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Stem the Tide

 Un proverbio è una massima che contiene norme, giudizi, dettami o consigli, espressi in maniera sintetica e molto spesso in metafora e che sono stati desunti dall’esperienza comune (Wikipedia). Sono inoltre sempre frutto della saggezza popolare. Ve ne propongo uno inglese del quale si dovrebbe tener sempre conto.

“If people try to stem the tide, they are trying to stop something unpleasant from getting worse, usually when they don’t succeed”

Ovvero: se si tenta di arginare una marea, si cerca di impedire che qualcosa di spiacevole lo diventi ancora di più, senza normalmente aver successo.

MI sarebbe piaciuto che avessero tenuto a mente questo proverbio gli autori di questa ricerca sulla cattura dell’anidride carbonica dall’aria libera ed i media che hanno loro concesso gli onori della cronaca. Io ho trovato la notizia sul Corriere della Sera.

Vi spiego in due parole di cosa si tratta. I progetti di cattura e stoccaggio della CO2 emessa per le nostre attività produttive, si sono sempre concentrati su sistemi che catturassero il venefico gas alla fonte; sulle torri di raffreddamento delle centrali, sulle ciminiere etc. etc.. Almeno sin qui. Ora la musica potrebbe cambiare, infatti presso l’Università di Calgary in Canada, hanno progettato e realizzato il prototipo di una torre di aspirazione che prelevi la CO2 dall’aria libera. Lo scopo è quello di intercettare le emissioni di tutte quelle fonti per cui sarebbe difficilissimo immaginare sistemi di cattura e stoccaggio dedicati, come le auto gli aerei e…..perchè no anche uomini ed animali, che notoriamente consumano ossigeno ed emettono anidride carbonica.

Il processo chimico-termodinamico su cui si basa il progetto, sfrutta la coalescenza di una pioggia di particelle di idrossido di sodio che, a contatto con la CO2 aspirata ne provocano la separazione, rendendola così disponibile per essere immagazzinata e lestamente nascosta sotto il tappeto. Il primo interrogativo che si pone è proprio questo: dove, come? Di progetti per lo stoccaggio della CO2 ce ne sono tantissimi, ci ha lavorato anche l’IPCC in questo documento. In particolare lo stoccaggio nel sottosuolo sembra essere quello più gettonato, ma nessuno di questi progetti ha sin qui superato la fase sperimentale. Però questo è un problema a valle, del quale gli autori di questa ricerca non sembrano preoccuparsi. A mio modesto parere le perplessità sorgono altrove e sono riferite ai costi in termini di risorse ed in termini di sonanti Dollari o Euro.

Vediamo i primi. L’energia necessaria a far funzionare questo prototipo è 100 kilowattora per tonnellata di CO2 estratta. Sul Corriere leggiamo che questo significa che si utilizzerebbe circa il 10% della produzione di una centrale a carbone dedicata per farla funzionare. Un bel guadagno in proporzione 10 a 1. Questo però significa anche che si dovrebbe in generale produrre un surplus energetico del 10% superiore a quello attuale, dato che non credo esistano centrali la cui produzione va in cantina a maturare come il vino. Per cui in tempi di impennata dei costi e di ridimensionamento delle risorse energetiche ci caricheremmo sul groppone uno sforzo in più per andare a caccia di un gas, le cui responsabilità sul riscaldamento globale sono ancora tutte da provare. Gli autori della ricerca, in tutta evidenza solerti sostenitori del global warming antropico, ipotizzano anche di proseguire nella cattura quando si sarà (bontà loro) in una futura economia a basse emissioni, generando così emissioni nette negative in quegli scenari per i quali sono evidenti i segnali di stress dell’ecosistema. Della serie, non abbiamo ancora capito come e se il clima sia cambiato a causa della CO2 però ci ripromettiamo di rimetterlo a posto senza.

Dalla documentazione scientifica apprendiamo anche che per compiere la cattura alla torre occorre consumare un quantitativo d’acqua definito “considerevole”. Vediamo quanto. Al meglio delle condizioni di efficienza dell’apparato, cioè 15°C di temperatura per l’aria aspirata e 65% di umidità relativa, ci vorrebbero 30 metri cubi d’acqua per tonnellata di CO2 recuperata. Ciò significa che per recuperare tutte le emissioni generate dall’intero sistema dei trasporti degli Stati Uniti, ci vorrebbe la metà dell’acqua attualmente impiegata nelle torri di raffreddamento di tutte le loro centrali o, se si preferisce, la metà dell’acqua impiegata in tutto il loro sistema produttivo. Qualche cassandra dice che la prossima guerra sarà combattuta per l’acqua, così facendo ne possiamo star certi.

Infine i costi monetari veri e propri, che comprendono quanto sin qui esposto e molto altro. La stima è di 96$ per tonnellata recuperata al massimo dell’efficienza, ma varia da un minimo di 50$ ad un massimo di 127$ per tonnellata, in base alle condizioni di estrazione, al tipo di miscela impiegata ed alla concentrazione di CO2 presente nella zona di caccia. Dal conteggio restano fuori i costi di compressione e stoccaggio. Ci siamo arrivati finalmente, l’aria si pagherà. Si potrebbero investire in questa florida attività gli eccessi di liquidità che affliggono la finanza dei paesi emergenti, visto che quelli già emersi come noi, sono  piuttosto sommersi dai debiti.

Dalle pagine del sito dell’Università di Calgary dedicate a questo progetto, scopriamo che l’intero processo di ideazione, progettazione e realizzazione è stato oggetto di un documentario “educativo” curato da Discovery Channel, quelli dei “Sei gradi in più che sconvolgeranno la terra” e quelli che in questa pagina, pubblicano una serie infinita di “evidenze” sul riscaldamento globale di origine antropica nella campagna mediatica denominata Project Earth, chiaramente imparziale e per nulla interessata. In tutta evidenza, devono aver esagerato con l’entusiasmo se il titolare della ricerca in persona ha sentito il dovere di pubblicare una pagina nella quale sottolinea le differenze tra il suo progetto e quanto fiabescamente riportato in TV. Comunque questa è la solita storia dell’accentuazione mediatica sulle tematiche del clima. Quanto al progetto di per sè, fatte salve le problematiche che ho riassunto, è un interessante indagine di come si possa sfruttare la tecnologia per fare qualunque cosa, anche ciò che non serve.

In conclusione, qualche giorno fa ci hanno proposto di dipingere il mondo di bianco, ora tutti all’opera per aspirare la CO2 dall’atmosfera, impacchettarla e metterla chissà dove. La città più grande e che produce più emissioni in tutto il mondo è Pechino, il bianco in Cina è il colore del lutto, forse loro preferiranno dedicarsi a questa tecnologia piuttosto che alla pittura. Nel tempo che impiegheranno a decidere, sarà mica il caso di cominciare a concentrare i nostri sforzi su qualcosa di più tangibile? 

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Published inAmbienteAttualitàEnergia

2 Comments

  1. Giusto per fare il pignolo…la traduzione corretta del testo riportato e’:

    “se si tenta di arginare una marea, si cerca di impedire che qualcosa di spiacevole lo diventi ancora di più, come di solito accade qualora il tentativo non abbia successo”

  2. Angelo

    Caro Guido,
    Giustamente se la tecnologia dovesse essere accettata dai “tecnopolitocrati” che gestiscono attualmente il mercato del trading di quote di CO2, stai sicuro che fonderebbero una società. Imponendosi attraverso trattati internazionali, opererebbero nei paesi emergenti al fine di “salvarli” dalla loro CO2 facendosi pagare molto bene.
    Che dire? Nulla di nuovo! Ma a questo punto un’idea mi balena nel mio cervello forse malato ma sicuramente stufo di tanta idiozia…
    STRATEGIA DEL TERRORE
    Facciamo in modo che abbiano paura, vedi questo link

    http://www.geology.sdsu.edu/how_volcanoes_work/Nyos.html

    La CO2 intrappolata (in questo caso non è AGW, ma tutto “naturale”) causò morti, terrore e disperazione; cerchiamo di fare paura al pubblico, alla gente…
    E li metteremo in imbarazzo.

    Osserva la povera mucca asfissiata, non ti ricorda il dolore degli orsi alla deriva?

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