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La moderna ‘piccola’ Età Glaciale

E’ sulle news di Nature Geoscience, e di lì ha già fatto il giro del mondo. Una notizia che naturalmente si è trasformata passando di media in media. C’è chi ne ha sottolineato il rinnovato sapore catastrofico, pur con un intrigante cambiamento di segno rispetto alla norma; chi ha preferito concentrarsi sul fatto che in fondo si tratta di previsioni stagionali o annuali, pratica in cui chi ha diffuso questa news non si è proprio distinto negli ultimi anni; e c’è chi l’ha presa per quello che è, un probabile passo avanti nella direzione giusta per comprendere i complessi meccanismi del clima – o almeno una parte di essi- nel medio e lungo periodo climatico.

Si parla del forcing esercitato dal Sole sul sistema. Finalmente, dopo un lungo periodo di vero e proprio oscurantismo, la possibilità di disporre di misurazioni accurate di una componente importante della radiazione solare, la radiazione ultravioletta, ha permesso che di accendere la luce. Per anni infatti, le simulazioni climatiche sono state fondate sul principio che l’attività solare, intesa esclusivamente come TSI (Radiazione Incidente Totale), non avesse alcun impatto tangibile sulle dinamiche del sistema. Stabile o quasi la TSI, molto variabile il clima, i due sistemi non potevano essere legati.

Di qui la pratica di inserire la componente solare nei modelli di simulazione climatica come costante. Grazie alle misurazioni ottenute dal programma satellitare SORCE, sono state rilevate delle oscillazioni della radiazione ultravioletta che arriva dal Sole cinque volte maggiori di quanto si riteneva possibile. Inserendo questi dati in un modello climatico, ne è venuta fuori una ricostruzione a scala stagionale dei pattern atmosferici dell’area del nord Atlantico molto più fedele alle osservazioni di quanto fosse mai accaduto. In particolare, i periodi di scarsa attività solare e di conseguente forte diminuzione della radiazione UV, riproducono il pattern della circolazione atmosferica della NAO (Oscillazione del Nord Atlantico) negativa, un modello circolatorio che genera l’abbassamento di latitudine della rotta delle perturbazioni atlantiche, con relativo frequente interessamento dell’Europa mediterranea e con aria fredda di origine polare che si spinge con maggiore frequenza sul settore settentrionale del continente.

Di qui hanno preso spunto in modo molto superficiale e con toni molto giornalistici i titoli che hanno circolato sui media d’oltremanica, tutti improntati all’imminenza di un altro inverno freddo per le isole Britanniche – il terzo consecutivo- paventando i prodromi di una nuova ‘piccola’ età glaciale. Ora, va detto, una parte della colpa pare l’abbiano anche i ricercatori che hanno firmato la Letter su Nature Geoscience. Il paragone con la PEG, il periodo freddo occorso circa tra il 1400 e il 1750, nota per la scarsa attività solare che l’ha caratterizzata, lo hanno fatto proprio loro seppur indirettamente. In alcune delle dichiarazioni rilasciate, leggiamo infatti una breve descrizione di quel periodo, che non sarebbe stato affatto un periodo glaciale in senso stretto, quanto piuttosto una fase con una frequenza di occorrenza di inverni rigidi più elevata (e di estati piuttosto instabili aggiungerei). Ora il minimo solare c’è, gli inverni rigidi per l’Albione pure, il paragone è bello e fatto. Una news mica male se si tiene conto del fatto che l’inverno è alle porte.

A questo punto, direi valga la pena di far notare un piccolo particolare. Questo studio affronta il tema delle dinamiche del clima a scala stagionale o al massimo decadale. L’opinione degli autori è che questi periodi freddi per l’area europea si compensino con periodi invece più caldi in altre parti del Pianeta, finendo per avere un impatto quasi irrilevante sulle temperature globali. Tradotto nel linguaggio obbligato di chi giustamente non vuol correre il rischio di essere messo al bando dal mainstream scientifico, significa che quanto da loro scoperto non ha nulla a che vedere con il riscaldamento globale, che comunque c’è, ci sarà e ci porterà alla rovina. Amen.

