/2010/08/30/1005739107 , e http://www.bbc.co.uk/news/science-environment-11204686 []
  9. in senso evidentemente scientifico, non finanziario []
Published inAttualitàClimatologiaNews

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