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Stimoliamo lo shopping in Cina

La situazione è complessa e, nel pieno stupore dei più, si è venuto a creare un groviglio paradossale. Stiamo parlando dello stimolo economico dell’amministrazione Obama, nei confronti della Green economy. Intanto partiamo dal fatto che nell’ultimo pacchetto di stimolo, la voce “economia verde” è stata depennata, segno che anche ai vertici si sono accorti di quanto è accaduto nell’ultimo anno.

Lo scopo di uno stimolo economico, quale che sia lo strumento utilizzato, è quello di avviare un circolo virtuoso che comprenda la crescita produttiva e dell’occupazione. Nel caso della Green economy lo scopo era anche quello di dare linfa vitale, ovvero l’abbrivio decisivo a questo comparto industriale. Lo stimolo economico complessivamente ammontava a poco più di 800 miliardi di dollari, di cui quasi un centinaio specificamente indirizzati allo sviluppo delle energie alternative e dei lavori verdi.

Venne detto agli americani, ma anche a noi e al mondo intero, che i green jobs avrebbero aiutato l’occidente a venire fuori dalla crisi economica. Sapete invece cosa è accaduto, a distanza di un anno? Ciò che è avvenuto è assolutamente logico, sebbene le amministrazioni coinvolte non l’abbiano previsto: i fondi si sono dileguati dal suolo patrio americano, per dirigersi dove? In Cina.

Le aziende americane per rimanere al passo con la concorrenza globale (principalmente cinese) cosa si sono inventate? Con i soldi giunti dallo stimolo economico, semplicemente, sono andate in Cina e hanno acquistato lì i componenti per turbine eoliche e pannelli solari. Semplice, lineare, efficace. Soltanto che i posti di lavoro, alla fin fine, i soldi americani li hanno creati in Cina e non a casa propria.

C’è poco da fare, i soldi andrebbero spesi a casa, tuttavia imporre limiti alla circolazione dei capitali, a maggior ragione se legati a questioni industriali, farebbe emergere lo spettro di una guerra commerciale. La Cina detiene vantaggi competitivi in ogni settore industriale, principalmente per i motivi legati ai sussidi statali e al basso costo della manodopera. Per completare il quadro bisogna dire che c’è anche ci crede che i sussidi cinesi, alla fine, determineranno il loro insuccesso1 . E’ quindi normale supporre che anche il comparto delle energie alternative, della green economy più in generale, possa diventare il nuovo campo di gioco cinese. Se poi i cinesi, grazie alle miopi politiche occidentali, si vedono piovere anche i soldi che i governi mettono in campo per salvare le proprie economie, viene da dire che piove sul bagnato.

A fronte di questi fatti, l’amministrazione Obama, per quanto si sia infervorata in passato per i green job, pare al momento aver scaricato la tematica: niente più soldi, la strada per salvare l’economia non è la green economy. “Spiacenti, ci siamo sbagliati”.

A voi basta come spiegazione?

In piena crisi economica ci hanno quasi spinto sull’orlo di un ulteriore baratro proponendo come soluzione l’investimento di cifre colossali per creare un pugno di costosissimi posti di lavoro (verdi). Gli studi si sono susseguiti, ne abbiamo dato notizia anche su CM, e in generale hanno suscitato reazioni, ad esser gentili, stizzite da parte degli ambientalisti. Sappiamo bene, invece, quanto costino in più questi green job e come, tra l’altro, sia difficilissimo capire cosa sia green o cosa semplicemente ex-brown.

Ragioniamo però su un fatto: in generale, l’arrivo della Cina in un settore industriale ha significato la completa ristrutturazione di quel settore nei paesi occidentali (principalmente tramite la perdita dei posti di lavoro). Eravamo e siamo di fronte a settori consolidati, a manifatture che hanno decenni e più di storia alle spalle, qui in occidente. E’ cronaca di tutti i giorni il dramma delle delocalizzazioni.

Ecco dunque il mio ragionamento. Visto che la green economy da noi è ancora un settore di nicchia, che male potrebbe fare a noi e ai nostri occupati, nonchè ai disoccupati che non verranno mai riassorbiti dall’inconsistente settore green, l’eventuale predominio cinese in tema di tecnologie rinnovabili? Questa volta, è davvero necessario temere la Cina? O piuttosto la prospettiva, per il mondo intero, di poter accedere a tecnologie verdi e per la generazione di energia pulita a costi ridotti non è una opportunità per tutti noi?

Il vecchio e noto adagio recita che non possiamo desiderare la moglie ubriaca e il fiasco ancora pieno di vino. In questo caso non possiamo davvero distruggere la nostra economia per stare al passo con la green economy cinese: da noi costa davvero troppo e non si va avanti senza sussidi. D’altro canto non possiamo nemmeno chiudere la porta in faccia ai prodotti cinesi per le energie alternative. Diversi governi, principalmente quello americano, stanno affilando le armi per discutere l’intera faccenda in sede WTO.

Ripeto: è meglio inseguire una economia impossibile da noi per avere a tutti i costi un mondo più verde, oppure possiamo rinunciare ex ante a questo comparto industriale e importare tecnologia cinese a basso costo? Siamo di fronte alla possibilità di sfatare l’equazione verde=costoso che in occidente è vera come è vero che respiriamo. La Cina ci sta offrendo una notevole opportunità, ma come mai l’amministrazione Obama, proprio l’amministrazione Obama, vuole ricorrere in sede WTO e contemporaneamente depennare gli aiuti al comparto? E’ pensabile che l’Europa si comporti diversamente?

Sono certo che i prossimi mesi ci sveleranno parte di questo enigma.

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  1. http://www.env-econ.net/2010/09/im-in-favor-of-chinese-subsidies.html []
Published inAmbienteAttualitàEconomia

3 Comments

  1. Pinotto

    …Quindi i sussidi americani vengono spesi in cina…che vende all’america prodotti scontati grazie ai sussidi cinesi …insomma i cinesi pagano gli americani per farsi pagare dagli americani.
    Ragionamento che non tiene conto che la cina è uno dei mercati più importanti per le rinnovabili.

  2. Maurizio

    Sentivo alla radio un dialogo tra conduttore e giornalista. Tema l’auto elettrica. Il giornalista sosteneva che l’auto elettrica fosse un bene prezioso per l’ambiente ma che non potevano averla tutti. Causa scarsità di litio per le batterie, che costano un botto e durano poco. Dunque solo nelle città, inquinate. Ma udite, se un pacco batterie costa 15K euro e durano 2 anni per 80 km di autonomia, e l’auto costa altrettanto (circa) il cittadino non le comprerà mai, dunque lo Stato dovrà (testuali parole) “metter mano al portafoglio”. Quale? Il mio! Cioè come al solito io pagherò l’auto a un altro e i soldi li prenderà l’industria un po’ qui (fiat) e un po’ in cina. L’auto elettrica come concetto tecnologico ed economico è a dir poco imbarazzante, solo tramite il grimaldello ecologista diventa “sostenibile”!

  3. Guido Botteri

    Verrebbe da dire che siamo stati facili profeti (perché non sono stato il solo, e nemmeno il primo), quando dicevamo che i posti veri sono quelli che, pur aiutati all’inizio, ad un certo punto camminano con le proprie gambe.
    Ma quelli che hanno bisogno di costosi incentivi non sono lavori veri. Chiunque sa “creare” posti del genere, posti che vengono pagati, e non producono.
    L’incentivo deve dare la spinta, poi basta.
    Una volta ai ciclisti che scalavano le montagne, si dava una spinta,
    ma se si fosse dovuto spingerli fino al traguardo, non avrebbero mai e poi mai potuto vincere nessuna gara.
    Ed è così per i green jobs.
    Aiutare la ricerca va bene, finché è ricerca, ma puntare su tecnologie non mature può solo risolversi in un fiasco, che non può neanche servire per ubriacare le mogli.
    Cioè, aiutiamo pure le tecnologie rinnovabili, a livello di ricerca, ma non confondiamo, per favore, la ricerca col mercato !
    Non possiamo permettercelo, col debito pubblico che abbiamo.
    Secondo me.

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