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L’effetto Iris

Le dinamiche del sistema clima ruotano tutte attorno al concetto di bilancio radiativo, ovvero allo scambio di energia tra il pianeta Terra e lo spazio. E’ ormai noto che questo bilancio è per noi positivo, cioè, il pianeta assorbe e sfrutta per le sue dinamiche interne più energia di quanta non ne emetta. Circa i due terzi della radiazione ricevuta, restano infatti a disposizione sotto forma di calore in atmosfera, negli oceani e sulle terre emerse, favorendo il riscaldamento del nostro habitat. Questo rende il pianeta adatto alla vita per come la conosciamo.

Per comprendere esattamente come questo avvenga è necessario individuare quali siano gli elementi all’interno del sistema che hanno un ruolo predominante. Negli ultimi decenni sono stati fatti enormi passi avanti nella comprensione di questi meccanismi, grazie allo sviluppo tecnologico delle tecniche di osservazione e monitoraggio, in particolar modo attraverso l’impiego di sensori montati a bordo dei satelliti meteorologici. Molta parte degli sforzi sono però paradossalmente andati nella direzione sbagliata, ovvero si sono concentrati sugli effetti che potrebbero avere sul sistema le variazioni di elementi secondari, pur importanti, ma certamente meno decisivi di altri. E’ il caso dell’attenzione dedicata all’accentuazione dell’effetto serra ad opera dell’aumento della concentrazione di anidride carbonica, della quale sappiamo ormai praticamente quasi tutto, mentre ci sono ancora molte incertezze sul ruolo del gas serra di primaria importanza, il vapore acqueo, della fisica delle nubi e delle precipitazioni, che pure sono determinanti nel gioco di feedback che regola il funzionamento del sistema.

Il vapore acqueo è infatti molto più efficiente nell’effetto serra di quanto non lo sia l’anidride carbonica, perché è molto più abbondante e meglio distribuito in atmosfera. Dunque come mai è stata dedicata più attenzione alla CO2 che al vapore acqueo? Ci sono alcune motivazioni di carattere politico ed economico certamente, ma anche dal punto di vista fisico, si deve riconoscere alla CO2 la capacità  di intervenire nel trattenere la radiazione ad onda lunga riemessa dalla terra in quelle piccole finestre dello spettro elettromagnetico in cui il vapore acqueo non è efficiente. In pratica se il vapore acqueo è il contenitore, la CO2 sarebbe il tappo che lo sigilla definitivamente.

In questo post cercheremo di occuparci di un aspetto che riguarda questa seconda motivazione, piuttosto che andare a ripercorrere scenari di natura esterna al sistema, dei quali abbiamo del resto ampiamente parlato anche di recente.

Già molti anni fa, un climatologo tra i più accreditati, Richard Lindzen del MIT, cominciò ad investigare su quell’intima relazione che c’è tra la distribuzione del vapore acqueo in atmosfera e la formazione delle nubi. Per farlo Lindzen scelse le latitudini tropicali, cioè quelle dove, grazie alla potente convezione che contraddistingue quella parte del pianeta, queste dinamiche sono maggiormente evidenti. Partendo dall’analisi di immagini provenienti da un satellite militare, si evidenziò che ai tropici ci sono regioni con umidità  molto elevata ed altre con umidità  molto scarsa, e queste zone sono normalmente limitate da confini molto ben definiti. Le nubi, dal canto loro, oltre ad indicare aree con elevata concentrazione di vapore acqueo, avrebbero anche la proprietà  di far aumentare l’umidità  nelle zone limitrofe (Lindzen 2001). E’ a queste nubi quindi che il team di Lindzen decise dedicare maggiore attenzione. La campagna di osservazione interessò un’area sovrastante l’oceano Pacifico, normalmente caratterizzata da temperature di superficie piuttostro elevate (Indo Pacific Warm Pool).

La nuvolosità, possiede una proprietà  raffreddante se bassa ed è normalmente invece considerata un forcing positivo se di tipo alto. L’attività  convettiva notoriamente produce una grande quantità  di copertura media e bassa, quindi con forcing negativo, ma, specialmente alle basse latitudini, da questa convezione scaturisce anche molta nuvolosità  alta e sottile, quelli che noi conosciamo come cirri da cumulonembo. Lo scopo della ricerca era di cercare una correlazione tra le temperature di superficie dell’oceano e la quantità  di nubi alte che potevano “sfuggire” al top della convezione. In effetti, al crescere delle temperature di superficie, la quantità  di cirri era soggetta a diminuzione, per cui si assisteva anche ad una diminuzione del forcing positivo di questo tipo di nuvolosità. In pratica, un aumento di temperatura al suolo o negli strati più bassi, generava una convezione più intensa, delle precipitaizoni più efficienti e quindi una minor quantità di vapore condensato sotto forma di piccoli cristalli di ghiaccio nella parte superiore della nube; proprio quei cristalli da cui sono formate le nubi alte e sottili.

