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Più caldo più Uragani? Uhm, pare proprio di no

Ebbene sì, abbiamo un problema con il clima. Ma non quello che staziona da un paio di decenni sulle prime pagine dei giornali, ossia una deriva catastrofica del sistema, bensì quello di capire cosa diavolo sia successo prima che si potessero impiegare dei sistemi di osservazione affidabili e durante la transizione tra sistemi diversi.

Senza questa conoscenza, non c’è verso di sapere se il clima stia cambiando come ha sempre fatto oppure abbia iniziato a cambiare per causa nostra. Ancora meno abbiamo la possibilità di capire se siano cambiati gli effetti più dirompenti delle dinamiche del clima, ove queste si manifestino nella forma di eventi estremi di breve durata.

Un esempio. Il nostro è un paese piuttosto piovoso al nord, relativamente più secco al centro e decisamente più arido sul meridione. Per capirlo non c’è bisogno di pluviometri, basta guardarlo dall’alto. Verde, pezzato, giallo, cioè umido, temperato, secco, semplicemente attraversandolo. Già, ma quanto è piovoso il nord ad esempio? Beh, in questo caso sì, ci vogliono le misure. E così scopriamo che da qualche anno, con l’accresciuta attenzione alla sicurezza del territorio il Paese è stato tappezzato di sensori per la pioggia, dai quali giungono sempre più spesso misure record. Cosa è successo, piove di più? No, se ne misura di più e non è affatto la stessa cosa. Sorge dunque il problema di mettere in relazione i dati più vecchi e per questo preziosissimi con quelli più recenti certamente più affidabili. Una sfida non banale per la nostra comunità scientifica.

Lo stesso problema, ma su scala spaziale ben più ampia, lo ha la comunità delle scienze atmosferiche con riferimento agli eventi più intensi di tutti, gli uragani. Da 40 anni o poco più e sempre con maggiore precisione, ogni ciclone tropicale è seguito dalla sua formazione al suo dissolvimento dai satelliti meteorologici. La frequenza di occorrenza, l’intensità e la durata di questi eventi sono quindi misurate in modo oggettivo. Prima dell’era satellitare però, perché si avesse contezza dello sviluppo di un ciclone tropicale, era necessario che fosse incrociato da una nave oppure osservato dalle stazioni costiere (che ne avrebbero comunque fatto volentieri a meno). Sicché con una densità urbana molto più bassa nelle terre emerse della fascia tropicale, con un traffico marittimo molto più scarso e con sistemi di trasmissione delle informazioni che adesso appaiono preistorici, è facile che un gran numero di questi eventi occorsi prima dell’era satellitare sia sfuggito alla catalogazione.

E’ proprio per affrontare questo tema che due scienziati con molta ricerca in questa settore alle spalle, hanno pubblicato un articolo sul Journal of Climate:

Una intuizione interessante quella di identificare nelle variazioni a scala spaziale e temporale del traffico marittimo commerciale un dato di prossimità per la stima delle numero dei Cicloni e delle Tempeste Tropicali avvenuti nell’era pre-satellitare.

Ma, ancora più interessante direi che possa essere la conclusione dell’abstract:

[…] These results do not support the hypothesis that the warming of the tropical North Atlantic due to anthropogenic greenhouse gas emissions has caused Atlantic hurricane frequency to increase.

[…] Questi risultati non supportano l’ipotesi che il riscaldamento dell’Atlantico settentrionale dovuto alle emissioni antropogeniche di gas serra abbia causato un aumento della frequenza di uragani atlantici.

Un tassello in più? Forse. Di sicuro se questa pubblicazione dovesse reggere il confronto con la comunità scientifica – è probabile che una buona parte di essa proverà a smontarla con ogni mezzo, come e’ giusto che sia- sarebbe un colpo non da poco per chi va sostenendo che un mondo più caldo, a prescindere da ciò che possa aver causato il riscaldamento, debba necessariamente essere teatro di eventi estremi più intensi.

E, nel paragrafo dedicato alla discussione e alle conclusioni:

[…] our time-dependent estimate of missed storms results in an adjusted hurricane record that is much more stationary in time, with substantial interannual and decadal variations but little secular trend since the late nineteenth century (Table 1). The significant, or nearly significant, 1878–2008 secular changes in basinwide frequency (increase) average duration (decrease), fraction of storms making landfall (decrease), and storm activity in the eastern tropical Atlantic (increase) seen in the raw database all become nonsignificant after our adjustment. […]

[…] la nostra stima temporale di tempeste non individuate sfocia in una serie di uragani modificata che è molto più stabile nel tempo, con sostanziale variabilità interannuale e decadale ma con trend secolare di piccola entità a partire dal tardo diciannovesimo secolo (Tabella 1). Le variazioni significative o quasi significative a scala secolare nel periodo 1878-2008 nella frequenza sull’intero bacino (aumento), nella durata media (diminuzione), nella frazione di tempeste che toccano la terraferma (aumento), viste nel dataset grezzo, diventano tutte non significative dopo la correzione. […]

Oppure ancora:

Since the late-nineteenth century, SST datasets show a statistically significant warming of the tropical Atlantic that is very unusual compared to model-generated internal climate variability (Knutson et al. 2006) and has been partially attributed to anthropogenic increases in greenhouse gases (e.g., Santer et al. 2006; Gillett et al. 2008). Although the unadjusted basinwide hurricane count exhibits a strong increasing trend, our analysis indicates that we cannot reject the possibility that the increasing trend was due to changes in our ability to observe and record hurricanes (in fact, the adjusted trend is nominally negative). Thus, because of changes in our observing capability, the hurricane record does not support the notion of a strong sensitivity (positive or negative) of Atlantic hurricane frequency to increasing greenhouse gases, nor does it even unambiguously point to the likely sign of the sensitivity.

A partire dalla fine del XIX secolo, i dataset di dati SST mostrano un riscaldamento statisticamente significativo dell’Atlantico tropicale che è molto insolito rispetto alla variabilità climatica interna generata dai modelli (Knutson et al. 2006) ed è stata in parte attribuita ad un aumento dei gas serra di origine antropica (es. , Santer et al 2006;. Gillett et al 2008). Anche se il conto non corretto degli uragani sull’intero bacino mostra un trend di forte crescita, la nostra analisi indica che non possiamo rifiutare la possibilità che il trend crescente sia dovuto a cambiamenti nella nostra capacità di osservare e registrare gli uragani (in effetti, la tendenza corretta e’ nominalmente negativa). Così, a causa dei cambiamenti nella nostra capacità di osservazione, il record degli uragani non supporta l’idea di una forte sensibilità (positiva o negativa) della frequenza degli uragani atlantici ai gas serra in aumento, né fornisce indicazioni inequivocabili circa il probabile segno della sensibilità.

In pratica le anomalie delle SST in area atlantica sono insolite rispetto a ciò che sarebbe lecito attendersi in un sistema simulato. Quello stesso sistema manda un segnale di accrescimento della frequenza e dell’intensità degli uragani. Le osservazioni smentiscono questo segnale, senza considerare il fatto che anche le informazioni relative alle SST hanno gli stessi problemi cui abbiamo accennato in apertura.

Quanto ci vorrà ancora perché ci si renda conto che prima di pensare di sapere come stia evolvendo il sistema e prima ancora di gridare al disastro c’e’ ancora tantissima strada da fare?

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Published inAttualitàNews

14 Comments

    • donato

      Ho sempre di più l’impressione che tutto quanto riguarda il clima ha molto a che fare con ENSO, PDO ed AMO. Questi, però, sono solo degli indici che quantificano gli effetti evidenti di fenomeni fisici molto complessi di cui, evidentemente, non riusciamo, per ora, a comprendere le cause. Mi auguro che sempre più ricercatori, invece di far girare modelli più o meno inutili, cerchino di comprendere queste cause. In questo modo, forse, potremo meglio quantificare anche i prossimi cicli climatici.
      Ciao, Donato.

  1. Ichnusa

    Il noto Geologo televisivo deve, anche lui e ahinoi, arrivare a fine mese!!!
    Forse è per tale motivo che rifiuta di impegnarsi a fondo nel ricercare ( ma non è un ricercatore del CNR???) quelle evidenze scientifiche che danno BARUMINI sommersa da un maremoto…In compenso trova sempre il tempo per sponsorizzare lodevoli iniziative che renderanno la Sardegna un vero faro per l’umanità intera ( e, come tutti i fari del mondo, con un solo Sardo dentro). Difatti la Regione Sardegna, con il progetto CO2.0 ridurrà le nocive emissioni di CO2 non del 20%, non del 30% ma, attaccatevi alla sedia ( o al TRAM), di ben il 40% entro il 2020!!!
    E poi non venite a dire che noi sardi non siamo generosi…
    Qui i link su Barumini
    http://gianfrancopintore.blogspot.com/2008/09/insisto-nessuno-tzunami-su-barumini-e.html
    e su progetto CO2.0
    http://www.rinnovabili.it/sardegna-co20-parte-confronto-con-comuni-su-progetto-smart-city

