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Sottotraccia ma non troppo

Come ormai i lettori di CM sanno bene, circa un paio di giorni fa la NOAA e la NASA hanno pubblicato (qui link e commento di CM) i loro dati a consuntivo per le temperature medie superficiali globali. Dopo aver lungamente anticipato che quello appena trascorso avrebbe finito per essere l’anno più caldo da quando esistono delle misurazioni abbastanza affidabili, alla fine sono riusciti a far quadrare i conti, anche se sussistono ancora delle perplessità dovute al fatto che sono stati pubblicati prima i dati annuali che quelli dell’ultimo mese dell’anno, ovvero il freddo dicembre scorso.

Sui media americani, carta stampata, TV e rete (blogosfera compresa) la notizia ha avuto una discreta copertura. Da noi si sono viste alcune agenzie e se ne è parlato in rete, ma in generale la notizia è stata snobbata. La stessa cosa è accaduta nel Regno Unito, dove tra le altre cose opera l’Hadley Centre, l’altro gestore di dataset di temperatura che con NASA e NOAA gode della fama di maggiore affidabilità nel panorama globale. Una fama che potrebbe forse migliorare, se ci fosse un po’ più di chiarezza e di coerenza nella gestione dei dati, ma questa è un’altra storia.

Strano, in genere queste notizie vengono letteralmente fagocitate dai media. Dalle pagine del Guardian che non smentisce una particolare attenzione a questo settore dell’informazione, si avanza tra le altre cose l’ipotesi che il periodo estremamente freddo cui è stato soggetto il paese abbia fatto venire qualche remora agli editori. Una notizia “calda” sarebbe stata forse poco digeribile alla fine di un anno che proprio caldo non è stato, almeno lì e almeno nella percezione dei lettori. Infatti, si smentisce subito lo stesso articolo, è più probabile che sia ormai sopraggiunta una “consapevolezza” globale nella realtà e ineluttabilità dei cambiamenti climatici, per cui la notizia avrebbe perso il suo appeal. Oppure ancora, aggiungono, può darsi che si voglia attendere -come sarebbe giusto- che siano consolidati i dati di dicembre e che anche l’Hadley Centre dica la sua.

Mi permetto di pensarla diversamente. La sordina che sembra essere stata applicata all’argomento clima credo abbia altre origini, nei media e nella comunità scientifica allo stesso tempo. Da un lato l’informazione tende com’è ovvio a prediligere l’attualità e, ultimamente, questa non è certo mancata, anche in campo atmosferico. Dalle alluvioni in Pakistan, al gelo in Europa e negli Stati Uniti, alle inondazioni in Australia e, ultime ma non meno importanti le piogge torrenziali in Brasile, di carne al fuoco ce n’è stata, ma è tutta carne meteorologica, non climatica. Inoltre la contingenza economica sfavorevole ha frenato non poco gli entusiasmi politici sulla “lotta al cambiamento climatico” e la stampa si è logicamente conformata. Dall’altro la comunità scientifica, o almeno quella parte di essa che ha fruttuosamente veicolato un certo genere di informazione molto catastrofica, si è resa conto che ogni cosa portata all’eccesso finisce per ottenere effetti contrari a quelli desiderati. Il tam tam pre-Copenhagen più che favorire il successo dei negoziati, ne ha amplificato l’insuccesso. E così si è deciso di andare avanti in tono minore, prediligendo la via burocratica (che non fa mai notizia) a quella delle decisioni e relativi annunci a sensazione, visto che questi tardano ad arrivare.

Così a Cancun sono state fatte delle cose che assicurano ossigeno al movimento salva-pianeta, ma che non hanno e non possono occupare posizioni di alta classifica nel panorama dell’informazione. A questo deve aggiungersi in parte giustamente in parte meno, la contingenza climatica di breve periodo (che potrebbe diventare anche medio e lungo) che sta vedendo accadere tutte cose che stonano non poco con l’ipotesi dell’origine antropica dei cambiamenti climatici. Piaccia o no ai gestori di dataset, le temperature medie superficiali globali sono livellate da oltre un decennio, mentre il forcing antropico è forte più che mai. C’è di più, molti degli eventi atmosferici cui stiamo assistendo, sono strettamente imparentati con un clima a guida solare, come ci insegna la storia della Piccola Età Glaciale, non gelido come forse sarebbe facile immaginare,  ma certamente meno benevolo. Nell’affrontare in prima istanza (approfondiremo presto) le inondazioni in Australia, abbiamo già avuto modo di mostrare come questi eventi siano in realtà diminuiti, sia d’intensità che di frequenza nel corso degli ultimi 150 anni. Ma se non si vuole andare proprio all’altro capo del mondo, anche i tre inverni di fila caratterizzati da intensi scambi di masse d’aria lungo la longitudine e conseguenti condizioni atmosferiche “freddine” cominciano ad avere il loro significato.

Nel grafico pubblicato dal Guardian che riproduciamo qui sopra, sono evidenti dapprima l’ascesa, culminata nei mesi della pubblicazione del 4° report IPCC nel 2007 (pubblicazione sapientemente diluita) e nella conferenza di Copenhagen con un livello di copertura ai limiti del parossismo, in un mondo dove guerre, fame e disagi di vario genere non hanno certo smesso di accadere. Di lì in avanti una lenta discesa dell’interesse, un declino che non sembra si abbia l’interesse di nascondere o contrastare, diversamente da quello delle temperature. Non riuscendo, o non potendo convincere il mondo a sposare tout-court l’ipotesi AGW e tutto quello che ne consegue, meglio andare avanti piano e lasciare che il mondo prenda atto delle decisioni a fatto compito. Appunto, sottotraccia ma non troppo.

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Published inAttualitàNews

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