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Il Dio Stercuzio, il petrolio e l’ammoniaca.

Gli antichi romani veneravano, tra gli altri, un Dio della fertilità agricola: Stercuzio o Dio dello sterco, pur affidandosi alle preghiere verso una divinità avevano già capito che la fertilità dei terreni dipendeva dalla concimazione organica. Avevano infatti constatato che il letame, soprattutto ovino ma anche bovino e equino, utilizzato per concimare i campi e gli orti, aumentava la produzione e rendeva gli ortaggi e la frutta  più saporiti.

Purtroppo gli agricoltori moderni  preferiscono ai reflui i concimi minerali di sintesi come l’urea che però peggiora la fertilità dei terreni soprattutto quelli dove è massima l’asportazione di sostanza organica dai terreni, cioè i terreni a foraggi ma anche i terreni dove si asportano paglie o stocchi. Questo è l’inizio della relazione alla fiera di Cremona di un decano dell’agronomia italiana il prof. Tommaso Maggiore che insegna all’università di Milano.

Il noto (e vulcanico) agronomo predica da anni la gestione dei reflui affidata non alle sole aziende zootecniche che hanno grandissime difficoltà di costi e di gestione, ma gestita in comprensori molto ampi tipici delle lavorazioni agricole per conto terzi. Si parla quindi di incaricare dello spandimento dei reflui chi già lavora centinaia di ettari come i contoterzisti.

Alla domanda di un allevatore su quanto petrolio serva a produrre 1 kg di urea il professore ha risposto: “serve l’equivalente di 4 lt di petrolio per fare 1 kg di urea”. “Nel caso l’urea sia sintetizzata dall’ammmoniaca di sintesi ottenuta direttamente da metano, acqua, e aria, servono 560 litri normali di metano per fare 1 kg di urea (Francesco Baratto)“. 

Il dato è molto significativo, non sono in grado di verificarlo, così come l’ho sentito ve lo giro. Di fatto il costo dell’urea è strettamente legato a quello del petrolio e del carbone, perché l’urea è sintetizzata dall’ammoniaca che è un rifiuto tossico (speciale) della raffinazione del petrolio, ma anche della combustione del carbone. Quindi l’urea che è un concime azotato costerà sempre di più nel futuro, perché ce ne sarà sempre meno. Le multinazionali del petrolio e del carbone hanno pensato bene di smaltire l’ammoniaca anziché come un rifiuto, come un concime minerale sintetizzando dall’ammoniaca gassosa urea, nitrato d’ammonio, solfato d’ammonio e ammoniaca anidra liquida.

L’ammoniaca è un gas inquinante: è irritante per le vie aeree e tossico ad alte concentrazioni inoltre è causa delle piogge o polveri acide. Va a far parte del particolato atmosferico, conteggiato nei pm 10 come secondario inorganico che è circa il 30% del totale . Per finire è pure climalterante, almeno indirettamente, perché concorre assieme al protossido d’azoto, che è un’altra emissione zoogenica, alla formazione degli aerosol nitrati: nitrato d’ammonio, solfato di ammonio e bisolfato di ammonio. Questi aerosol atmosferici nel bilancio delle loro forzanti sono raffreddanti, quindi l’ammoniaca per quanto riguarda l’effetto serra atmosferico è soprattutto raffreddante, non riscaldante come molti sostengono sbagliando.

In Lombardia la concentrazione atmosferica di ammoniaca media è al di sotto della soglia tollerabile, che viene superata solo nelle zone agricole con dei picchi proprio in concomitanza con gli spandimenti dei reflui, cioè in prearatura autunnale o primaverile. Questo perché nelle tecniche di spandimento più comuni lo ione ammonio contenuto nei liquami volatilizza come ammoniaca e inoltre si sprigiona anche il protossido d’azoto.

A questo link una bellissima relazione del prof F.Adani dell’università di Milano sulle emissioni zoogeniche.

