Salta al contenuto

IPCC: Chi è senza peccato faccia il prossimo Report

Scrivo senza conoscere il risultato della recente consultazione referendaria. Non ce n’è bisogno, il risultato non sarà commentato. L’argomento della consultazione o almeno una parte di essa, è comunque strettamente connesso ai temi che affrontiamo solitamente su queste pagine. Credo che i lettori di questo e di altri mezzi di informazione più o meno importanti abbiano ormai fatto l’abitudine a questo incipit: la scienza del clima e con essa tutti i suoi risvolti di natura ambientale, economica e sociale -leggi anche temi energetici- è ormai altamente politicizzata e stretta tra invalicabili barriere ideologiche.

Come uscirne? Qualcuno ci sta provando, forse nell’unico modo possibile. Una strategia top-down. Come molti sanno, l’ultimo rapporto dell’IPCC, il Panel intergovernativo delle Nazioni Unite che si occupa di clima, è stato virtualmente il centro di tutta la polemica ideologica, avendo sì fornito una vasta messe di informazioni certamente di valore circa lo stato dell’arte del nostro livello di conoscenza sull’argomento e relative problematiche attuali e future, ma minando anche la propria attendibilità con l’inclusione di pezzi di informazione non propriamente scientifici. Rapporti poco obbiettivi di associazioni ambientaliste, letteratura “grigia” ovvero non sottoposta a referaggio ingiustamente elevata al livello di scienza, scarsa disponibilità a comunicare l’ampio livello di incertezza di molti aspetti chiave delle dinamiche del sistema e, non ultimo, un cospicuo conflitto di interessi a tutti i livelli di alcuni tra coloro che hanno partecipato con diversi ruoli alla generazione del 4AR.

Tutto questo è venuto fuori dal basso partendo dal climategate del novembre 2009, ma nulla sarebbe cambiato se l’Inter Academy Council, chiamato ad esprimersi proprio dall’IPCC, non avesse caldamente suggerito di cambiar musica, pena l’impossibilità di riguadagnare la credibilità perduta e quindi – cosa poi accaduta- minare pesantemente il processo negoziale in materia di clima e affini.

Qualche giorno fa Roger Pielke Jr ha ripreso questo discorso sul suo blog, richiamando alla memoria quanto da egli stesso scritto qualche tempo fa sugli incoraggianti propositi di cambiamento che il panel stesso aveva espresso di recente. Perché tornarci su? Perché sembra proprio che ci si trovi dinanzi ad una empasse. Avendo riconosciuto (su suggerimento ma, vabbè…) la necessità di intervenire ad esempio in materia di conflitto di interessi, il tema è stato affrontato e ampiamente discusso, giungendo alla definizione di policy molto restrittive seppur indebolite dall’assenza di trasparenza nelle procedure di controllo. Il concetto di COI è visto in modo molto ampio e si estende non solo ai singoli individui, ma va a definire i ruoli, e quindi il comportamento, di tutte quelle realtà più o meno a rischio di bias ideologico che hanno invece in passato fatto il bello e il cattivo tempo all’interno del panel, siano esse movimenti, associazioni governative e non governative e quant’altro. Ma, dicevamo, c’è un problema: quando cominciare con le nuove procedure? Già per il prossimo report, atteso per il 2014, o a partire dai successivi?

Una fra tutte la durata della carica di presidente del panel, prevista in futuro essere relativa alla emissione di un solo report. Se Rajendra Pachauri, attuale presidente dell’IPCC, sarà al timone anche per il quinto rapporto del 2014, come evitare che le ombre – qualcuno direbbe certezze- che lo hanno sfiorato in materia di COI non mettano la pubblicazione in difficoltà prima ancora di essere prodotta?

Difficile a dirsi. Forse si prospetta una soluzione à l’italienne, ovvero adottare le nuove procedure senza implementarle. Ma, come chiosa Pielke nel suo post, “veramente a questo punto importa a qualcuno?

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualitàNews

3 Comments

  1. Il disastro IPCC continua a svilupparsi. Suggerisco di vedere cosa scrive la Curry, e Mark Lynas. E meno male che ripetono fino all’ossessione di non avere nessun problema con la “scienza” del cambiamento climatico. Negazionisti che non negazionano, chissa’.

    Reply
    Lunedì Maurizio, lunedì. Nel frattempo sei tornato nell’aia, ammesso che tu ne fossi mai uscito 🙂
    gg

  2. E’ peggio di quanto pensassimo. Adesso si puo’ parlare liberamente di corruzione nell’IPCC, o idiozia totale, dopo che sono stati beccati a basare il recente rapporto sulle rinnovabili su una pubblicazione Greenpeace + European Renewable Energy Council (=l’industria della rinnovabile, alla faccia del conflitto di interessi); peggio, di aver fatto scrivere il rapporto IPCC sulle rinnovabili dalla stessa persona che aveva scritto il rapporto di Greenpeace et al; peggio, di aver usato il rapporto di Greenpeace et al per tutte le dichiarazioni ai media, nonostante fosse di gran lunga il piu’ ottimista e non indicativo di quanto ragionevolmente ci si potrebbe aspettare.

    Qui alcuni commenti inclusi quelli di Mark Lynas e Leo Hickman, che proprio proprio scettici non lo sono mai stati.

    Scrive lo “scopritore” dell’inghippo, McIntyre naturalmente:

    It is totally unacceptable that IPCC should have had a Greenpeace employee as a Lead Author of the critical Chapter 10, that the Greenpeace employee, as an IPCC Lead Author, should (like Michael Mann and Keith Briffa in comparable situations) have been responsible for assessing his own work and that, with such inadequate and non-independent ‘due diligence’, IPCC should have featured the Greenpeace scenario in its press release on renewables.

    Everyone in IPCC WG3 should be terminated and, if the institution is to continue, it should be re-structured from scratch.

    link: climateaudit.org/2011/06/14/ipcc-wg3-and-the-greenpeace-karaoke/

    E a scanso di equivoci: non ho notizia di coinvolgimento del CMCC nel rapporto di cui sopra.

  3. Fuori campo:

    come la si spiega questa carta delle anomalie? (GISS 1946-2010 vs 1880-1945):
    http://1.usa.gov/kKlfBw

    Anomalie sui .2 – .5 , Artico che si raffredda come Cina, Ande e Africa del Congo? Sarà un abbaglio, ma questa voglio capirla.

    Cordiali Saluti,

    Louis-Alexandre Alciator

    Reply
    Ah però. Boh…
    gg

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »