Salta al contenuto

Scienza e Blog: questo matrimonio s’ha da fare?

Qualche giorno fa mentre gironzolavo nel sito di J. Curry, la mia attenzione è stata attratta da un link che rimandava a due articoli pubblicati su arxiv.org.

  1. Long-Term Instrumental and Reconstructed Temperature Records Contradict Anthropogenic Global Warming
  2. How Natural is the Recent Centennial Warming? An Analysis of 2249 Surface Temperature Records

I due lavori, contraddistinti dalla sigla LU ed LL, portano la firma del prof. H.J. Lüdecke, del Prof. F.K. Ewert e del Dr. R. Link. I testi e la discussione che ne è seguita, dimostrano che la blogosfera può contribuire in modo determinante alla divulgazione scientifica e al progresso della conoscenza. Si parla in sostanza di analisi di alcune serie di temperature che coprono un arco di circa duemila anni.

In particolare il lavoro LU copre il periodo di duemila anni fino agli inizi del 20° secolo e quello LL, invece, ha analizzato i dati relativi al secolo scorso. LU ha utilizzato due serie di dati proxy (anelli di accrescimento degli alberi e stalattiti) elaborando circa 35.000 record di dati e ottenendo una curva delle temperature globali. Fino a qui niente di nuovo: un’elaborazione di dati proxy come tante. Il fatto importante è che dopo il 1791 si è individuato un calo delle temperature nell’emisfero settentrionale che non era mai stato messo in evidenza nelle altre analisi. Per la prima volta i dati proxy riescono a mettere in evidenza ciò che le serie strumentali a lungo termine ( Innsbruck, Kremsmünster, Stoccolma e Copenhagen) avevano sempre mostrato. Le conclusioni dello studio, comunque, non possono essere estrapolate anche all’emisfero australe in quanto i dati relativi a queste aree non sono disponibili.

Molto più interessante, secondo me, è il secondo lavoro. LL, infatti, ha esaminato gli oltre 7.000 record dei dati GISS a partire dal 1906 e fino al 2005. Gli autori hanno preso in esame le serie di dati che presentano lacune non superiori al 10,5% del totale. Effettuata tale selezione sono riusciti a recuperare 2.249 record affidabili e quasi continui caratterizzati da registrazioni mediate con cadenza mensile (necessarie per la particolare tecnica di analisi statistica utilizzata). Essi riguardano 1.129 stazioni per il periodo 1906-2005 (100 anni), 427 stazioni per il periodo 1906-1955 (50 anni), e 693 stazioni per il periodo 1956-2005 (50 anni).

Sia LU che LL hanno utilizzato sofisticati algoritmi statistici, regressioni lineari e metodo Monte-Carlo per il trattamento dei dati grezzi. L’aspetto qualificante ed innovativo del lavoro LL, almeno secondo il mio modesto parere, è costituito dal fatto che non si sono utilizzate tecniche di lisciatura ed omogeneizzazione dei dati, eccezion fatta per alcune interpolazioni lineari utilizzate per colmare lacune nei record di dati. In LL sono contenuti due grafici che mostrano la latitudine delle stazioni e le variazioni di temperatura registrate per le regressioni lineari. Come si può facilmente constatare visitando i siti segnalati, la stragrande maggioranza delle stazioni è posizionata intorno ai 40° di latitudine nord.

Essi consentono di verificare che la maggior parte delle stazioni rileva un aumento di temperatura nel periodo 1906/2005 di circa 0,58°C, e che circa un quarto delle stazioni evidenzia addirittura un raffreddamento. Se si considera il periodo 1906-1955, addirittura si ha una media negativa (raffreddamento).

Nel leggere l’articolo, due le cose che mi hanno sorpreso:

  • il riscaldamento misurato nel corso del 20° secolo si riduce a 0,52°C se si considerano solo le stazioni ubicate in centri urbani con meno di 1000 abitanti (chiara evidenza dell’effetto UHI);
  • tale riscaldamento si riduce a 0,42°C se si considerano solo le stazioni posizionate a meno di 800 m s.l.m.

Gli autori non riescono a spiegare questa seconda anomalia. Nel seguito dell’articolo gli autori illustrano una tecnica che, a parer mio in modo molto qualitativo, consentirebbe di individuare se il riscaldamento è di origine naturale o meno. Essi partono dal presupposto che la persistenza della temperatura debba considerarsi un segno di “naturalezza”. A breve termine è molto più probabile che si succedano diversi giorni freddi o caldi e molto meno probabile che si alternino giorni caldi e freddi. A medio termine condizioni di blocco meteorologico possono determinare molti giorni freddi (caldi) di seguito. A lungo termine potrebbero esistere cicli multidecadali o plurisecolari caratterizzati da periodi caldi o freddi.

Analizzando le serie di temperature LL ha cercato queste persistenze mediante opportuni indici. Tralascio il dettaglio della procedura tecnica in quanto è reperibile sul sito di J. Curry all’indirizzo indicato all’inizio del post e salto alle conclusioni. I tre ricercatori, sulla base delle loro analisi, hanno concluso che tanto il raffreddamento (del 1800 e del 1900) quanto il riscaldamento del 20° secolo possono essere considerati di origine naturale in quanto la “firma statistica” dei dati è di tipo “naturale”. L’influenza della CO2 o di altre forzanti non “naturali” è da essi considerata possibile ma non esclusiva.

Particolarmente degno di nota è il confronto tra i risultati di BEST e quelli ottenuti dai tre ricercatori (BEST e i due lavori LU ed LL sono stati pubblicati quasi contemporaneamente). In BEST, infatti:

  • non si evidenzia il periodo freddo del 1800;
  • l’entità del raffreddamento del 20° secolo è sopravvalutata;
  • la deviazione standard individuata è eccessivamente ridotta rispetto a quella individuata da LL.

Altro aspetto criticabile in BEST è il fatto che si considerino globali le temperature. L’analisi statistica delle posizioni delle stazioni, però, evidenzia che le stesse sono concentrate quasi tutte nell’emisfero nord, per cui estrapolare i risultati a tutto il globo terrestre appare una forzatura. In particolare le stazioni dislocate nell’emisfero australe sembra che segnalino un riscaldamento meno marcato di quelle dell’emisfero boreale.

E’ solo il caso di sottolineare che la pubblicazione dei due articoli su Climate etc. ha provocato un diluvio di commenti (quasi duemila) e dei post di replica. In uno di essi Richard Tol definisce non degni di pubblicazione i due articoli in quanto le metodologie statistiche utilizzate (analisi delle fluttuazioni) non sono idonee ad eseguire analisi su trend variabili come le temperature. Supporre per le temperature trend lineari comporta, secondo R. Tol, l’impossibilità di eseguire valutazioni in termini di persistenza per cui tutte le conclusioni cui giungono i tre ricercatori sarebbero fasulle.

Altra critica riguarda il periodo temporale preso in esame: cento anni sono troppo pochi per un’analisi statistica basata sulla persistenza. Le repliche di LLE non si sono fatte attendere (qui e qui) e, ovviamente, confutano le considerazioni di R. Tol.

Come si vede l’analisi delle serie di temperature oggi disponibili è fonte di continue sorprese tanto che neanche BEST può essere considerata la pistola fumante del GW.

Voglio chiudere con le parole con cui J. Curry ha risposto a chi non avrebbe voluto veder pubblicato LL ed LU sul suo sito: “questo è stato un interessante, seppur discutibile, esperimento di scienza su un blog.” Esperimento perfettamente riuscito, secondo me.”

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualitàClimatologia

8 Comments

  1. donato

    Mi sembra che sulla revisione tra pari, alla fine, le posizioni coincidano: abbiamo bisogno di una revisione molto più rigorosa di quella in atto. Circa la fattibilità di questa enunciazione di principio ho qualche dubbio: i revisori sono uomini di questo mondo e, tu m’insegni, la perfezione non è di questo mondo (sono un po’ più pessimista di te, purtroppo).
    Resto, invece, più ottimista di te in merito alle pre-revisioni: se un’equazione è sbagliata e uno ti dimostra che è sbagliata c’è poco da discutere. Sui blog, ormai, circola tanta gente competente che è difficile bluffare.
    Ciao, Donato.