L’agricoltura e la zootecnia contribuiscono alla concentrazione atmosferica lombarda di:

  • sostanze acidificanti per il 31% del totale
  • ammoniaca per il 90% del totale (il 74% è di origine zootecnica)
  • protossido d’azoto per l’85% del totale
  • gas serra climalteranti (CH4 CO2) per il 10% del totale

Attenzione al metano, il cui dato è relativo al lordo, mentre il metano che si presume dia il riscaldamento cioè la forzante radiativa è solo quello aggiuntivo in atmosfera. Cento milioni di bovini in cento anni non vanno ad aggiungere nemmeno un grammo di metano in atmosfera. Quello emesso oggi va a sostituire quello emesso 4-12 anni fa, (lifetime del metano) non si somma alla concentrazione globale. Se la concentrazione atmosferica di metano non cambia, la forzante radiativa da metano è zero e non si crea nessun riscaldamento aggiuntivo. Lo ripeto perché su questo sbagliano ancora in molti. La produzione di metano e di NOX aumenta la concentrazione di ozono troposferico che come l’ammoniaca è dannoso all’apparato respiratorio specie negli infanti. Anche l’ozono troposferico è climalterante ma a differenza di quello stratosferico è riscaldante e non raffreddante ecco perché secondo G. Smith l’indice GWP corretto per calcolare la CO2 equivalente dal metano è 33 e non 21-23.

Questi dati li potete trovare oltre che nella relazione del F. Adani e in quella del F. Sommariva a questo link nella slide n°24, dove tratta dai dati INEMAR 2005.

Per evitare le perdite di ammoniaca e protossido d’azoto ma anche di odori sgradevoli dai reflui zootecnici, si dovranno coprire i vasconi di stoccaggio e spandere i liquami con tecniche a bassa pressione, o meglio con interratori.

Dopo il convegno nei capannelli di conversazione alla mia domanda: “Mi spiega perché noi cittadini paghiamo l’energia rinnovabile con un prelievo in bolletta, mentre, sempre in base alle stesse identiche motivazioni che giustificano il prelievo per le energie rinnovabili, non c’è nessuna tassa sull’urea per dare contributi ai concimi rinnovabili?

Dopo una fase di sorpresa per la domanda, la risposta di un noto professore è stata altrettanto sorprendente (per me): “Perché c’è la mafia delle multinazionali del petrolio che hanno tutti gli interessi a vendere l’urea!

Quindi ho rilanciato a colui che ormai è il mio mentore le domande che faccio ormai da anni:

  • Come mai gli agricoltori che pretendono di incassare il premio PAAC (premio agricolo ambientale comunitario) che pagano tutti i cittadini, non sono obbligati a concimare, almeno in parte, con i concimi rinnovabili?”
  • Come mai nelle zone vulnerabili ai nitrati, la condizionalità della PAAC (cioè le condizioni di tutela ambientale necessarie per incassare il premio) non viene applicata alla normativa nitrati ad esempio con l’obbligo di colture intercalari per evitare il dilavamento dei nitrati in falda e con l’obbligo di concimazioni organiche per ripristinare l’asportazione di sostanza organica rinnovabile ed evitare quindi erosione e dilavamento dei terreni?

Anche a queste domande è seguita una fase di sorpresa ma non c’è stata una vera e proprio risposta se non: “dovete chiedere alle associazioni agricoltori perché ci sono tanti interessi in ballo.

Spero nell’intervento di qualcuno che mi illumini sulla questione e dia risposte accettabili, perché la problematica dei nitrati è ancora lontana dalla soluzione sebbene si siano ottenuti grandi risultati, come la deroga da 170 a 250 kg N/Ha anche in zona vulnerabile e l’applicazione pratica e reale di tecniche di concentrazione e/o abbattimento conservativo dell’azoto (cioè con il recupero) come centrifugazione, ultrafiltrazione, osmosi inversa, e strippaggio a caldo o a freddo.

Se gli agricoltori fossero obbligati, volendo percepire il premio PAAC, a concimare con una quota parte di concimi rinnovabili sarebbe molto facile organizzare i comprensori con estensioni di centinaia di ettari attorno agli allevamenti come auspicato dal prof Maggiore, magari con distribuzione dei reflui con liquami dotti e sistemi di fertirrigazione, o magari con la pratica agricola delle colture intercalari. Anche sui sistemi di fertirrigazione si può, volendo, applicare un controllo accurato dei titoli di azoto, ad esempio con un impianto NIR che legge la spettroscopia dei liquami.

Questo aiuterebbe molto la soluzione della problematica dei nitrati, abbattendo i costi di gestione dei reflui per gli allevatori, ma abbattendo anche i costi delle concimazioni per gli agricoltori.

All’università Bocconi di Milano Giovedì 1 dicembre 2011 ci sarà un convegno sugli impatti della produzione agricola sui cambiamenti climatici e sull’ecologia del pianeta.

http://www.barillacfn.com/uploads/pdf/it_forum2011.pdf

 Cito (tra parentesi il mio commento):

 “LA DOPPIA PIRAMIDE ALIMENTARE E AMBIENTALE”

I nostri stili di vita hanno un impatto crescente sull’equilibrio ambientale del pianeta; in particolare, nel settore alimentare si vanno affermando modelli di consumo sempre meno sostenibili. Considerato che l’attività agricola è responsabile della produzione del 33% delle emissioni annuali di gas serra nel mondo (di cui il 36,9 % dipende dalla zootecnia: i soliti errori sul metano lordo) e assorbe circa il 70% delle risorse idriche utilizzate dall’uomo, (dicono che l’agricoltura consuma il 70% delle risorse idriche: i soliti errori tra consumo e utilizzo. Affermano inoltre che i prelievi d’acqua per irrigazione saranno ridotti in futuro dal 15% al 35% quindi prednono per buoni i modelli climatici) è evidente la necessità di rivedere la nostra dieta tenendo conto anche dell’impronta ecologica degli alimenti. In questa prospettiva il confronto tra la classica Piramide Alimentare relativa alle proprietà nutrizionali e la nuova Piramide Ambientale, nella quale ogni cibo viene posizionato in misura del suo impatto sul nostro pianeta, ha reso evidente come gli alimenti per i quali è consigliato un consumo più frequente, sono anche quelli ecologicamente meno nocivi.”

Chi volesse partecipare si deve iscrivere qua: http://www.barillacfn.com/it/registration

Qua http://www.barillacfn.com/uploads/file/62/1244800592_ClimateChangeIT_BarillaCFN_0609.pdf

il tema trattato secondo il Barilla Center for Food and Nutrition (BCFN di cui è membro il Veronesi noto vegetariano) 64 pagine di catastrofismo climatico senza lo straccio concreto di una prova, con le solite accuse alla zootecnia frutto di errori madornali nel conteggio del CO2 eq. C’è un capitolo sulla piramide alimentare con l’esaltazione della dieta mediterranea con pasta (guarda caso) e la condanna come non ecologica della dieta all’americana con carne. Si noti il paradosso sui formaggi che sarebbero i meno impattanti dal punto di vista ambientale, (addirittura meno della pasta) mentre la carne e i salumi  sarebbero i più impattanti.

Errori clamorosi: come già dimostrato più volte la produzione di latte e  formaggi in equivalenza calorica e proteica è  più energivora della produzione di carne e sottoprodotti, soprattutto di quella suina e avicola, quindi comporta anche più emissioni e maggior produzione di azoto nei reflui! L’ accusa ai salumi di essere il cibo più impattante sull’ambiente è addirittura sconcertante, perchè i suini emettono pochissimo metano, in pratica solo quello dei reflui e manco quello in caso di impianti a biogas.

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Published inAttualità

11 Comments

  1. Claudio Costa

    @ Michele Corti

    le sue analisi sono interessanti, ma bisogna capire bene il termne di energivoro a cosa si riferisce: se si parla di LCA per calorie o per kg di proteine digeribili il latte è nettamente l’alimento che ha le emissioni climalteranti più alte, molto più alte della stessa carne bovina, enomemente più alte di suini e polli lo stesso dicasi per uso del suolo, Ancora più energivori dle latte sono ovviamente i derivati come latticicni e formaggi . (sono conteggi standard che non ho fatto io) Inoltre sia i polli che i suini utilizzano i sottoprodotti nella razione dal 20 al 50% e i suini in particolare ( ma anche gli avicoli) possono sfruttare i pastoni di granella che permettono i doppi raccolti, pratica in via di sviluppo che ahimè vede la sua massima applicazione non per l’alimentazione zootecnia ma piuttosto per l’alimentazione dei reattori a biogas

  2. La produzione di carne avviene in sistemi molto diversi anche nell’ambito della stessa specie animale. Sostenere che è un errore ritenere la produzione di latte meno energivora senza entrare nel merito del sistema di produzione carnea non mi pare abbia molto senso. La carne può essere prodotta con cereali, risorse foraggere seminaturali, sottoprodotti come sottoprodotto di un sistema latiero o nel contesto di un sistema specializzato. Il dato incontrovertibile è che l’energia metabilizzabile è utilizzata in modo più efficiente per la produzione di latte che di carne. Quanto costi in termini energetici quella energia disponibile per i processi metabolici dell’animale è campo aperto di analisi e discussioni. In ogni caso considerare la produzione di carne suina più efficiente di quella bovina è frutto dell’errore di considerare il sistema animale (il singolo capo nel suo ciclo) e non il sistema-allevamento e meglio ancora il sistema azienda e il sistema territorio. Da questo punto di vista le cose cambiano perché il suino richiede alimenti “pregiati” mentre il ruminante può utilizzare anche alimenti non destinati all’uomo. Non si deve pensare solo all’alimentazione del vitello ma anche a quella della vacca che lo partorisce ed eventualmente allatta.

  3. […] dei concimi ( sia di sintesi che organici) e dai reflui urbani non depurati. Sono anni che propongo di tassare l’urea e obbligare gli agricoltori a concimare con concimi rinnovabili apportando […]

  4. Claudio Costa

    Quindi servono 560 litri normali di metano per sintetizzare 1 kg di urea
    ( fonte Francesco Baratto).

    Ovviamente è un consumo di combustibile fossile enorme con grande consumo di energia e con grandi quantità di CO2 immesse e che si potrebbe evitare in gran parte, con l’uso di concimi rinnovabili ottenuti dai reflui zootecnici, da quelli urbani e dai rifiuti organici urbani e industriali

  5. Claudio Costa

    @ Francesco Baratto

    La ringrazio delle precisazioni, e scusi l’ignoranza.
    Mi chiedevo ma gli ossidi d’azoto delle emissioni, una volta captati cosa residuano? Sali d’azoto come nitrati o nitriti d’ammonio?
    Nel caso non vengono venduti come fertilizzanti?

  6. Claudio Costa

    In Italia si sintetizza ammoniaca a Ferrara ( e Ravenna) negli stabilimenti ex enichem ora della multinazionale norvegese Yara.
    Lo si fa partendo da metano acqua e aria, quindi per produrre urea dall’ammoniaca si dovrebbe parlare (per lo meno per gli impianti italiani) di litri di metano per kg di urea più che di litri di petrolio.

  7. Claudio Costa

    @ Guido Botteri
    Si certo avevo fatto un lungo articolo in tre parti sull’impronta idrica. La mappa che citi è nella prima parte.

    http://www.climatemonitor.it/?p=12945#comments
    L’impronta idrica la confusione dei media

    http://www.climatemonitor.it/?p=12942#comments)
    L’impronta idrica Consumo o utilizzo di acqua?

    http://www.climatemonitor.it/?p=12947
    impronta idrica parte terza

    @ Francesco Baratto

    La ringrazio delle precisazioni, il confronto è sempre utile, chissà se il Maggiore replicherà fornendo la fonte della sua affermazione, (gli ho scritto vedremo,) secondo me però il Maggiore intendeva un equivalente energetico cioè l’energia necessaria per la sintesi di 1 kg di urea è pari a 4 lt di petrolio.
    Certamente c’è la sintesi diretta dell’ammoniaca (Haber Bosh a Ferrara con gas metano come fonte energetica) che è ancora più energivora della sintesi da ammoniaca ottenuta come sottoprodotto dell’industria dei carburanti fossili (compreso il gas metano).
    mi risulta però che sia nelle raffinerie italiane sia nelle centrali a carbone italiane si produca ammoniaca e da questa urea, ad es l’ultimo incidente purtroppo mortale nella centrale a carbone di Torvaldaliga fu dovuto proprio ad una fuga di ammoniaca.

    • Francesco Baratto

      Egr.Costa anch’io penso che il confronto sia sempre utile, specialmente se porta chiarezza. Poiché non sono argomenti noti a tutti, sperando di non sembrare eccessivamente pedante, ci terrei a fare una ulteriore precisazione. Non sono infatti un esperto di clima o inquinamento, ma di ammoniaca un po’ me ne intendo…Nel mondo ogni anno si producono circa 160 milioni di tonnellate di ammoniaca e sono quasi per la totalità sintetizzate a partire da steam reforming di idrocarburi (come a Ferrara) o gassificazione di carbone/oli pesanti. La produzione da distillazione del carbone era usata solamente agli albori della storia dell’ammoniaca (primi anni del ‘900) in quanto il carbone contiene solo circa il 3 per 1000 di ammoniaca. Le raffinerie e le centrali elettriche hanno spesso degli stoccaggi di ammoniaca, non per venga prodotta lì ma perché viene usata in soluzione acquosa per ridurre le emissioni di ossidi di azoto dai camini delle fornaci. Il drammatico incidente del 2010 nella centrale di Torre Valdaliga è avvenuto proprio in uno di questi stoccaggi. Cordiali saluti, Francesco B.

    • Claudio Costa

      Ho trovato questo
      http://prevenzioneoggi.ispesl.it/pdf%5Crici2010_01_2_it.pdf
      e sembra che l’ammoniaca nelle centrali sia utilizzata non per salinificare i nox ma per ridurre i NOX ad azoto molecolare N2 che è un gas pulito che si può immettere in atmosfera. La produzione di nitrati d’ammonio o solfati d’ammonio nel processo è minima e solo occasionale, e dipende da mal funzionamento.

  8. Francesco Baratto

    Lavorando nel settore mi permetto di precisare che l’ammoniaca è un prodotto di sintesi e quindi non si tratta di “un rifiuto tossico (speciale) della raffinazione del petrolio, ma anche della combustione del carbone”. Né tanto meno è corretto dire che “Le multinazionali del petrolio e del carbone hanno pensato bene di smaltire l’ammoniaca anziché come un rifiuto, come un concime minerale”. L’ammoniaca è prodotta (e non smaltita) in appositi impianti per la maggior parte a partire da gas naturale e praticamente solo in Cina da carbone. La produzione da nafta sta oggigiorno scomparendo a causa dell’alto costo della materia prima. Comunque servono circa 0.65 litri di nafta leggera (o 560 litri normali di metano) per produrre un kg di urea. La nafta leggera è un prodotto del frazionamento del petrolio (circa 15%), tuttavia mi sembra fuorviante dire che servono 4 l di petrolio per un kg di urea in quanto le restanti frazioni vengono usate per altro.

  9. Guido Botteri

    Claudio, purtroppo non potrò partecipare a quel convegno, ma vorrei ricordarti di quando ti chiesi di confrontare la mappa degli allevamenti con la mappa delle perdite d’acqua in falda, e risultò evidente che non c’era correlazione tra una maggiore densità di animali e una maggiore perdita d’acqua….eventualmente il contrario.
    Mi sembra un argomento di grande evidenza per dimostrare l’arbitrarietà e l’inconsistenza delle accuse alla zootecnia di causare eccessivi “consumi” di acqua.

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