Questo meccanismo particolare fu battezzato “Iris Effect“, perché in effetti, sembrava che l’atmosfera possedesse la capacità di innescare un meccanismo di mitigazione all’accrescimento dell’effetto serra. Salgono le temperature ma si innescano dinamiche che diminuiscono l’efficienza del potere di trattenimento delle nubi alte, consentendo ad una maggior quantità di radiazione infrarossa di sfuggire verso l’alto, piuttosto che essere imprigionata negli strati più bassi ed accrescere ulteriormente l’energia termica diponibile al riscaldamento. Proprio come si comporta l’iride dell’occhio umano che si allarga e si restringe in funzione della quantità di luce da cui sono colpiti i nostri occhi.

Questo complesso meccanismo di feedback potrebbe essere molto importante e potrebbe anche fornire una spiegazione alla differenza che attualmente esiste tra trend osservato delle temperature e le proiezioni dei modelli di simulazione climatica. In assenza di qualsiasi feedback, il riscaldamento che potrebbe derivare da un raddoppio della concentrazione di CO2 è stimato attorno ad 1°C e questo aumento è in effetti consistente con quanto sin qui osservato. Le simulazioni però tengono conto di un potente fattore di accrescimento della temperatura originato dalla variazione della concentrazione di vapore acqueo che seguirebbe ad una maggiore evaporazione dalla superficie degli oceani. L’effetto Iride potrebbe rappresentare una sorta di mitigazione naturale della temperatura, favorendo la contrazione delle zone interessate da nubi alte che trattengono il calore verso il basso.

Come era giusto che accadesse e come dovrebbe accadere per ogni nuova teoria elaborata da un team di ricercatori, ci sono state altre campagne di osservazione che avevano lo scopo di riprodurne i risultati. Tra queste, una in particolare è giunta a conclusioni molto diverse. Potendosi avvalere del contributo di osservazioni più dettagliate, grazie all’impiego dei sensori montati su satelliti tecnologicamente più avanzati (sensori CERES), un gruppo di ricercatori capitanati da Bing Lin (NASA LaRC), trovò in effetti un forcing nelle nubi al variare della temperatura di superficie degli oceani, ma piuttosto che il vistoso fattore raffreddante ipotizzato da Linzen, identificò un debole fattore riscaldante. In pratica al variare della temperatura di superficie si produrrebbe un debole ulteriore aumento della temperatura, pari a circa 0,1°C, una reazione di segno opposto del forcing negativo dei precedenti eperimenti che si aggirava tra 0,45 e 1,1°C (Lin et al 2001).

Le differenze tra queste due campagne di ricerca sono sostanzialmente tre. La prima consiste nella scelta da parte di Lindzen di un’area a detta di Lin non adatta a questa sperimentazione, perché le SST di quella zona sono significativamente più alte che nel resto dei tropici e dunque la convezione è più potente che altrove; inoltre, ad un aumento delle temperature corrisponde sì una variazione del tipo di nuvolosità  che si forma, ma anche e soprattutto un’importante variazione della quantità della copertura nuvolosa in valore assoluto, tale da favorire comunque un maggiore assorbimento di radiazione diretta. Secondariamente Lin era in disaccordo con il modello di fisica delle nubi utilizzato da Lindzen, in quanto riteneva che le nubi basse pur avendo un elevato potere raffreddante, coprono una porzione minima del cielo rispetto a quelle alte, che sono dunque più importanti nel bilancio energetico totale. Infine, sempre secondo Lin, le misurazioni effettuate con i sensori CERES rivelerebbero che la quantità di energia che sfugge dall’atmosfera sulle regioni umide e coperte da nubi è significativamente superiore a quanto assunto dal gruppo di Lindzen, 155 Watts piuttosto che 138 Watts.