  2. donato

    Caro Fabrizio, in linea generale soco d’accordo con te. Nei dettagli, però, ho qualche perplessità. Tu hai citato alcuni casi eclatanti: memoria dell’acqua, fusione fredda e caso Di Bella. Su di essi ti do perfettamente ragione. Sulla memoria dell’acqua, sull’omeopatia e sulle cure alternative nel Web si trova un repertorio sconfinato di siti che, in qualche caso, cercano anche di sfruttare economicamente la dabbenaggine e lo stato di necessità delle persone. Su questi argomenti possiamo, effettivamente, parlare di sproloqui inutili, anzi dannosi (mi risuona ancora nelle orecchie il caso di quel bambino ridotto in fin di vita perché alimentato con alimenti macrobiotici da due genitori sciagurati ed ignoranti). Diverso è il caso, per esempio, di argomenti dichiaratamente scientifici. Hai citato il caso della particella di Higgs. Ebbene, sono anni che se ne parla ad ogni livello divulgativo (da “Le Scienze” a “Voyager”, per citare i due estremi). E’ un argomento che suscita interesse. L’annuncio della sua scoperta consentirebbe all’astrofisico o al fisico nucleare di verificare una serie di congetture; all’inesperto, come il sottoscritto, una serie di riflessioni molto più terra terra, ma non per questo meno importanti (per me, ovviamente). La scoperta scientifica, a mio giudizio, ha diversi livelli di lettura. Ognuno si accontenterà del suo.
    Se portassimo all’estremo limite il tuo ragionamento (ti avverto, sto facendo una forzatura e non voglio assolutamente travisare o interpretare il tuo pensiero) non avrebbero ragione di esistere i vari blogs scettici. Alessio, Antistrafalcione, cd e via cantando, infatti, in varie occasioni, ci hanno tacciato di “incompetenza” e “tuttologia” in quanto discutiamo di cose di cui ignoriamo le basi e osiamo mettere in dubbio tesi su cui si è formato il consenso della comunità scientifica. Come vedi oltre alla discussione pre-revisione paritaria, secondo alcuni, non sarebbe ammissibile neanche quella post-revisione tra pari. Molti sostenitori del credo AGW, per esempio, non esitano a definire gli scettici “utili idioti” in quanto, secondo loro, in modo acritico e servendosi di argomenti “non scientifici” (lavori di “nullo valore scientifico” è una frase usata da un commentatore su CM), fanno il gioco delle big-oil. Il motivo? Si tratta di “letteratura grigia” o pubblicata su riviste di secondaria importanza. Se, infine, fai un po’ mente locale alle polemiche che hanno accompagnato la pubblicazione di alcuni lavori non ossequiosi del credo AGW (Spencer & B., Nicola Scafetta, lo stesso BEST, tanto per fare qualche esempio) non avrai difficoltà a notare che la principale accusa che viene loro rivolta, è di pubblicare i loro lavori su riviste con basso IF e con una revisione tra pari non idonea. In altre parole il processo di revisione tra pari può essere messo in discussione a vari livelli: c’è sempre qualcuno che è “più pari” degli altri. Questo senza, non dico aprire, ma, alzare di pochissimo il coperchio del climategate 1.0 o 2.0 e senza parlare dei conflitti di interesse abissali che ogni tanto vengono alla luce riguardo ai membri delle varie commissioni di inchiesta su problemi socio-economici dai risvolti scientifici (non ultimo quello relativo al cosiddetto inquinamento elettromagnetico). Con questo che facciamo, aboliamo la revisione tra pari? Neanche per sogno, però, esploriamo anche altre strade, discutiamo serenamente di problemi scientifici e facciamo le pulci anche ai lavori revisionati. Dimentichiamo che la mazza da golf aveva superato la revisione tra pari e ancora oggi qualcuno si farebbe impiccare (figurativamente, intendiamoci) per essa?
    Ciao, Donato.

    • Attenzione: io non sto dicendo che se scoprono il bosone di Higgs non devono dirlo in pubblico (poi, la scoperta sappiamo bene che non è una fotografia mentre il bosone sorride, ma una serie di indizi con valutazioni contrastanti). Sto dicendo che è assurdo avere un “rumor” che dice che forse hanno scoperto il bosone di Higgs, senza che ci sia una comunicazione ufficiale. Tanto per dimostrare che purtroppo è nato il gossip scientifico.

