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CO2 e Biofuel, l’Europa raddoppia (i danni)

Alcuni mesi fa c’è stata una violenta polemica, seguita da una salvifica decisione della Corte Costituzionale, circa l’inapplicabilità dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) ai versamenti relativi ad una delle due forme di prelievo fiscale per lo smaltimento dei rifiuti urbani, la TIA. Si tratterebbe – così non può essere di aggiungere un’imposta a un tributo cioè un doppio e ingiustificato prelievo.

Un errore di valutazione da parte dei decisori? Oggi siamo buoni, perciò immaginiamo di sì. La pratica del doppio conteggio però sembra andare di moda anche fuori dai nostri confini, ovvero in quelli ben più allargati della UE. Nella fattispecie, sorge però il dubbio che dietro questa pratica del doppio conteggio non si celi proprio une fede cristallina, quanto piuttosto una “fede” incondizionata nell’AGW e nelle opportunità economiche e finanziarie che la battaglia senza se e senza ma alle emissioni di anidride carbonica ha generato, ad esempio con il mercato del carbon trading.

Andiamo con ordine. Dal blog di Roger Pielke jr apprendiamo dell’imminente uscita di un report del comitato scientifico dell’Agenzia Europea per l’Energia (EEASC) che svela alcuni seri “errori di calcolo” nelle policy di ricorso ai biocarburanti per ridurre le emissioni di CO2 in ambito UE. Errori che finiranno per tagliare le gambe all’UNFCCC e al Protocollo di Kyoto.

Il punto è che le norme europee nel calcolare i tagli alle emissioni derivanti dall’impiego di biofuel, prevedono che si tenga conto anche della quantità di CO2 sottratta all’atmosfera dalle coltivazioni impiegate, senza considerare quanta ne viene (o ne verrebbe) comunque sottratta da altre specie vegetali sugli stessi terreni, aassumendo quindi che il ricorso al biocarburante sia completamente carbon-free.

Così non è, per cui, dovendo tener conto anche di questo aspetto, come suggerisce il draft del report (che potrebbe essere comunque soggetto a cambiamenti), le prospettive per la UE di raggiungere i propri obbiettivi di riduzione delle emissioni contando soprattutto sui biocarburanti sono tutt’altro che rosee.

In aggiunta a questo, come leggiamo dal NYT – primo a diffondere la notizia di questa imminente pubblicazione- potrebbe presentarsi anche un problema normativo non banale. Infatti i produttori di cereali e di carburante potrebbero non avere più gli strumenti (terreni giudicati idonei soprattutto) necessari al raggiungimento degli obbiettivi fissati tre anni fa, ovvero portare la quota di biocarburante impiegato per la produzione di energia primaria al 10% del fabbisogno entro il 2020. Tutto questo senza considerare il problema già accertato, discusso e tuttavia largamente ignorato, che il ricorso ai biocarburanti pone in termini di destinazione d’uso del suolo.

E’ la prima volta che questo problema viene affrontato scientificamente e direttamente da un comitato incaricato dalla stessa UE. In passato tuttavia il problema era stato già sollevato da almeno un paio di associazioni ambientaliste. Una di queste Birdlife International, aveva paragonato questa creativa pratica della UE alla contrazione di un mutuo sub-prime di carbonio che la UE non sarà mai in grado di pagare.

Non la caccia alle molecole di CO2 quindi (o peggio la loro compravendita ai banchi del mercato rionale), quanto piuttosto l’attenzione alla quantità di energia ricavata e ricavabile da fonti alternative che siano effettivamente tali. Questo, semmai, l’obbiettivo da perseguire per implementare un processo di decarbonizzazione che pur essendo in atto già da un po’, sembra aver subito un recente rallentamento.

Sempre R. Pielke jr ha scritto sul suo libro tempo fa che per stabilizzare il livello di CO2 in atmosfera (secondo gli utopici proponimenti dell’UNFCCC e secondo i suggeritori del movimento AGW) sarebbe necessario portare la quantità di energia primaria prodotta da fonti alternative a quelle fossili dal 13,9% al 90%, cioè l’equivalente dell’apertura di una centrale atomica al giorno.

Mi sa che se i numeri della UE subiranno il paventato “aggiustamento” una centrale quotidiana non basterà più, ce ne vorranno due.

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Published inAttualitàNews

3 Comments

  1. MarcoB.

    scusate….mi allaccio velocissimamente all’Iva sulla Tia, scusate ma visto che la applico per lavoro….in realtà è giusto nel concetto l’intervento della Corte, ma in pratica se l’Iva applicata fosse levata dovrebbe essere sostituita in un ruolo aggiuntivo di pari importo…lo spirito della TIA è spalmare i costi (e solo questi) di gestione del servizio rifiuti sostenuti dall’ente al fine di razionalizare la spesa e risparmiare nell’importo, (cosa che può succedere solo se viene fatta bene la raccolta differenziata etc.etc.)….in realtà gli enti il costo Iva lo sopportano quando pagano le fatture, quindi caricarlo o no nella bolletta/fattura, per un privato non cambia molto, in soldoni se la fattura/Tia è 100 iva compresa….o la bolletta/Tarsu è 100 senza iva, in realta cambia poco per i privati cittadini
    pardon e stato piu forte di mè^^

    Reply
    Grazie per la spiegazione. Ma allora perché si è parlato di rimborsi?
    gg

    • MarcoB.

      Non è mai bello criticare una sentenza…ripeto nel merito la corte ha equiparato la tariffa ad una tassa e in forza di questo ha negato la possibilità di applicare una imposta sulla tassa. Ora il legislatore nel momento di creare la Tariffa non intendeva considerarla tassa (che gia c’era) cmq successivamente lo stato è intervenuto con una interpretazione e ha sospeso i rimborsi dopodiche le varie ass.consumatori si agiteranno etc etc etc magari alla fine i rimborsi si dovranno pure fare vedremo.
      Non entro eccessivamente nel merito ma questa storia è “italiana” per definizione, italiana perchè a dimostra come la PA vada a velocita diverse sono pochi i comuni che hanno applicato la Tia anche se sarebbe obbligatoria, italiana perchè dimostra lo strapotere delle caste Giudici Associazioni Consumatori Avvocati etc, italiana perchè all’italiano medio non gli frega nulla di sapere come funzionano le cose..se sia giusto o sbagliato…basta solo avere il rimborso….senza domandarsi tra l’altro come farebbere i comuni a recuperare quei soldi (ossia da loro stessi). Ce ne sono tante di cose “italiane” che si vedono e alla fine hanno portato il debito etc. etc.
      Cmq beninteso…..ci sono anche cose “italiane” positive!!!^^
      ciau

      Reply
      Beh, grazie di nuovo.
      gg

  2. donato

    Breaking news.
    Niente paura, non è successo nulla di terribile. La novità, si fa per dire, è che nel gr1 (Rai) delle 12.00 di oggi, uno sbalordito corrispondente da Pechino ci informava che una delle principali fabbriche per la produzione di pannelli fotovoltaici era stata chiusa dopo la rivolta dei cinesi dei dintorni. Motivo? Il grave inquinamento ambientale prodotto dalle lavorazioni. Il giornalista si meravigliava, in particolare, del fatto che una “fabbrica verde” che avrebbe dovuto essere al top delle misure per la salvaguardia ambientale, in realtà, inquinava in modo tale da meritarsi la chiusura (considerato che ci troviamo in Cina e che i cinesi, in fatto di inquinamento hanno la manica larga, immaginate un po’ voi che cosa è successo, n.d.a.).
    Ora che cominceranno a fare i conti tenendo presenti le emissioni di CO2 causate dalla produzione dei pannelli fotovoltaici, neanche le due centrali atomiche al giorno saranno sufficienti.
    Ciao, Donato.

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