Attualmente i due sono ancora ognuno sulle proprie posizioni. Appare chiaro che saranno necessarie delle osservazioni mirate ed una più approfondita conoscenza della fisica delle nubi e del comportamento del vapore acqueo per comprendere se questo effetto Iris esiste davvero o se piuttosto, il forcing cui sono sottoposte le regioni ad alta temperatura ed abbondante convezione, è invece ulteriormente positivo. Dal canto nostro attualmente possiamo soltanto notare che mancano ancora molti tasselli alla comprensione delle dinamiche del sistema, visto che il riscaldamento prodottosi negli ultimi decenni del secolo scorso, in presenza di un forte aumento della concentrazione di anidride carbonica, è prossimo, se non addirittura inferiore ai valori dell’ipotesi no-feedback. Dal momento che questi invece ci sono si tratta di capire come mai la loro somma è attualmente in pareggio e non si produce quel veloce riscaldamento ipotizzato dai modelli di simulazione.

Nel recente passato è comparso uno studio (Spencer, Christy, Braswell e Hnilo 2007 – Geophysical Research Letters) che ha fornito ulteriori informazioni per tentare di dirimere la questione. Analizzando una serie di quindici tra le più accentuate e rapide rapide fluttuazioni di temperatura occorse ai tropici nel breve-medio periodo (30-60 giorni) nell’arco di tempo di sei anni, e raccogliendo dati di quantità  di precipitazioni, temperature dell’aria e di superficie, nubi alte e basse e radiazione riflessa, assorbita e riemessa, questo gruppo di studio ha osservato che al crescere della temperatura aumentano le nubi e le precipitazioni, cioè quanto viene in effetti previsto anche nei modelli di simulazione climatica. Tuttavia a questo aumento corrisponde invece poi una rapida diminuzione della quantità  di energia infrarossa intrappolata in atmosfera nelle regioni con copertura nuvolosa. La causa di questa diminuzione sarebbe nella rapida diminuzione della quantità  di nubi alte presenti in queste zone, in qualche modo “rispolverando” la teoria dell’Iris Effect di Lindzen e soci.

Chiaramente questi meccanismi di breve-medio periodo sono difficilmente adattabili alla complessità  del sistema nel lungo periodo, ovvero su scala temporale climatica e non meteorologica, tuttavia, semmai ce ne fosse bisogno si deve prendere atto ancora una volta che la fisica e la dinamica delle nubi, direttamente derivate dal comportamento del vapore acqueo, rivestono un ruolo importantissimo nel sistema. Se le stime che circolano sono corrette, cioè se è vero che il vapore acqueo è responsabile di una percentuale dell’effetto serra che oscilla attorno all’80%, va da sé che solo una loro maggiore comprensione ai fini della loro riproducibilità  nei modelli di simulazione potrà  fornire delle informazioni attendibili sul futuro del clima. Tutto ciò, naturalmente, ferma restando la condizione di assoluto predominio sull’intero sistema della fonte primaria di energia, cioè la forzante solare e le sue variazioni.

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Published inAmbienteAttualitàEnergia

10 Comments

  1. marcus

    L’effetto albedo diminuisce con la diminuizione della superficie ghiacciata del pianeta. Se, come tutti sostengono, la superficie ghiacciata è diminuita, allora è diminuito anche l’effetto albedo del pianeta che quindi riceverà più radiazione ( o meglio verrà respinta meno radiazione che perciò sarà assorbita dal pianeta aumentantandone la temperatura).

    Questo è vero fino ad un certo punto: difatti tutti i corpi posseggono un albedo, alcuni (come la neve) molto alto, fino al 90%, ed altri minore. Ammettendo che gli altri corpi incidano poco o nulla o che la loro albedo rimanga piuttosto costante, si tratta allora di considerare l’effetto albedo delle nuvole: molto alto nel caso delle nuvole della bassa troposfera, molto basso per quelle dell’alta troposfera.