      Il resto della tua risposta mi pare porti acqua al mio mulino. Tu dici in sintesi che la peer review non è perfetta, perché la mazza da golf era una bufala e ha passato il controllo. E sono d’accordo. Ma qui bisogna premere perché il processo sia più rigoroso, non meno rigoroso. Francamente, mi sembra anche bello evidente il problema nello specifico: come sappiamo, il signor mazza da golf si è sempre rifiutato di condividere i dettagli su come ha costruito la mazza. E’ clamoroso e si potrebbe ben dire che è stata una peer review farlocca. Io chiederei a gran voce che nessuna ricerca dovrebbe essere pubblicata, per lo meno sulle riviste con IF più elevato, se le conclusioni non sono riproducibili da tutti e non ci devono essere scuse che tengano, come la protezione della ricerca da occhi indiscreti per non farsi copiare il lavoro. Protezione che, invece, avrebbe un senso nelle fasi preliminari della ricerca, quindi proprio nella discussione pre-peer review. Allora, in sintesi: nel dibattito pre-peer-review non hai riproducibilità, non hai referaggio. Dire che nell’oceano di spazzatura ci può essere un lavoro di pregio non mi basta, se non mi spieghi come fai a scovarlo. Senza riproducibilità e referaggio non vedo altro che: si dà più peso ai nomi di prestigio, ma questa non è scienza; oppure finisce che ognuno va a selezionare quello che gli piace e anche questo non è scienza. In mezzo alla cacofonia, che avviene dinnanzi al pubblico generalista, ogni tentativo di divulgazione seria e di educazione su cosa è il metodo scientifico andrebbe a farsi friggere.

  3. Guido Botteri

    Fabrizio, una verità non diventa più vera o meno vera a secondo di chi la dice, ma perché essa stessa, di sua natura, è vera, o non lo è.
    Questo metodo di fidarsi ciecamente di chi ha autorità andrebbe bene se fossimo sicuri che l’autorità fosse onesta, trasparente e competente. Sulla competenza non discuto, ma le lettere del climategate non mi inducono ad avere la massima fiducia nella trasparenza di chi ha autorità, per cui credo che abbiamo il diritto di guardare alle argomentazioni anche se non vengono dal potere, e giudicarle per quel che dicono, non per l’autorità, il potere e la forza mediatica di chi le dice.
    Secondo me.

    • Scusate, ma non ci capiamo. Non sto dicendo che non deve esserci dibattito prima di una peer review. Il dibattito c’è sempre stato, come ricordato da donato, e questo dibattito era già vivo e partecipato da qualche decennio, ovvero da quando si sono diffuse Usenet e mailing list. Da questo punto di vista, mi pare che l’esperimento sia stato già fatto trent’anni fa. Il vantaggio era che il dibattito avveniva senza fronzoli e al riparo da occhi indiscreti anche quando Internet è diventaot una cosa popolare; non che fosse necessariamente secretato, semplicemente i non addetti ai lavori non venivano particolarmente invogliati ad andare a curiosare. Perché mi sembra evidente che questo dibattito pre-peer-review può essere utile solo se partecipano esperti. Purtroppo, il meccanismo dei blog e dei servizi collegati attirerà facilmente l’attenzione dei non esperti su discussioni ancora acerbe, con il grande rischio che in molti prendano fischi per fiaschi. Se tra questi molti c’è la stampa generalista, siamo fritti (figuriamoci poi se ci va in malafede con l’intenzione di appoggiare a priori una tesi di comodo).

      Pensiamo alla faccenda dei neutrini di Opera. Lì si trattava di rendere noto un risultato sperimentale preliminare, ma già sottoposto ad un notevole screening. Aveva certamente senso coinvolgere ampiamente la comunità scientifica internazionale condividendo questo risultato preliminare con lo scopo di cercare conferme o smentite. Non aveva nessun senso rendere il fatto pubblico fin sui telegiornali (tranne per scopi politici, ovvero ricordare che il CERN esiste e i soldi sono ben spesi). Dal dibattito pubblico dei non addetti ai lavori, infatti, non è venuto niente di interessante, anzi: articoli inesatti, relatività citata a sproposito, battibecchi tra commentatori, figuracce del ministero, altre polemiche inutili. Non so voi, ma gli sproloqui inconcludenti mi esasperano. Due giorni fa su Wired trovo un piccolo pezzo che anticipa, secondo “indiscrezioni”, che Natale porterà qualche novità sul bosone di Higgs. Cosa non si capisce, perché non c’è nessuna comunicazione ufficiale. Che senso ha? E non ho citato altri casi eclatanti del passato: la memoria dell’acqua, la fusione fredda, la cura del cancro di Di Bella. Tutte cose portate al dibattito pubblico di non addetti ai lavori che hanno solo generato tanto rumore per nulla. Ma non vi bastano già le chiacchiere a vuoto della politica? Dobbiamo anche metterci quelle della scienza?

      Reply
      Quoto.
      gg

  4. Vabbene, sono polemico: 🙂 perché l’esperimento sarebbe riuscito? Ovvio che non sto entrando nel merito delle questioni. LL e LU magari sono due ottimi articoli. Ma la scienza è (tra l’altro) peer review, che come la democrazia è il peggior sistema a parte tutti gli altri. Ora vogliamo sostituirlo con i blog? Cosa facciamo, proclamiamo il consenso scientifico su chi prende più “like” su Facebook?

    • Claudio Costa

      secondo me la Curry avrebbe dovuto scrivere: “è stato un interessante esperimento sulla divulgazione e commento della scienza su un blog”
      Direi di si visto che ci sono state critiche a cui gli autori hanno replicato immantinente

    • donato

      R. Muller, in un’intervista pubblicata qualche mese fa su “Le Scienze”, metteva in evidenza come la diffusione dei risultati scientifici, negli ultimi decenni, fosse radicalmente cambiata. In particolare faceva notare che, una volta, lo scienziato pubblicava i risultati delle sue ricerche e, successivamente, si accendeva la discussione. Ovviamente la discussione avveniva tra pari, ma tutti, volendo, potevano accedere alla pubblicazione (bastava comperarla nelle librerie). Nel 19° secolo le dispute scientifiche erano pubbliche (pubblico particolare, ovviamente). Memorabile quella degli anni 20 del 20° secolo tra Eddinghton e Chandrasekhar in cui si tentò di demolire la teoria delle nane bianche elaborata da ques’ultimo. Oggi, sembra, che se un articolo non viene sottoposto a review non sia degno di essere reso noto. Il processo di revisione tra pari è essenziale per il progresso scientifico (è un fatto innegabile) e neanche lontanamente penso che possa essere sostituito con le discussioni sui blogs. L’idea di rendere note le pubblicazioni scientifiche anche al di fuori del circuito di revisione ufficiale, però, comincia a diventare patrimonio comune: R. Muller lo ha fatto per BEST, J. Curry lo fa abitualmente sul suo blog. Arxiv.org addirittura opera al di fuori della revisione tra pari e conserva ogni tipo di articolo. Il modo di rendere note le scoperte scientifiche (o presunte tali) nel corso degli anni è profondamente cambiato: Fermat amava pubblicare gli enunciati dei suoi teoremi nelle lettere di corrispondanza che inviava agli amici omettendo accuratamente ogni dimostrazione. Dopo 400 anni quei teoremi sono ancora oggetto di studio. Chi conosce il futuro? Chi può dire, oggi, che il nostro modo di comportarci è il migliore possibile? Molta roba che circola sui blog è spazzatura, ma in tanta spazzatura potrebbe anche andare a finire un oggetto prezioso. Perché precludersi una possibilità? I blog, inoltre, li frequentano anche studiosi di fama e di capacità universalmente riconosciute che possono esporre tranquillamente le proprie idee contrarie. Ognuno, alla fine, si crea la sua opinione. Secondo me l’esperimento è riuscito perché rappresenta un diverso modo di divulgazione scientifica, è la versione moderna delle pubbliche dispute del 19° secolo.
      Ciao, Donato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »