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La credibilità viene dalla leadership, l’IPCC non fa eccezione

Non e’ colpa della scienza e nemmeno di chi la fa. Se esiste una così forte contrapposizione tra chi sostiene e chi mette in dubbio l’ipotesi della totale o quasi dipendenza delle dinamiche del clima attuali dalle attività umane, e’ un problema di come questa ipotesi e’ stata presentata, divulgata e resa ideologicamente corrotta. Traghettarla dall’ambito scientifico, dove l’asprezza del dibattito e’ la norma, a quello politico, dove la ragione e’ sempre di chi grida più forte e di chi fa più sensazione non e’ stato un errore, ma una strategia resasi necessaria per una sola ragione. L’ipotesi e’ scientificamente debole, prematura e anche altamente improbabile, viste le dimensioni delle forze in gioco.

Tempo fa scrissi che non c’e’ nulla di più antropocentrico di pensare di avere un ruolo nelle dinamiche del sistema Pianeta e di pretendere di avere anche la capacita’ di sovvertire questa situazione. Non una bella posizione da sostenere da parte di chi invece pensa che l’approccio alla scienza debba essere liberato da qualsiasi condizionamento antropocentrico, come di fatto predica l’ambientalismo più spinto. Non e’ cambiato molto da allora. Il dibattito e’ ancora più acceso, sebbene le posizioni dei catastrofisti più convinti continuino ad essere erose in modo paradossale dal tempo che passa e da una catastrofe prossima ventura che si rifiuta di palesarsi.

Sicché le leadership dei caposaldi del movimento del clima che cambia, tra agenzie governative e non, associazioni no-profit e attivisti organizzati di vario genere, l’hanno fatta in barba ai loro associati spingendo oltre il dovuto e presentando al mondo politico e istituzionale una certezza che non c’e’, delle sicurezze che non ci sono, una comprensione ben al di la’ da venire.

Su questo si basa la teoria del consenso scientifico, coniata alla bisogna per la scienza del clima e invisa in ogni altro ambito della ricerca, dove invece e’ sempre l’opinione di uno contro quella di molti ad essere giusta, semplicemente in quanto corretta e scientificamente inconfutabile piuttosto che accettata in quanto unica. L’impatto delle attività umane sulle dinamiche del clima e’ infatti sostenuto solo dalla presuntuosa assunzione che non vi possa essere altro ad aver modificato lo stato termico del Pianeta nel recente passato, sebbene il passato remoto sia li’ a testimoniare che questo e’ accaduto tantissime altre volte senza che -letteralmente- nessuno ci abbia messo del suo, tantomeno la specie animale più popolosa del Pianeta.

Certo, qualche scienziato ha saltato il fosso, passando dalla ricerca alla leadership, ma questi pero’ hanno al contempo omesso di cambiare il loro atteggiamento, derogando alla regola forse più importante. Chi divulga, propone, presenta o semplifica delle conoscenze scientifiche in nome e per conto di chi quelle conoscenze le acquisisce, non può e non deve in nessun caso andare oltre. Non le può rendere più vere di quello che sono, non le può ‘abbellire’, non le può piegare alle esigenze del committente, in questo, ma anche in moltissimi altri casi, rappresentato dai decisori politici e dalla società civile.

Questo invece ha fatto e continua a fare la leadership dell’IPCC. Esistono alcuni esempi eclatanti, come quello che e’ stato ribattezzato Himalaya-gate. Nell’ultimo report del panel ONU il fattore di rischio per i ghiacciai dell’Himalaya e’ stato ridotto dalla scala centenaria a quella decadale, per semplice e colpevole impiego di ipotesi ideologicamente inquinate. Quando la marachella e’ venuta alla luce, le argomentazioni degli scienziati indiani che confutavano questa ipotesi sono state battezzate dal presidente del panel come voodoo science. Soltanto un mese dopo giungeva la pubblica ammissione dello stesso presidente che si’, abbiamo fatto un errore, ma in fondo e’ cosa da poco in un rapporto così ricco e complesso.

Per questo e per molti altri casi simili pero’, evidentemente non cose così marginali, il panel e’ stato consigliato, dall’unico organismo in grado di farlo l’Inter Academy Council, di rivedere e ove assenti istituire delle policy di controllo del conflitto di interessi, anche di tipo ideologico. Le policy sono arrivate, ma nel perfetto stile burocratico che contraddistingue questo genere di organismi, non saranno implementate prima del 2014, cioè non prima che venga pubblicato il prossimo report. Di questo abbiamo avuto un assaggio di recente con la pubblicazione del report sulle risorse energetiche rinnovabili, in cui autore, revisore e fonte dell’informazione che ha attraversato i press release di mezzo mondo sono stati riuniti nella stessa persona.

Pensate che qualcuno abbia fatto una piega? Neanche per idea, leggere per credere. L’Economist ha pubblicato un articoloin cui si sollevava appunto il problema dell’implementazione di queste policy in ragione dell’evidente conflitto di interessi presente nel report sulle rinnovabili. Ottmar Edenhofer co-chair del panel scrive una letteraper dire che il problema e’ noto e che proprio di recente il panel stesso si e’ dotato delle opportune procedure di controllo per evitare questo genere di problemi. Nella lettera pero’ non si fa alcuna menzione del fatto che tanto per il report sulle rinnovabili, quanto per il prossimo report sulla scienza del clima in generale, nessuna di queste policy sara’ adottata, per decisione e scelta della leadership del panel, il cui presidente, tra l’altro, sarebbe il primo a dover lasciare proprio per ragioni di conflitto di interessi.

Ogni volta che scriviamo di queste cose siamo accusati di avercela con chi fa scienza. E’ evidente che non e’ così. Ogni volta che scriviamo queste cose siamo accusati di avercela con chi si batte per la salvaguardia dell’ambiente. E’ evidente che non e’ così. E’ un problema di leadership, ed e’ proprio tra chi fa scienza e chi fa ambiente che dovrebbe levarsi questa critica nei confronti di chi usa letteralmente l’impegno e la passione altrui per portare avanti disegni politici e ideologici che con la scienza, il clima e l’ambiente non hanno nulla a che vedere. C’e’ una prova anche per questo. Edenhofer nell’imminenza del summit di Copenhagen, un vertice politico sul clima, dichiaro’ candidamente che questi vertici ormai sono economici e riguardano la redistribuzione della ricchezza a scala planetaria. Se le sue parole fossero state accompagnate dall’internazionale socialista non avrebbero potuto suonare più gradite per molti, non mi permetto ne’ mi interessa dire quanti, ma se questo e’ il suo scopo fondi un partito o un movimento e si batta per le sue idee, ma lasci la scienza del clima, per la quale c’e’ da redistribuire il buon senso, non le risorse.

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