    Riepiloghiamo: un grande effetto albedo lo hanno i ghiacci e le nuvole della bassa troposfera. La domanda allora è questa: come si può giustificare la diminuizione delle termiche globali sia al suolo che nella troposfera se l’effetto albedo dei ghiacci e delle nevi è diminuito ( con il loro scioglimento degli ultimi anni)? Io direi che la diminuizione dell’albedo dei ghiacci è stata, nell’ultimo anno specialmente, più che compensata da un grande aumento dell’effetto albedo della nuvolosità della bassa troposfera. Non ci dimentichiamo che quest’ultima ha un albedo finanche il 70%!
    Tutto questo è maggiormente vero ove si consideri che la troposfera si è raffreddata un pò ovunque ( specie al polo sud dove i ghiacci sono in aumento rispetto al trend trentennale) ad eccezione del polo nord dove il forte scioglimento dei ghiacci rende comunque molto esposta questa zona della troposfera alle radiazioni.
    http://climate.uah.edu/maps/0808big.jpg

  2. Claudio Costa

    @Marcus

    Per TSI e ISR

    La ISR cioè l’incidenza solare? questa http://www.biocab.org/ISR_Mty._Mx._1983-2005.jpg

    vale per le nuvole che schermano la TSI e quindi si dovrebbe parlare di ISR che cala più della TSI (o sbaglio?) ma l’albedo riguarda l’aumento di onde lunghe, proveniente dalla terra ( è misurabile?)

    “Lo sappiamo perchè se diminuisce l’effetto albedo dovuto allo scioglimento dei ghiacci dovrebbe aumentare la Radianza solare (TSI) che invece sta diminuendo”

    Questa frase non l’ho capita bene.

  3. marcus

    Esattamente Claudio!

  4. Claudio Costa

    Si noti la correlazione tra TSI e temperature nella bassa troposfera e immaginatevi la non-correlazione con i gas serra antropogenici.
    Chissà se anche stavolta si inventano i solfati raffreddanti!

  5. Claudio Costa

    E’ un piacere leggervi.

    Siete la conferma che tante battaglie e discussioni che ho fatto nel web, erano nel segno giusto!

    Complimenti a Guidi e anche a Marcus!

  6. marcus

    fantastico, proprio quello che ci vuole.
    Allego di seguito un mio intervento scritto altrove una decina di giorni addietro.

    “E mentre la rete censura quasi automaticamente il GW ( strano ma nessuno ne parla ultimamente), mentre l’IPCC smette di tuonare, mentre i poli smettono di sciogliersi e gli orsi di affogare, mentre le termiche smettono di crescere, insomma!! mentre gli studiosi internazionali cercano di capire cosa stia accadendo ( o forse mentre cercano d’inventare la prossima catastrofe), (mentre tutto questo) cerchiamo di riassumere in poche righe ed in pochi dati quello che è accaduto negli ultimi 12 mesi.

    Alla fine degli anni ’90 uno studioso danese Enrik Svensmark in carico presso la Solar-Terristrial Physics Division del Danish Metorological Institute, pubblicò un interessante studio che mostrava una forte relazione tra l’attività magnetica solare e la capacità dei raggi cosmici (prevalentemente elettroni e protoni) di raggiungere la Terra.
    In particolar modo il risultato dello studio conduceva a questa soluzione ( la riassumo velocemente ma ne troverete dettagli maggiori nella rete): minore è l’attività magnetica solare in pendenza dei minimi del ciclo di Schwalbe, maggiore sarà la quantità di raggi cosmici da cui la Terra sarà colpita. Durante i massimi del ciclo solare, invece, il vento solare propaga il campo magnetico solare verso quello terrestre inibendo ai raggi cosmici la via verso l’atmosfera terrestre.
    I raggi cosmici hanno una particolare funzione, questa la tesi di Svensmark: a contatto con l’atmosfera generano particelle instabili ( neutroni) che favoriscono la formazione di nubi nella bassa troposfera. L’aumento della nuvolosità secondo Svensmark determinerebbe quindi una minor radianza solare ed una diminuizione delle termiche terrestri.

    In molti si sono affrettati a disintegrare questo studio che, va detto, ha realmente presentato alcuni elementi di caducità. Tuttavia mi trovo qui a commentare dati che in nessun modo contrastano con al teoria di Svensmark. Sembra che lo studioso danese, tacciato di pressappochismo, sia stato molto più veritiero dei miliardari studi promossi da certi centri di studio e di ricerca.

    Di seguito riporto dei dati ( poi ognuno ha la libertà di farsi una propria ideaa o di continuare a vedere i video o i cartoni animati di Al Gore o Burton).

    Svensmark nel 1997 scrive che dagli esperimenti da lui promossi ( il progetto si chiama SKY) emergerebbe chiaramente che i raggi cosmici favoriscono la formazione di nubi nella bassa troposfera, che queste hanno un potere riflettente dei raggi solari e che pertanto: maggiore sarà la quantità di raggi cosmici in ingresso, maggiori saranno le nubi in bassa troposfera, minore sarà la radiatività solare in ingresso, e di conseguenza ci sarà una tendenza al raffreddamento del pianeta.

