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I compiti per le vacanze – Aggiornamento

Pare che il numero di quanti sono disposti a “credere” senza se e senza ma al peso che il mainstream scientifico attribuisce alle attività antropiche – prime fra tutte le emissioni di gas serra- sia calato in modo piuttosto significativo. Questo strano effetto, non è stato interpretato come uno sprone ad acquisire e divulgare correttamente informazioni più credibili e magari non pesantemente minate da quella che in inglese si chiama “advocacy” e che noi potremmo definire appoggio incondizionato, quanto piuttosto come conseguenza di una profonda incapacità di comprensione da parte del grande pubblico. Sicché si è deciso, creando anche programmi e gruppi di lavoro appositi, di aumentare gli sforzi di advocacy.

In realtà le ragioni di questo declino sono molteplici e ne abbiamo discusso tante volte. E’ venuta alla luce ad esempio una certa “fallibilità” di molti aspetti dello stato dell’arte della scienza del clima che si volevano dare per acquisiti e invece non lo sono affatto. Si è saputo che per coprire questa fallibilità – peraltro assolutamente endemica nella scienza- ci sono state alcune deroghe al corretto uso del metodo scientifico, deroghe che, quando scoperte, hanno minato la credibilità del settore. E’ sopraggiunta una contingenza economica sfavorevole, che ha visto molti volenterosi policy makers ritirare il proprio appoggio, tirandosi dietro la disponibilità dei media – cioè degli strumenti che fanno opinione- a sostenere incondizionatamente l’assurda teoria del consenso scientifico. E infine, aspetto non meno importante, la causa di tutti i nostri guai, il riscaldamento globale, si è preso tre lustri o giù di lì di ferie. Un’inezia in termini climatici indubbiamente, ma si tratta di un periodo non molto più lungo di quello che si crede abbia visto il global warming antropico ruggire con tutte le sue forze, ovvero le ultime tre decadi del secolo scorso.

Alcuni di questi aspetti, sono in qualche modo affrontati in un report di Matt Nisbet, il cui titolo è The Climate Shift. Uno degli aspetti chiave del report è che non importa quante risorse vengono destinate alla comunicazione della scienza del clima, la percezione del pubblico dipende comunque dalle soluzioni di policy che vengono proposte. Policy che sin qui – si legge nel report- in effetti hanno fallito.

Ma ci sono anche altri spunti interessanti, come ad esempio il rapporto tra le risorse destinate a sostenere l’ipotesi AGW e quelle impiegate per contrastarla. Secondo i suoi conti ci sarebbe uno squilibrio a favore dei movimenti ambientalisti (riferito agli USA), ma una migliore capacità di spesa per le attività di quelli che lui difinisce i think thank conservatori.

Interessante anche l’analisi che fa del flusso delle informazioni sui media e dei fattori che avrebbero portato al declino del consenso dell’opinione pubblica.

Il rapporto è qui.

Qui invece un articolo su Nature Magazine in qualche modo collegato all’argomento.

Sul blog di Judith Curry, ci sono anche i riferimenti al contraddittorio sorto immediatamente dopo la pubblicazione del report.

Se dovesse avanzarvi del tempo, potete sempre ricorrere al post che la Curry ha pubblicato dopo quello che vi h appena segnalato. Un altro lavoro interessante, in cui si affronta il tema della conoscenza nascosta. Praticamente una locuzione per descrivere come in alcuni settori scientifici si possa parlare di consenso nonostante la complessità degli argomenti in discussione. Si tratterebbe di un collage di diversi livelli di conoscenza su specifici argomenti, che porta un consistente numero di esperti – ognuno convinto di aver compreso a fondo una parte del puzzle e di come quel tassello sia collegato alla visione d’insieme- a sostenere insieme un’ipotesi. Nella fattispecie, anche se la documentazione dalla quale la Curry ha tratto spunto non parla di scienza del clima, l’ipotesi è quella della preponderanza dell’effetto antropico nelle variazioni climatiche dei tempi recenti. In sostanza la posizione dell’IPCC.

