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Per fare il PIL ci vuole un albero

Quando nel novembre del 2009 scoppiò il Climategate, le prime impressioni furono che ci sarebbe voluto molto tempo per capire veramente di cosa si trattava, quali fossero i reali contenuti degli scambi epistolari trafugati e cosa significassero -ovvero a cosa fossero destinati- tutti quei codici contenuti nel megafile diffuso in rete.

Tra tutti quelli che all’epoca si sono appassionati all’argomento, pochissimi hanno resistito alla maratona dell’analisi di tutti quei contenuti. Hanno quindi avuto gioco relativamente facile nell’analizzare sommariamente l’accaduto e nel considerarlo velocemente archiviato le varie commissioni d’inchiesta più o meno indipendenti che sono state incaricate di far chiarezza.

Ma i cavalli buoni si vedono all’arrivo, e la corsa sembra proprio che sia ben lungi dal finire. Steve McIntyre, la spina nel fianco dell’establishment climatico, ha appena redatto l’ennesimo post su questo argomento, affrontando la questione non già nei contenuti delle mail e dei codici, quanto piuttosto sul contesto che secondo lui ha generato le precondizioni per lo scandalo.

Tutto sarebbe accaduto intorno alla serie di proxy dendrologici denominata Yamal, la serie alla base dei lavori di Michael Mann e Keith Briffa, la serie da cui sono nate le ricostruzioni di temperatura che hanno tenuto banco negli ultimi anni e hanno alimentato prima e sostenuto poi le preoccupazioni sulla presunta evoluzione catastrofica del clima del Pianeta, spingendo nella direzione della mitigazione di un comportamento anomalo che forse tanto anomalo in effetti non è.

Una serie che avrebbe potuto e dovuto essere aggiornata perché di dati disponibili ce n’erano, una serie che la Climatic Research Unit ha negato di aver aggiornato (salvo poi averlo fatto senza pubblicare i dati in quanto non concordi con i lavori precedenti), una serie in apparente contrasto con altri dati provenienti dalla stessa zona e mai utilizzati.

Non c’è da stupirsi secondo McIntyre che ci fosse qualche “remora” a rispondere alle sue continue richieste di informazioni. Non c’è da stupirsi se le commissioni d’inchiesta – i cui componenti sono stati reclutati comunque nell’ambiente un po’ inquinato che ha portato allo scandalo- abbiano voluto togliersi velocemente il pensiero.

Di una cosa però vale la pena stupirsi e rammaricarsi. Non è detto che se le cose fossero andate diversamente avremmo avuto le idee più chiare su cosa diavolo è accaduto alle temperature del Pianeta negli ultimi secoli, di sicuro adesso difficilmente lo sapremo mai.

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Un commento

  1. adesso difficilmente lo sapremo mai

    Cos’e’ questa reticenza improvvisa? E’ ovvio che c’e’ qualcosa che sappiamo benissimo (vedi i rifugiati climatici): una gran quantita’ di studi e previsioni riguardo il cambiamento climatico sono delle “cagate pazzesche”, come direbbe Fantozzi.

    Il dibattito ormai e’ su quanto sia grande, quella quantita’.

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