Però, però, se gli autori fanno il paragone con la PEG descrivendola in modo assolutamente condivisibile e immaginando che quello da loro descritto possa essere il meccanismo fisico attraverso cui si manifestavano quelle serie di inverni rigidi, non si può negare che proprio tutti quegli inverni, abbiano finito per far segnare una evidente e marcata flessione delle temperature medie superficiali per quel periodo. Un fatto ottimamente documentato per l’Europa, ma presente, è molti dati proxy lo dimostrano, anche in molte altre parti del Pianeta, se non addirittura ovunque.

Morale, una, due, tre stagioni fredde causate da pattern atmosferici innescati da scarsa attività solare, certamente non caratterizzano il clima del lungo periodo. Se l’attività solare resta bassa e il numero delle stagioni avverse aumenta il segnale prima o poi emerge anche a scala climatica, global warming o no. E, guarda caso, da quando è crollata l’attività solare le temperature non crescono più. Anzi, il trend (comunque molto breve) dai primi anni 2000 ad oggi è leggermente negativo.

Quello che succederà ora, comunque, nessuno lo sa né lo può sapere, perché le capacità predittive sull’attività solare non sono migliori di quelle climatiche. E ora sappiamo anche il perché. Per cui parlare di rinnovata ‘piccola’ glaciazione è puramente speculativo, né più né meno come parlare di disfacimento climatico da caldo. Semmai si potrebbe riflettere sul fatto che soltanto l’anno scorso, con mezza Europa e un buon pezzo di Stati Uniti sotto la neve, qualcuno è riuscito anche ad attribuire il troppo freddo al troppo caldo. Buon per lui.

Ad ogni modo, al di là delle considerazioni più o meno speculative in chiave global warming sì global warming no, da questo studio emergono due cose importanti:

  • Il collegamento tra l’attività solare, l’alta atmosfera e la circolazione troposferica;
  • Il progresso nello skill dei modelli di simulazione climatica – sebbene per ora solo a scala stagionale – ottenuto tenendo conto del forcing solare.

Come detto poche righe più su, un passo avanti, ma non verso il disastro climatico.

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Published inAttualitàNews

4 Comments

  1. Scandalo alla BBC: uno dei suoi meteorologi ha appena bestemmiato: This is an exciting time for solar physics, and its role in climate. As one leading climate scientist told me last month, it’s a subject that is now no longer taboo. And about time, too.

    Questo è un momento speciale per la fisica solare, e per il ruolo del Sole nel clima. Come mi ha detto un climatologo il mese scorso, è un argomento che non è più un tabù. Finalmente.

  2. Alessandro

    Intanto in un nuovo libro pubblicizzato su sito de le Scienze “Laurence Smith, giovane ge­ografo dell’Università della California a Los Angeles, alle spalle un ruolo di rilievo nel disegnare gli scenari climati­ci per l’IPCC, tenta un esperimento mentale per immagi­nare come apparirà il pianeta nel 2050”. E disegna un futuro dove i NORC (Nor­thern Rim Countries) grazie al clima più caldo “saranno protagonisti di un boom di sviluppo. Da fortezza di ghiaccio inespugnabile, l’Artico potrebbe diventare la nuova Califor­nia”.
    http://lescienze.espresso.repubblica.it/recensione/La_geografia_di_domani_e_il_boom_del_nuovo_Nord/1349744
    Mah.

  3. donato

    Ricordo le considerazioni beffarde, su questo ed altri siti, dei sostenitori AGW nei riguardi di quanti invitavano a tener conto della variabilità dell’irradianza solare nei modelli climatici. Gli starnazzi delle oche, in particolare, mi risuonano ancora nelle orecchie. Oggi una rivista che nessuno potrà mai definire di serie B o “di nullo valore scientifico” mette qualche puntino sulle i. Ogni tanto una buona notizia ci vuole.
    Ciao, Donato.

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