In altri nostri precedenti interventi sull’argomento, abbiamo cercato di mettere in risalto come il consenso in materia di scienza sia in effetti un non-senso, proprio perché nessuno, o quasi, è nella possibilità di avere una visione d’insieme corretta e completa di un argomento complesso come ad esempio quello delle dinamiche del clima. Messa come la mette la Curry, la faccenda sembra più accettabile in effetti. Ma c’è un piccolo particolare e riguarda questa sorta di collaborazione alla conoscenza. La Curry lo svela alla fine del post traendole dallo scritto che ha esaminato:

Ma tali collaborazioni non saranno buone se non si può definire l’attendibilità dei risultati. E sarebbe disastroso se risultati erronei dovessero avere un impatto preponderante sulle policy pubbliche. Viviamo tempi turbolenti e interessanti, in cui gli scienziati riflettono su quali possa essere il modo di giungere ad affidabili conclusioni scientifiche nell’era delle grandi collaborazioni.

But such collaborations will be no good if we can’t assess the reliability of the results. And it would disastrous if erroneous results were to have a major impact on public policy. We’re in for a turbulent and interesting period as scientists think through what’s needed to arrive at reliable scientific conclusions in the age of big collaborations.

Il resto, molto molto altro, lo trovate qui.

Aggiornamento

Com’era ovvio che accadesse, JC non è stata la sola ad affrontare questo argomento. Ci sono delle interessanti considerazioni anche da parte di Roger Pielke Jr. Questo fa aumentare le chances che Nisbet abbia centrato l’obbiettivo, fornendo un’analisi oggettiva e non minata da approccio ideologico, come invece i guardiani del castello hanno subito provato a sottolineare. In particolare (ma vi invito a leggere per intero gli articoli di Pielke qui e qui), ho trovato interessante questo periodo:

Non dovrebbe sorprendere che l’aumentata politicizzazione della scienza ha reso la scienza più politica piuttosto che la politica più scientifica. Allo stesso tempo, più di parte e ideologici si è, più a proprio agio ci si troverà con la politicizzazione della scienza, dal momento che questa rinforza i propri preconcetti.

It should come as no surprise that the increasing politicization of science has come to make science more political rather than politics more scientific. At the same time, the more partisan and/or and ideological that you are, the more welcome and comfortable that you will find the politicization of science, as it reenforces your preconceptions.

Visto che di questi giorni se ne parla parecchio, direi che sia utile leggere anche l’opinione del capo dei negoziatori americani circa la “lesson learned” del Protocollo di Montreal per la messa al bando dei CFC, a confronto con gli estenuanti e improduttivi negoziati che vorrebbero estendere/rianimare il moribondo Protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni. Il problema, ancora una volta, è nell’individuazione di policy realizzabili e non utopiche e nell’effettiva implementazione di questi percorsi, fermatisi invece nella maggior parte dei casi alla sola propaganda. Da non trascurare, anzi, indispensabile, è la disponibilità di adeguate tecnologie sostitutive. Proprio quelle tecnologie che oggi, con riferimento alle risorse energetiche, ancora non sono disponibili.

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Published inAttualitàNews

2 Comments

  1. E come dice McIntyre qui, piu’ che la fallibilita’ dei climatologi a distruggere la fiducia del pubblico e’ stata la loro incapacita’ di riconoscere tale fallibilita’. Un problema molto diffuso, evidentemente.

    • Guido Botteri

      humanum est, perseverare autem diabolicum
      e soprattutto è inaccettabile la pretesa, a fronte di una comprensibile fallibilità (che sarebbe certamente scusabile), di una altezzosa infallibilità che, per il tipo di materia, non è concepibile, viste le molte incertezze che traspaiono qua e là, dove qualche persona più intellettualmente onesta le riconosce, a cominciare dalla Solomon, e passamdo per la NASA. A richiesta posso fornire i link, che al momento non ho sotto mano.
      Ed è proprio nello spazio probabilistico, che esiste, tra la probabilità (che non è certezza) che certe interpretazioni siano giuste, e la certezza stessa che si colloca il diritto sacrosanto di dubitare di quanto viene con forza imposto.
      Se chiamiamo x la probabilità (vera, non quella che uno si autoassegna) che una certa affermazione sia vera, essendo 1 la certezza, il diritto del dubbio risiede in quel
      1 – x
      ed è quindi assolutamente legittimo
      in barba alle denigrazioni di chi parla (falsamente) di questione chiusa, e di presunti “negazionisti”.
      Secondo me.

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