    Siamo in presenza di un prolungato minimo solare. Il vento solare è attualmente ai minimi livelli ( tanto è vero che la Nasa ha sentito pure la necessità di indire una conferenza sul tema http://science.nasa.gov/headlines/y2008/23sep_solarwind.htm ) e ciò rende molto meno invadente il campo magnetico solare nei confronti di quello terrestre.
    Se Svensmark ha ragione quindi noi dovremo registrare anzitutto 3 cose:

    1) fase di minimo solare del ciclo undecennale

    2) vento solare debole e campo magnetico solare meno invadente

    3) aumento dei raggi cosmici in ingresso in atmosfera

    I primi due punti sono già verificati ma metto ugualmente il grafico:

    CICLO SOLARE

    http://www.sec.noaa.gov/SolarCycle/sunspot.gif

    VENTO SOLARE

    http://www.dxlc.com/solar/images/swind1.gif

    Vediamo adesso cosa sta accadendo in atmosfera: aumentano o no i raggi cosmici in ingresso? La risposta è assolutamente sì. Affermativa.
    A voi il grafico dei neutroni, ossia del prodotto dell’interazione tra raggi cosmici e atmosfera:

    NEUTRONI

    http://webusers.fis.uniroma3.it/~svirco/images/grafico%20unico%20it.gif

    Se aumentano i neutroni aumenterà anche la nuvolosità. Come lo sappiamo che aumenta. Lo sappiamo perchè se diminuisce l’effetto albedo dovuto allo scioglimento dei ghiacci dovrebbe aumentare la Radianza solare (TSI) che invece sta diminuendo.
    Ecco il grafico da dove emerge chiaramente la stretta correlazione tra la Total Solar Irradiance e il minimo del ciclo solare.
    TSI

    http://www.woodfortrees.org/graph/pmod/to:2007

    qui possiamo apprezzare meglio la variazione della TSI negli ultimi anni

    http://www.acrim.com/RESULTS/Earth%20Observatory/earth_obs_fig12_web.jpg

    Se la Tsi non diminuisse per una maggiore copertura nuvolosa, quale dovrebbe essere la ciclica causa che ne determina un aumento o una diminuizione. D’altronde è evidente la forte correlazione con l’andamento dei cicli solari.

    Se la TSI diminuisce diminuirà anche il calore che raggiungerà la Terra. Vediamo infatti cosa sta accadendo in troposfera, ossia quella fascia di atmosfera che va dal suolo ai 15000 metri circa di altezza.

    MEDIA TROPOSFERA negli ultimi 8 mesi

    http://www.ncdc.noaa.gov/img/climate/research/2008/aug/uahncdc-sum-lt-global-land-and-ocean-pg.gif

    BASSA TROPOSFERA negli ultimi 8 mesi

    http://www.ncdc.noaa.gov/img/climate/research/2008/aug/ratpac-ytd-aug-2008-pg.gif

    Le termiche d’altronde stanno crollando anche al suolo.
    Da inizio anno le termiche delle sole centraline terrestri, rilevate da NOAA, mostrano una media che ci fa tornare indietro sino alla fine degli anni 90. Lo stesso dicase per le termiche rilevate da NOAA anche con le centraline marine e terrestri.

    Insomma, credo di aver lanciato più di uno spunto di riflessione. Per adesso, finchè possiamo, parliamo di questo. Poi magari tra qualche mese riparleremo di GW e di CO2.”

  7. Giusto Marcus, ti farà piacere sapere che stiamo preparando un approfondimento proprio sul tema della forzante solare nella sua totalità e complessità, con particolare riferimento alla relazione raggi cosmici-copertura nuvolosa-albedo-temperatura.
    gg

  8. marcus

    Gran bel tema questo! Anche perchè a mio modo di vedere si concentra su un tema su cui altri studiosi ( penso al tanto discusso Svensmark) affronta il soggetto “nubi-variazione termica” da un altro profilo: quello dell’incidenza dei raggi cosmici sulla produzione nubiforme nella troposfera.

    Penso che un bel pezzo di verità sugli andamenti climatici si fondi proprio su questo argomento affascinate, quale lo sono le nuvole.

  9. Nimby2000

    Tanto di cappello al Magg. Guidi, articolo semplicemente splendido! Grazie!

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