Salta al contenuto

Previsioni e proiezioni

Negli ultimi giorni, complici alcune dichiarazioni rilasciate da Rajendra Pachauri, il presidente dell’IPCC, all’indomani della sessione plenaria di Abu Dhabi, si è accesa la discussione sulle procedure di approntamento dei report del panel. Già in passato, tuttavia, c’è stato modo più volte di soffernarsi ad esempio su uno dei concetti fondamentali che occorrerebbe comprendere al fine di interpretare al meglio quanto diffuso con questi report.

Il nodo principale della questione è nla differenza che sussiste – se sussiste- tra i concetti di previsione e proiezione. Sappiamo infatti che l’IPCC definisce solitamente gli output prognostici dei modelli climatici, ovvero gli studi di sensibilità climatica, come scenari “what if” o, più brevemente proiezioni.

Non si tratterebbe dunque di previsioni in senso stretto del futuro del clima, quanto piuttosto di un ventaglio di possibilità, ampio tanto quanto sono numerosi e vari gli scenari, di assetti futuri del clima in relazione a differenti dosi di impatto antropico. La forma di questo impatto, lo ricordiamo, è essenzialmente definita dalla quantità delle emissioni di anidride carbonica in atmosfera, in quanto l’IPCC ritiene che la componente antropica dei gas serra sia responsabile con un 95% di confidenza statistica dello scostamento delle recenti dinamiche del clima dalla loro naturale evoluzione.

Non è questa la sede più opportuna per entrare nel merito della reale esistenza di un comportamento anomalo, ovvero antropicamente forzato del sistema, nè di valutare la fondatezza scientifica di un così elevato livello di confidenza statistica di questa affermazione.

Il punto è un altro,  secondo la letteratura in circolazione, i predetti scenari o proiezioni, elaborati al fine di proporre una gamma di possibilità ai decisori politici, non essendo previsioni in senso stretto non dovrebbero essere confrontati, come invece accade proprio per le previsioni, con le informazioni provenienti dal mondo reale, ossia le osservazioni. Il postulato di questo approccio è semplice: l’IPCC non fa previsioni climatiche.

Lo spunto per questa riflessione ce lo fornisce Roger Pielke Sr. in questo post, dichiarando apertamente che la distinzione tra previsioni e proiezioni è di fatto un artificio semantico, benché molti rappresentati del mondo della scienza del clima si siano più volte spesi per sottolinearne invece le differenze di ordine pratico.

Pielke fornisce una definizione del termine “projections”. “Una proiezione è una predizione o una stima basata su dati noti o osservazioni: una estrapolazione.” In sostanza se conosciamo gli attuali livelli di emissioni, disponiamo della proiezione (previsione) attuale per farne la comparazione con le osservazioni.

Cambiano le emissioni? Cambia la proiezione/previsione. Le osservazioni non la confermano? La proiezione/previsione è errata. Così saranno, con ottima probabilità, anche le azioni messe in campo per contrastare queste presunte proiezioni/previsioni giudicate lesive del futuro del sistema.

Chiudiamo con una domandina: quante proiezioni/previsioni climatiche hanno correttamente individuato le dinamiche del sistema – variazioni delle temperature medie superficali ad esempio, ma anche contenuto di calore degli oceani- dell’ultima decade? Risposta facile: nessuna.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualitàNews

4 Comments

  1. agrimensore g

    Non sono molto d’accordo.
    Le proiezioni, nell’accezione comune del termine, si fanno utilizzando metodi matematici o stastici che portano all’estrapolazione laddove non si conoscono in tutto o in parte le leggi che regolano il fenomeno. Es.: se sono un commerciante e noto che nei primi tre mesi dell’anno ho guadagnato 10 ogni mese, posso fare delle proiezioni (projections) di un guadagno a 120 a fine anno. E’ una banale estrapolazione, non è detto che si avveri.
    Viceversa le previsioni (forecasts) hanno in qualche misura il presupposto di conoscere in massima parte la legge che regola il fenomeno che sto cercando appunto di pevedere. Tornando all’esempio, il commerciante sa che nel periodo natalizio le vendite aumentano di una certa percentuale, in quello estivo diminuiscono, sa anche se dove opera c’è crisi o aumento di consumi, in che misura ciò incide sul suo commercio, e con tutte queste informazioni+leggi in suo possesso fa delle previsioni (forecasts). Da queste decide budget/investimenti/livello d’indebitamento ecc., e quindi se le previsioni non sono rispettate è un problema.
    A me sembra che gli output dei GCM siano più delle proiezioni che delle previsioni, perchè almeno parte del fenomeno clima non è abbastanza conosciuto (es.: formazioni delle nubi) e bisogna supplire con metodi statistici (introduzioni di costanti valutate statisticamente).
    Il problema semantico nasce quando gli output dei GCM vengono in effetti chiamati “proiezioni” ma si dà un altro significato rispetto a quello usuale, e cioè si intende siano “previsioni” a secondo degli scenari (livello di emissioni CO2, attività vulcaniche ecc.). E’ così, secondo me, che si confondono proiezioni (che possono anche non avverarsi) con previsioni (che debbono avverarsi per confermare la bontà della teoria/modello).

    Reply
    Ciò implica che sulle “proiezioni” non si dovrebbe basare alcuna policy, a meno di non fare un confronto con le osservazioni, trasformandole cioè in “previsioni”. Se tale confronto è negativo nei risultati (come ora) le proiezioni sono invalidate e le policy anche.
    gg

    • agrimensore g

      E’ vero, se il confronto con la realtà è negativo, le proiezioni sono invalidate.
      Per quanto riguarda le policy il discorso mi pare più complesso e, personalmente, capisco l’obiezione di chi dice che a fronte di un rischio così grande, quale che sia il livello di confidenza, va fatto qualcosa per evitarlo. Poi, certo, subentra la conta dei pro e dei contro, dei metodi, ed è un dibattito verso il quale mi pongo esclusivamente come spettatore. L’unica cosa che mis sento di dire (forse un po’ troppo originale) è che bisognerebbe sviluppare la tecnologia per far durare di più le cose: ad esempio, se un auto durasse 30 anni anzichè 10 (anche se costasse quasi tre volte tanto di listino), avremmo enormi risparmi di energia per produzione di acciaio. La Fiat ne guadagnerebbe di più riducendo il costo delle materie prime e il consumatore ne guadagnerebbe pagando un po’ di meno annualmente l’auto. Mi scuso se sono andato OT e sono stato un po’ criptico.

  2. Non sono assolutamente d’accordo.

    Nessuno puo’ fare previsioni climatiche perche’ l’attivita’ solare o i vulcani per esempio non sono assolutamente prevedibili. Si fanno proiezioni che sono “previsioni nel caso non succedesse altro” fatte sapendo che “succedera’ altro”.

    Questo e’ un punto importante sottolineato anche da RealClimate, come scrivevo qualche anno fa, e che pone a mio avviso la climatologia IPCC fuori dalla scienza come la conosciamo (infatti, si tratta di un “Intergovernmental Panel”, non “Interacademic”).

    Non solo e’ impossibile falsificare i modelli con una qualunque osservazione o set di osservazioni su breve, medio o lungo termine, ma gli stessi climatologi come Schmidt non sono interessati a trovare alcun modo di falsificare quello che i modelli dicono.

    Questo andrebbe benissimo se non fosse “nascosto” peggio del declino. Qualcuno marcia invece sul fatto che le persone comuni e i politici non sanno distinguere fra una proiezione e una previsione, e il gioco e’ fatto, con quei poveri […] da Obama in giu’ che hanno firmato promettendo di non far alzare la temperatura piu’ di 2C, vulcani o non vulcani che ci siano.

    Reply
    Maurizio, è appunto questo il senso di quanto ha scritto Pielke: le pro/pre climatiche dovrebbero essere testate con la realtà delle osservazioni.
    Interessante anche il punto “in caso non succeda altro sapendo che succederà”, da il senso dell’inutilità (a questo livello e con queste mofìdalità) di questo approccio.
    gg

    • Devono decidersi. O si parla di rischio (proiezioni), o si parla di fatti (previsioni).

      Se la campagna per indossare le cinture di sicurezza fosse stata fatta alla maniera cambioclimatista, avremmo perso trent’anni a cercare di stimare con modelli al calcolatore di quanti millimetri in piu’ si rompa in media il terzo dito del piede sinistro in caso di scontro con angolo di incidenza di 26.7 gradi alla velocita’ di 53.1 km/h; e staremmo ancora a discutere se le cinture in pelle pregiata e gli agganci in oro zecchino siano un investimento necessario visto che la vita umana non ha prezzo.

      Naturalmente, chiunque chiedesse il perche’ di sistemi di sicurezza cosi’ costosi sarebbe additato come negazionista cinturico. Etc etc

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »