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Danni da eventi estremi tra scienza e propaganda

Un paio di settimane fa vi abbiamo dato conto, seppur brevemente, dell’ultima iniziativa mediatica dell’uomo politico più impegnato di tutti a far proseiliti sul catastrofismo climatico. Una maratona di 24 ore di video e documenti tra i quali, come sempre, l’hanno fatta da padrone gli eventi atmosferici estremi. Non importa a quale scala spaziale e temporale essi appartengano, se siano cioè climatici o meteorologici. Se fanno danni di sicuro è colpa del riscaldamento globale.

Il cliché del resto è noto. Ai tempi di Un inconvenient truth (la climafiction pluripremiata e pluridiscussa del 2005), l’uragano Katrina ebbe la parte del protagonista. Visto il successo dell’operazione, perché non ripetersi?

Una ragione su tutte, perché quella degli eventi estremi e della loro riconducibilità ad una non meglio specificata tendenza del clima a cambiare per cause antropiche, è la frontiera più controversa dell’attuale conoscenza scientifica. Ma non solo. Se infatti uno degli ostacoli più insormontabili è la disponibilità di serie storiche affidabili che permettano di analizzarne eventuali variazioni di trend nel lungo periodo, una delle poche certezze che invece ci sono è che il costo dei danni da essi provocati aumenta per ragioni sociali ed infrastrutturali, non per effetto di una non verificabile variazione della potenzialità distruttiva.

Nonostante ciò, c’è chi continua imperterrito a trasmettere messaggi allarmistici malgrado queste affermazioni manchino assolutamente di supporto scientifico. Tra questi, naturalmente, l’uomo politico di cui sopra. Se li inventa? Beh, forse in parte sì, come pare abbia fatto per l’esperimento in diretta video che avrebbe dovuto dimostrare il potere riscaldante della CO2, ma, per la maggior parte invece, essi provengono da fonti che dovrebbero essere autorevoli, ma che sono state più volte colte a far propaganda piuttosto che fornire informazioni scientifiche.

L’ultimo caso è emblematico, e dimostra che una certa materia decisamente abbondante su questo pazzo Pianeta, non dovrebbe mai essere smossa, perché poi fa pesare ancora di più la sua presenza.

Andiamo con ordine e teniamo a mente alcune tappe fondamentali: l’uragano Katrina nel 2005, la pubblicazione del 4° Report IPCC nel 2007 e la pubblicazione dell’Endangerment and Cause or Contribute Findings for Greenhouse Gases dell’americana EPA (Environment Protection Agency) nel 2009.

L”uragano Katrina, la prima tappa, è stato purtroppo uno degli eventi atmosferici più distruttivi del passato relativamente recente. Anche dopo aver chiarito che i danni provocati sono stati in larga misura ascrivibili alla particolare sensibilità del territorio colpito ed agli errori commessi nel tempo per gestirlo, dire che se questi eventi fossero tutti così sarebbe un disastro è fin troppo facile.

Il 4° Report IPCC, la seconda tappa, è il documento che il Panel Intergovernativo delle Nazioni Unite per i Cambiamenti Climatici ha redatto per racchiudere in unico corposo lavoro lo stato dell’arte della conoscenza scientifica sul clima, sugli effetti delle sue variazioni, sulle cause delle stesse e sulle azioni eventualmente necessarie a fronteggiarle e/o mitigarle. In questo report, purtroppo, molta, moltissima scienza ma anche molti, moltissimi evidenti esempi di scarsa attenzione all’attendibilità delle fonti, con una evidente propensione a confezionare un messaggio che chiarisse la necessità di agire a prescindere dalla veridicità di quanto riportato. Il caso dei ghiacciai dell’Himalaya è certamente emblematico.

