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Sulle orme (sbiadite) di Enrico Mattei

Solo una piccola invasione di campo nel settore energetico, per di più senza parlare di fonti rinnovabili nè di energia nucleare. Si parla di fonti fossili addirittura a casa nostra, o meglio sotto ai nostri mari.

Un articolo interessante uscito oggi sul Corriere della Sera che fa la cronaca degli ultimi anni di lavoro di una piattaforma off-shore nel canale di Sicilia, tra difficoltà tecniche, vincoli ambientali, inasprimento delle norme di sicurezza e necessità di andare comunque avanti.

Una bella foto di un aspetto che sta dentro i serbatoi delle nostre auto e nella luce delle nostre lampadine, ma del quale sappiamo molto poco o comunque pensiamo avvenga soltanto dall’altra parte del mondo.

Buona lettura

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Published inIn breve

3 Comments

  1. Io credo che in giro ci sia troppa gente che non ha niente da fare o che sia alla disperata ricerca di dare un senso alla propria vita.

    La mia città di origine, Ragusa, convive col petrolio dagli anni ’50 (molto prima che io nascessi) e fino ad una decina di anni fa un pozzo di petrolio era in mezzo ai condomini (non lontano da dove ho sempre vissuto allora) e l’abitudine era tale che nessuno ci faceva caso all’incessante movimento di estrazione. Per non parlare dei tanti altri pozzi alla periferia.
    Negli anni settanta cominciò anche l’attività di ricerca off shore a pochi km dalla frazione marinara della città (pozzo mai andato in produzione perché non conveniente) e molto visibile in quel tempo. Dopo alcuni anni si provò col giacimento al largo, il Vega, quello di cui si parla in quest’articolo, dall’impatto visibile nullo per la lontananza (di notte risalta un po’ di più per le luci e la fiamma arancione).
    Insomma a Ragusa siamo abituati alle trivelle e, per una piccola città di provincia, era un vanto negli anni passati. Mai saputo di problemi ambientali di qualche tipo.
    Adesso siamo all’assurdo che le nuove trivellazioni sono ostacolate da alcuni gruppi e dalla stampa locale come fossero la rappresentazione assoluta del male, soprattutto se si parla di petrolio, mentre per il gas qualcuno è più possibilista (misteri della mente umana). In effetti le trivelle di perforazione sono di forte impatto nelle campagne di muri a secco e carrubi, ma durano lo spazio di un anno due, dopo di che rimane qualcosa che si vede solo se ti c’imbatti sopra.
    In compenso cosa vogliono fare questi nullafacenti: riempire l’altopiano ibleo di pale eoliche alte decine e decine di metri, con strade sterrate di servizio a rompere un paesaggio unico, forse per sempre.
    La Sicilia è stata già devastata nel paesaggio, ma ancora l’altopiano si è salvato anche se si sono visti i tralicci con gli anemometri altissimi nei posti più strategici, che servono a rilevare il vento, come se già non si sapesse come soffia il vento in quelle zone.
    Poi ci sono altri che non vogliono né pale né trivelle; magari qualcun altro non vorrebbe neanche l’energia elettrica.
    Io ho una proposta: ma non si riesce a trovare un posto in mezzo all’Appennino dove creare una riserva per chi vuole stare lontano dal modo moderno di produrre energia?
    Sarebbero da esempio. Chi non fosse convinto di una scelta così radicale avrebbe la possibilità di fare uno periodo di prova. Magari poi tutti ci convinceremo a dipendere da energia molto più cara, senza macchine, né fabbriche, tutto uccellini e semi crudi di cereali.

  2. Angelo

    Hai ragione Guido,
    Esprime la complessità delle attività energetiche ed evidenzia molto bene il difficile rapporto tra amministrazioni e produttori. Offrendo, finalmente, un volto umano dal lato produttore.
    In tal caso sembrano mancanti i comitati del NO e associazioni ambientaliste, ma credo che sotto sotto ci siano!
    In ogni caso senza questa enorme e mortificante complessità, alla fine, il serbatoio dell’auto non si riempie.

    Vogliamo la botte piena e la moglie ubriaca?

    Aggiungo questo.
    Forse avrete sentito del grosso problema del mercato circa le “Terre Rare”. La Cina grande e quasi unico produttore di tali materiali (mi sembra il 95% della produzione mondiale) ha annuciato che oltre il 50% rimarra in Cina per il proprio sviluppo.
    Fra le terre rare spiccano il SAMARIO e NEODIMIO materiali importantissimi per i generatori sincroni utilizzati nell’eolico e , un po’ meno, nell’idro, ma soprattutto fondamentali per la motorizzazione elettrica delle nuove auto ibride.

    Ebbene, nell’occidente le miniere di tali materiali hanno chiuso per problemi economici e ambientali, essendo presenti in rocce con percentuali dell’ordine del “per mille” del peso ed essendo alcuni di questi estremamente pericolosi per l’ambiente con l’impatto sulla salute umana non ancora completamente noto.
    In Cina invece il problema non esiste o, se esiste, è ampiamente superato dalla necessità di averlo e di poter controllare l’economia mondiale o almeno per il proprio sviluppo!

    Reply
    Ciao Angelo, ne ha parlato Fabio Spina qui: http://www.climatemonitor.it/?p=10619
    gg

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