    Reply
    Sembra di assistere alla scena del film di Fantozzi in allenamento per la ‘coppa Cobram’, dove fanno a chi la spara più grossa, fino a proporre di andare da Roma a Pinerolo…
    gg

    • di quanti microgradi diminuira’ la temperatura nel 2050 grazie al provvidenziale intervento salvapianeta della Sardegna?

  2. A questa storia è legata la parabola triste di un noto geologo televisivo, il quale è stato circuíto nel credere che un mondo più caldo avrebbe avuto più uragani a causa del maggiore contenuto energetico totale (come se il motore di un’auto potesse fornire più energia se messo in un forno).

    Si vede che la laurea in geologia non comporta una conoscenza dettagliata abbastanza della fisica.

    • tarcisio

      maurizio, il suo commento strafottente offende tutti i laureati in geologia, complimenti.

    • C.D.

      tranquillo Tarcisio, qui lo sport più diffuso è lo sfottere il prossimo. Si credono molto competenti in tantissimi settori… dei tuttologi. Visto il livello, prendilo come un complimento.

      Reply
      Che vitaccia che fai…
      gg

    • C.D.

      non mi lamento, grazie.

    • heheheh…ringrazio chi si offende per le mie parole, siete i miei piu’ grandi adulatori…

    • Luca Fava

      Associare la parola geologia al signor in questione mi fa male al cuore….

    • fermo restanto che il geologo a cui fai riferimento, mio anziano collega di studi ai bei tempi, non trova la mia approvazione in quasi nulla di ciò che scrive o dice in pubblico, di sicuro la laurea in Geologia non conferisce una preparazione e un approfondimento dell’analisi matematica paragonabile ai corsi di laurea in fisica o in ingegneria, ma di sicuro conferisce a chi studia la materia in questione una capacità di osservazione e di conoscenza del territorio REALE, e dei meccanismi alla base dell’evoluzione del paesaggio, che sopravanza senza pietà qualunque iper-super-fanta-modellizzazione e simulazione numerica oggi attualmente in uso e in studio…..
      quindi per favore, evitiamo di fare ogni volta “di tutta l’erba un fascio”, anche perché non sempre l’erba del vicino è per forza più verde…. 🙂

    • PS: ovviamente il mio commento era direttamente riferito all’affermazione generica di Maurizio sulla laurea in geologia, non ai commenti che ne sono seguiti…..

    • Una cosa che certo non manca in Italia sono le persone pronte a “difendere la categoria”.

      Orsù, qualcuno mi indichi dove sia l’Ambasciata dei Geologi e mi recherò prima possibile a chiedervi scusa, con tanto di candela e paternoster.

      ps una cosa che invece difetta molto è il senso dell’umorismo. ahinoi, ahinoi 😎

  3. Guido Botteri

    da:
    http://www.thefrontpage.it/2011/07/09/congelati-o-arrostiti-dovete-mori/
    [ Il 28 aprile 1975 (pag 64) Newsweek pubblicò un articolo che cominciava così: “Ci sono minacciosi segnali che le condizioni climatiche stanno subendo modificazioni drammatiche e che tali cambiamenti possono provocare una drastica diminuzione nella produzione di cibo – con implicazioni politiche serie – in praticamente ogni nazione del mondo. La caduta della produzione di cibo potrebbe incominciare molto presto, forse entro dieci anni da oggi.”
    Seguivano molti dettagli sulla tragedia incombente. “Le regioni più esposte saranno quelle che producono le maggiori quantità di grano”. Si elencavano i segni premonitori: nella Gran Bretagna “la stagione per l’agricoltura si è accorciata di due settimane.” In America, nel solo mese di aprile, “148 tornados hanno causato 300 morti e mezzo miliardo di dollari di danni.” Se il cambiamento climatico è tale quale alcuni pessimisti temono, “le epidemie di fame potrebbero essere catastrofiche”. ]
    notate il punto in cui associa l’aumento dei tornado all’incombente glaciazione…

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