La terza tappa, il documento dell’EPA, conteneva tra molte altre cose anche un altro chiaro ed inequivocabile messaggio: l’anidride carbonica, se in eccesso rispetto a quanta ne dovrebbe essere naturalmente contenuta in atmosfera, e con essa molte altre sostanze le cui emissioni sono riconducibili alle attività umane, è un inquinante, e come tale deve essere ritenuta potenzialmente pericolosa per le generazioni future; quindi, l’agenzia federale – come è nelle sue attribuzioni- imponeva a quello che allora era lo stato con il più alto livello di emissioni di CO2 di adottare una policy di riduzione delle stesse.

Di per se, questo farebbe parte del normale trasferimento della conoscenza scientifica nel processo di generazione delle policy. Ma cosa accade se questa informazione scientifica non è tale, ovvero se per ottenerla e divulgarla si è derogato al metodo scientifico? Dipende. Se questa deroga è incidentale, ovvero se le informazioni non sono definitive ma parziali o viziate da errore legittimo, le policy adottate potranno essere sbagliate, ma così va il mondo, errare è umano. Se questa deroga è voluta e ripetuta, le policy potranno ancora una volta essere sbagliate, ma perché qualcuno ha deciso arbitrariamente come il mondo debba andare. E tra i due casi c’è una bella differenza.

Qualche giorno fa, è stato pubblicato un documento richiesto dal Senato USA, con il quale è stato messo in evidenza che l’EPA, nel formulare i sui ‘Findings’, ha largamente derogato alle procedure di analisi e trattamento delle informazioni scientifiche che essa stessa si è data. Il documento, tuttavia, non è entrato in alcun modo nel merito degli aspetti scientifici, è stato limitato agli aspetti procedurali, quali ad esempio la verifica delle fonti. Nella ricerca le fonti sono solo di due tipi: o si tratta di materiale sottoposto alla validazione del peer-review oppure no. Nel primo caso è buono in quanto si suppone che abbia passato il processo di verifica, nel secondo è da prendere sempre con le molle perché può essere condizionato da molti fattori che con la scienza hanno poco a che fare. Per fare un esempio, il documento cui nel Report IPCC si faceva riferimento per la faccenda dei ghiacciai dell’Himalaya era del secondo tipo. Anzi, nella fattispecie si potrebbe dire anche del terzo, cioè veniva da una intervista rilasciata da uno studioso e successivamente ripresa in un report del WWF, cui erroneamente era stato spostato uno zero. Il vaticinio di definitivo scioglimento dei suddetti ghiacciai, pronunciato in forma di chiacchiera, passava così dal 2350 al 2035, veniva sdoganato nel report e approdava, facendo ribaltare qualche sedia, nelle redazioni di tutti i media del mondo.

Ora, se l’equazione è +CO2 = + eventi estremi = il CO2 è un inquinante pericoloso, cosa mi serve per sostenerla? Semplice, gli eventi estremi. Ma se questi non li ho, cioè non ho delle serie affidabili che ne descrivano variazioni tangibili di frequenza di occorrenza e intensità come faccio? Beh, si possono usare i danni che provocano. Sappiamo che nella fattispecie c’entrano tante altre cose, ma se questi aumentano in modo vertiginoso un po’ di verità ci sarà nell’affermazione principale.

E così, l’EPA, ricorre al 4AR per ‘documentare’ l’aumento dei danni da uragani. L’aumento è evidente, specie negli ultimi vent’anni e specie dopo il passaggio dell’uragano Katrina. Il 4AR questa informazione la conteneva tra i documenti del WGII. Esattamente la stessa immagine riportata nel documento EPA. La didascalia riportava ad un lavoro di Roger Pielke jr, ricercatore esperto nel settore. Tutto bene no?

No, perché all’epoca della pubblicazione del lavoro di Pielke i dati su Katrina non erano ancora diponibili. Nella sua ricerca infatti il grafico è differente. Il WGII, cioè chi ha curato quella parte di report, ha modificato il grafico aggiungendo quanto appreso successivamente, ovviamente non proveniente da letteratura peer-review. E infatti, un lavoro pubblicato successivamente (2008) ha chiarito che una volta sottratti dal trend tutti i fattori riconducibili alla sensibilità del territorio e alle modifiche infrastrutturali ed urbanistiche, il trend dei danneggiamenti non è affatto aumentato. Così come, del resto, non è aumentato il numero di eventi che arrivano a toccare le terre emerse.

Qui sotto l’immagine a supporto del documento EPA 2009:

EPA 2009

Segue (identica) l’immagine a supporto del 4AR 2007:

IPCC 4AR 2007

E ancora il particolare, sempre a supporto del 4AR 2007

IPCC 4AR 2007

Qui, invece, il trend di lungo periodo per come in effetti è stato calcolato secondo pubblicazioni ufficiali

Pielke et al 2008

Sicché l’IPCC prima e l’EPA poi, hanno decisamente derogato al metodo scientifico confezionando un messaggio che non corrisponde alla realtà e non ha supporto scientifico. Chi fa, o pretende di fare divulgazione lo ha prontamente raccolto e diffuso. Così ora tutti sanno che gli eventi estremi aumentano, soprattutto gli uragani, e sono sempre più distruttivi. Anche se questo non è vero.

Un problema di burocrazia? Non proprio. Vediamo cosa ne pensano alcuni eminenti protagonisti della scienza del clima:

“Questa è una battaglia tra legali, Il problema in questo caso non è scientifico. Se cominciamo a prendere consigli scientifici dai legali siamo in profonda difficoltà.”

Andrew Dessler

“Tutto  ciò non ha nulla a che fare con la scienza che giustifica l’Endangerment Finding e molto a che fare con la politica […] Non c’è niente che indebolisca la direzione intrapresa dall’EPA”

Kevin Trenberth

Le procedure contano, ma la scienza conta di più e in questi Endangerment Finding la scienza è accurata.

Francisca Grifo

Tradotto: nessuno si permetta di mettere il naso nei nostri affari; non c’è niente da vedere qui, circolare; le procedure possono essere derogate.

Si potrà obbiettare che anche la letteratura cosiddetta ‘gray’, cioè non peer-review debba poter essere impiegata a supporto del processo decisionale. Passi dunque per la deroga, comunque contraria al suo mandato, operata dall’IPCC. Ma per l’EPA il discorso è diverso, perché il trend reale era più che noto al momento della pubblicazione, e non averne tenuto conto può essere comprensibile solo in chiave di un messaggio preconfezionato. Si potrà obbiettare ancora che tutto questo avviene dall’altra parte dell’oceano e che quindi per noi non è importante. Allora ricordiamo che gli USA competono con la Cina per il primato delle emissioni, e che una policy di riduzione fondata su informazioni scientifiche soggette a condizionamento invece ci riguarda tutti.

Embè? Importa a qualcuno? Penso di sì, per due ragioni. Innanzi tutto importa all’autore della ricerca in questione, che fino a prova contraria detiene la proprietà intellettuale del lavoro che è stato manipolato. Un lavoro che, diversamente, non avrebbe potuto sostenere il messaggio diffuso. E poi importa a tutti noi, perché nel farci sapere che questi eventi estremi aumentano, e non è vero, ci fanno anche sapere di avere in tasca la soluzione, e neanche questo è vero. Nonostante ciò, naturalmente, implementare questa soluzione tocca a noi.

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Published inAttualitàNews

6 Comments

  1. Guido Botteri

    Simone, io uso il “tu” perché così prevede internet; se non ti piace, dimmelo, e passerò al “Lei”.
    Personalmente non ho mai buttato una carta per terra, e se mi è caduta, anche in mezzo a tante cartacce (vivo a Napoli) l’ho raccolta e buttata nel cestino.
    Ma tutto questo non c’entra con la percentuale di CO2 in atmosfera, te ne rendi conto ?
    Tu dici “anche se non dobbiamo per forza dire, né possiamo/sappiamo dimostrare, che gli eventi catastrofici siano effetto o meno dell’attività antropica”;
    sbaglierò, ma posso sintetizzare la tua frase in “non riesco a dimostrarlo, ma ho ragione” ?
    Se intendi questo (sarai tu a confermarlo o negarlo) vorrei umilmente farti notare che, se (con tutto il mondo ufficiale, governi, istituzioni, media e via dicendo scatenati nel voler imporre questa idea) non si riesce a dimostrare questa cosa, “dovrebbe” magari venirti in mente che la tua idea non debba per forza essere quella giusta… suvvia, un po’ di umiltà ci rende migliori, e mettere in dubbio le nostre opinioni, soprattutto quando esse cozzano contro l’evidenza dei fatti, è un sano esercizio di buonsenso e spirito scientifico.
    Da quel che hai scritto – se interpreto bene – direi che tu sia una vittima di quel processo di confusione di informazioni e messaggi che i media ci hanno imposto in anni e anni di bombardamento mediatico.
    Tu parli di un mondo pulito, di comportamenti civili (principalmente), di varie forme di “inquinamento”.
    Ma tutto questo non c’entra con le percentuali di CO2.
    Se io (da una vita) getto la carta nel cestino, la percentuale di CO2 non aumenta e non diminuisce.
    Non confondiamo l’inquinamento con la temperatura.
    Sì, hanno creato una definizione (direi maliziosa) di “inquinamento termico” applicabile alla CO2, ma solo nel caso che l’aumento di temperatura sia davvero inarrestabile e da attribuirsi a colpe umane e non a fenomeni naturali (cosa tutta da dimostrare, anzi…) e che l’aumento di temperatura sia un danno mentre una diminuzione di temperatura non lo sarebbe.
    Se consulti le statistiche di mortalità mensile, scoprirai che essa è maggiore (guarda un po’) nei mesi freddi (e dico “freddi” perché a febbraio in Australia fa caldo, mentre fa freddo ad agosto), e quindi è logico ritenersi che un leggero aumento di temperatura nel complesso possa far “diminuire” la mortalità e NON aumentarla, in barba al concetto di “inquinamento termico” applicato solo in un verso.
    Dunque, il tuo commento è centrato sull’inquinamento, NON sulla CO2.
    Vorrei farti notare però che una atmosfera inquinata e sporca tende a far “raffreddare” il pianeta, NON a farlo riscaldare. Non a caso, credo, i sostenitori dell’AGW (riscaldamento globale di origine antropica) parlano di aerosol per giustificare la mancanza dei loro riscontri con la realtà.
    Infatti le particelle emesse da un vulcano causano un evidente raffreddamento (ben visibile nei grafici).
    Siamo tutti contro l’inquinamento, ovviamente. Sfondi una porta aperta.
    Però, individuato un nemico, sarebbe bene colpire il nemico senza fare danni maggiori dei vantaggi che abbiamo, no ?
    Per spiegare la mia idea farò il classico esempio (“classico” nel senso che lo faccio spesso) del bambino e dell’acqua sporca.
    Il bambino è un bene prezioso, ma ha il difetto di sporcare (come padre lo so bene 🙂 ).
    Bene, lo sporco è paragonabile all’inquinamento, e il bambino alla nostra civiltà che ha creato tanto benessere.
    Ok, c’è qualcuno che ama lo sporco ? Tranne qualche isolato depravato, direi che tutti aborriamo lo sporco. Il bambino va lavato e tenuto il più possibile pulito; lottiamo contro lo sporco (inquinamento), ma non buttiamo il bambino con l’acqua sporca !
    Ecco come io vedo l’inquinamento, come un male (secondario rispetto al bene primario, molto più importante, del bambino) da combattere.
    Nella lotta contro l’inquinamento, mi trovi alleato, purché non si tratti di buttare il bambino…allora no, allora mi ribello con tutta la mia forza.
    Perché, come ti è stato detto, la speranza di vita nei Paesi non inquinalti è (guarda caso) la metà di quella dei Paesi dove c’è maggiore inquinamento, veleni, radiazioni, industrie (oh, orrore, le industrie ! 🙂 )…. beh, non sono i veleni a farci star bene, anzi fanno male, e facciamo bene a combatterli, ma sappiamo bene quale vita di stenti si faceva nel medio evo, a cui tu dici di non voler tornare, ma al quale torneremmo comunque, o anche peggio, se non capiamo che l’acqua sporca va buttata, ma non il bambino !
    Secondo me.

  2. Sandro1

    Salve Simone, il signor Guido Guidi ci illustra certamente dove vanno a parare queste persone. Potrei aggiungere qualcosa per indicare la strada giusta. Per meglio affrontare la problematica inquinamento e cambiamenti ambientali, climatici. Intanto le posso dire che non c’è nessuna cura per il riscaldamento globale. Contro l’inquinamento, le crisi ambientali, tante c’è ne sarebbero.
    Ora difficile rimane spiegare brevemente le cause di raffreddamento o riscaldamento globale. Senza cadere in errori dovuti a sintetizzare le varie alterazioni, o insieme di eventi, che provocano o invertono addirittura un trend climatico. Lei deve pensare, che il nostro pianeta è ricoperto 3/4 da oceani, il suo destino è diventare come Venere. Detto questo lei deve ricercare documentazione riguardante i cicli di Milankovitch; il moto millenario terrestre, che prevale sulle altre componenti o forzanti interne ed esterne. Quella variazione che nel tempo domina, nell’insieme geofisico terrestre. Quindi è qualcosa di ciclico. Per esempio forzanti: geologiche, geomagnetiche, radiazioni, sole, pianeti, asteroidi. Che concatenatesi a volte, vanno ad agire sull’atmosfera terrestre, raffreddando, riscaldando o alterando la chimica. Irrilevante nel complesso è l’operato dei terrestri, anche perché di inquinamento trattasi, che lega successivamente agli elementi chimici presenti nella geomorfologia o biosfera del nostro pianeta.

    L’IPCC segue i vari trend di GW delle interglaciali a caso e non si verificano le loro previsioni. Traccia una media e c’è la spara come colpa nostra, non è proprio cosi’ scusatemi i modi. Diciamo intanto dispersione di misure? Oppure possiamo iniziare a pensare ad un gioco forza in cui si erra tutta la previsione? Di fatto l’interglaciale prendiamo il più comodo Eemiano, è scaturito da forzanti naturali non antropiche. Attualmente, invece, le forzanti antropiche non vengono verificate nella previsione IPPC, perché irriproducibili.
    Ovvero qualsiasi fase interglaciale naturale di global warming è irriproducibile dai terrestri. A meno che, non si copra di inceneritori, o bruciatori a petrolio dir si voglia, un’area equivalente al deserto del Sahara.
    Poi, qualcosa in questa falsa interglaciale non torna, l’Antartide o per esempio il deserto sahariano. Invece di ”rinverdire” o meglio, formare la tipica vegetazione dei deserti nordamericani, è nel corso dei millenni avanzato; inglobando antichi insediamenti, anche romani. Ciò testimonia di quelle epoche, più caldo in Europa, ma più piovoso e umido in nord Africa. L’interglaciale è già finito da un pezzo e non c’è ne siamo accorti? Mia mera supposizione questa, perché non sappiamo l’evolversi atmosferico, l’accoppiata oceano/continente; relativamente zona per zona, paese per paese, sui continenti sulle fasce tropicali, del cancro e capricorno.

    Saluti

  3. Simone

    anche se non dobbiamo per forza dire, né possiamo/sappiamo dimostrare, che gli eventi catastrofici siano effetto o meno dell’attività antropica, sta di fatto che il modello di società odierno non è di certo tra i migliori. vogliamo continuare a prendere l’auto per andare a comprare le sigarette dal tabaccaio a 300m di distanza? vogliamo continuare a mangiare fragole in inverno e cavolfiore in estate? vogliamo continuare a usare stoviglie di plastica per non perder tempo a lavarle? o continuare a riscaldarci troppo in inverno e congelare in estate? anche se credo che l’effetto antropico sia tra le cause del riscaldamento globale, io non cerco di vivere sostenibilmente perché gli scienziati me lo dicono. lo faccio perché voglio vivere in un mondo dove si possa respirare; dove camminare per la strada non sia fare lo slalom tra le cartacce (e se cammino su sentieri di montagna mi aspetto di non trovarne affatto); dove sappia quello che mangio e non venga intossicato dagli antibiotici o dalle sostanze tossiche/radioattive ingerite dagli animali che pascolano su terreni dove son stati sepolti rifiuti tossici (qua si potrebbe anche aprire un intero capitolo sul consumo di carne..); …
    so che i miei sforzi sono “inutili” da solo. per questo cerco, nel mio piccolo, di coinvolgere gli altri ed a volte ci son riuscito. poco mi importa se tra 10 anni avremo 1 ciclone a settimana. io avrò fatto quello che posso (ma volendo si potrebbe fare ancora di più!) per seguire il saggio consiglio “lascia il mondo migliore di come lo hai trovato”. dopotutto io credo che la politica non sia solo quella dei grandi, di obama o della merkel, di gore o di putin, per altro poco o per nulla influenzabili, nel breve periodo, da ciò che penso/faccio/dico. la politica sono le nostre azioni, le nostre scelte sostenibili o quantomeno consapevoli. non dico di tornare all’età della pietra, ma di cercare di ridurre il nostro impatto sull’ambiente.
    che senso ha dire che gli studi scientifici sul clima non sono realmente scientifici? che son solo allarmismo? per caso lo sono gli studi della exxon che rassicurano che l’uso del petrolio non è dannoso? alcuni studi degli anni ’50 affermavano che fumare non fa male, ma, addirittura, è salutare. chi commissionava quegli studi? le case produttrici di tabacco… non ho bisogno di studi scientifici per dire che ho malessere a camminare in città (e non abito in una città dove il traffico è costantemente ingolfato e il livello di particolato è elevato). non ho bisogno di studi scientifici per capire che il gusto della verdura fuori stagione è nullo, non ho bisogno di studi scientifici per notare la bruttezza di luoghi naturali deturpati dalla presenza di rifiuti. gli studi scientifici possono essere manipolati facilmente, per interessi economici o per propaganda. il mio benessere non può essere manipolato, invece. che mi importa (si fa per dire) se siamo o no la causa del riscaldamento? mi importa, invece, esserne la cura.

    • Buongiorno Simone, il tuo è un commento interessante, con divisibile e, allo stesso tempo controverso.
      Partiamo dalla fine. Se il fattore antropico non è all’origine (preponderante) del riscaldamento, parimenti non può esserne la cura. Cioè, la condivisibile condotta che tu suggerisci avrà effetto, come è giusto che sia, sull’ambiente in cui viviamo, non sul clima che lo contraddistingue. Per cui tot cicloni erano e tot cicloni saranno. Nella valanga di informazioni allarmistiche, già riuscire a separare questi concetti sarebbe buona cosa, perché non vorrei che ti fosse sfuggito (ma non credo), che per salvare l’ambiente qualcuno ha pensato di far soldi a palate elevando l’aria (di cui la CO2 è componente essenziale) al rango di commodity, con tanto di finanza e mercato ad essa dedicato.
      Chiarito questo concetto non proprio immediato, ci sarebbe da chiedersi perché, se la scienza dice che non è attualmente possibile individuare alcun segnale di forcing antropico sulla frequenza di occorrenza e intensità degli eventi estremi, la leva di un loro ipotetico aumento che viene da simulazioni che stanno perdendo decisamente il confronto con la realtà debba essere utilizzata. Forse per la commodity di cui sopra?
      Ora, che ci siano margini enormi di miglioramento del rapporto uomo/ambiente è fuor di dubbio, ma vorrei ricordare che questo rapporto è migliorato nelle ultime decadi in modo paradossale grazie allo sviluppo, che portà però con se gli eccessi e gli aspetti negativi cui hai accennato. E non è neanche un segreto che le cosiddette policy di mitigazione, che poi si traducono in una maggiore difficoltà ad avere accesso ad energia a basso costo, potranno anche essere in qualche modo sostenibili per i ricchi, ma non lo sono affatto per i poveri di questo mondo. Per la cronaca, anche questa è scienza, nel senso che è frutto di analisi scientifiche molto più attendibili (e aggiungerei tangibili) di quanto non lo siano quelle sul futuro climatico. E ci metterei anche, sempre qualora fosse sfuggito, che questo mondo avvilente e inquinato che ci siamo costruiti, ha però magicamente portato l’aspettativa di vita al doppio (e anche più) di quanto non lo sia dove avere energia a basso costo significa bruciare sterco di animali. Tutto questo, piaccia o no, lo dobbiamo alle fonti fossili, che inevitabilmente dovranno essere superate, ma si spera che a far questo sia l’innovazione tecnologica, non la speculazione finanziaria.
      Fin qui un pensiero magari malamente informato ma soggettivo. Ora i dati oggettivi. Le dinamiche del clima non stanno seguendo le previsioni. Siccome la responsabilità antropica è basata interamente su quelle previsioni, permetti che sia lecito avere qualche dubbio? E, nel dubbio, perché usare la leva del cambiamento climatico (e della sua virtuale trasposizione nel reale attraverso gli eventi estremi) per convincere tutti gli altri che il dubbio non c’è?
      Uno dei Co-chair dell’IPCC, ha candidamente dichiarato che i summit climatici, da cui dovrebbero scaturire le policy non sono più attinenti al clima, ma alla redistribuzione della ricchezza sul pianeta. Condivisibile, ma non mi risulta siano stati dati mandati al riguardo ad organizzazioni sovrannazionali non elettive e non mi piace affatto che tutto debba nascere in virtù di un rischio climatico ancora tutto da dimostrare. Che si chiamino le cose con il loro nome, per esempio ‘fame nel mondo’, piccolo problema su cui però c’è molto meno entusiasmo di quanto ce n’è nella lotta al clima che cambia e cambia male. Uhm, forse non ci sono le commodity giuste però…
      Sotto sotto, ma neanche tanto, mi sa che le nostre opinioni non sono poi così lontane, basta però che non ci sia il clima di mezzo, perché essendo attinente a qualcosa che funziona e si spiega solo con i numeri e non con le buone intenzioni o l’ideologia, ha il difetto di dover essere numericamente spiegato. E , se i numeri non tornano, non c’è approccio ideologico che tenga.
      Grazie per il tuo contributo.
      gg

  4. teo

    Beh quale problema ci sarebbe? La manipolazione delle idee dell’autore della ricerca? Ogni giusta guerra ha sempre vittime innocenti! Let God sort’em out! Con buona pace dell’inconfutabile sistema di controllo dela scienza e delle nostre coscienze.

  5. Davvero un ottimo post…e’ inutile infatti che la fantomatica Grifo si sgoli a dire che la scienza e’ accurata, quando (1) l’EPA si e’ lavata le mani dicendo che si e’ affidata alle conclusioni altrui (pagina 23):

    EPA stated that the TSD is not a scientific assessment, but rather a document that summarized in a straightforward manner the key findings of NRC, USGCRP, and IPCC

    e (2) come dimostrato innumerevoli volte, e qui sopra riguardo gli eventi estremi, da quanto riportato viene spesso omesso ogni distinguo, incertezza e a volte finanche la verita’ scientifica.

    La Grifo e’ in realta’ Francesca T. Grifo, e si occupa nella Union of Concerned Scientists (un nome, un programma) di integrita’ scientifica, dopo una lunga carriera nell’allarmismo, pardon, lo studio delle specie in pericolo. L’umorismo non manca di certo.

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