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Il mondo senza di loro

Chiedo scusa in anticipo ai lettori di Climate Monitor, oggi uscirò decisamente fuori tema. O forse no, visto che quanto sto per raccontarvi è legato a doppio filo con i temi che tanto ci stanno a cuore e che affrontiamo sempre su queste pagine.

La specie animale più popolosa possiede suo malgrado capacità di gran lunga superiori a tutti gli abitanti di questo pianeta. Tra queste la più clamorosa è certamente l’abilità nel farsi del male da soli. L’anno scorso è uscito un libro del quale ho intercettato la recensione sul sito Le Scienze, del gruppo editoriale L’Espresso. Il titolo del libro è Il Mondo senza di noi, scritto da Alan Weisman, un famoso autore e giornalista nordamericano, nonchè professore di giornalismo e studi latino americani presso l’Università dellArizona. Tanto nelle pagine del sito ufficiale, quanto nelle numerose recensioni disponibili in rete, il libro è definito una non-fiction, un esperimento di pensiero su quella che potrebbe essere l’aspetto del mondo in assenza del genere umano, ovvero della sua estinzione.

Un percorso interessante attraverso quello che abbiamo creato e che spesso crediamo possa durare in eterno, mentre, alla prova del tempo e senza la cura che normalmente gli dedichiamo, sarebbe presto distrutto, eliminato e riassorbito dall’ecosistema. Probabilmente soltanto alcune cose resisterebbero più a lungo, tra queste purtroppo, come sottolinea l’autore, i miliardi di tonnellate di polimeri con cui abbiamo invaso mari e terre emerse. Il libro invita ad una riflessione stimolante, ma, purtroppo, lo fa per uno scopo assolutamente non condivisibile.

Innanzi tutto si pone l’obbiettivo di approfondire ancora di più il solco che molti credono separi gli esseri umani dal contesto che li accoglie e che li ha generati. Il concetto strisciante che la Natura e l’uomo siano due cose separate e che questo sia a tutti gli effetti un intruso, è alla base di una ideologia distorta e distruttiva, attraverso la quale difficilmente si potrà mai recuperare il rapporto con l’ambiente che ci circonda. E tutto questo malgrado, paradossalmente, questo sia il credo ideologico che anima molti ambientalisti o pseudo tali.

Peggio ancora la conclusione e la soluzione individuate. Siamo troppi ed occorre impegnarsi nel controllo delle nascite. A nulla sono serviti gli insegnamenti della disastrosa applicazione di questo concetto nei paesi dell’est asiatico, dove è stata creata per legge una popolazione di soli uomini, perchè potendo avere un solo figlio, tutti preferivano che fosse maschio. Lavora, produce e, soprattutto non si riproduce. A nulla serve l’esperienza acquisita negli anni del massimo sviluppo dell’occidente. La crescita demografica rallenta di pari passo con il miglioramento della qualità della vita, non accade il contrario. Soltanto a metà del secolo scorso anche nel nostro paese si facevano molti figli, ma non perchè non esistesse la televisione, quanto perchè molti non sopravvivevano abbastanza a lungo da garantire il sostegno ai loro genitori, quando questi avessero esaurito la loro capacità produttiva. E così oggi nei paesi in via di sviluppo, uno sviluppo che questi signori vorrebbero tanto impedire. Non una delle catastrofiche previsioni sul boom demografico si è avverata, le risorse disponibili, se ben impiegate sono sufficienti per tutti gli uomini e le donne di questo pianeta, e anche per quelli che verranno. Dove sembra che queste scarseggino, mancano più che altro i soldi per comprarsele. E con un cinismo ed una ipocrisia da far spavento, si auspica di eliminare il problema alla radice, semplicemente riducendo il numero dei potenziali consumatori. Possibile che a nessuno sia mai venuto in mente che questi lodevoli propositi sono nati tutti in seno alla cultura occidentale, all’unico scopo di garantirsi la sopravvivenza?

La storia è vecchia ed è iniziata la bellezza di duecento anni fa, proprio quando è iniziata l’era industriale e qualcuno si è reso conto che il vantaggio acquisito andava mantenuto a tutti i costi. L’autore del libro si chiede come sarebbe il mondo senza di noi, la mia curiosità è piuttosto un’altra. Come sarebbe stato e come sarebbe ora il mondo senza di loro?

Un mondo senza Thomas Robert Malthus, che “consigliava” di favorire condizioni di vita bestiali nei grandi centri urbani, perchè le malattie che si sarebbero diffuse avrebbero rallentato la crescita della popolazione e l’avrebbero al contempo selezionata. Un mondo senza le idologie autoritarie che hanno dilaniato con diverso colore ma pari intenti il secolo scorso, fondandosi tutte su questi pazzi principi. Un mondo senza il Principe Filippo di Edimburgo, ex presidente del WWF internazionale, che ha ufficialmente dichiarato: “se mi dovessi reincarnare vorrei essere un virus letale, per eliminare la sovrappopolazione” (sarà per questo che se cerco su google le parole “crescita demografica”, il link in cima alla lista è quello del WWF, provare per credere). Un mondo senza l’eugenetica, con la quale hanno flirtato a lungo molti stimati statisti del secolo scorso. Un mondo senza il Club di Roma ed i suoi seguaci, una pseudo organizzazione elitaria che ha pubblicato nel 1972 uno dei libri più venduti del secolo, il Rapporto sui limiti dello sviluppo, terrorizzando il mondo senza che una sola delle catastrofiche previsioni in esso contenute abbia trovato la benchè minima conferma. Un mondo senza le previsioni di James Lovelock che nel 2006, dalle pagine del Guardian, stimava che per il 2100 l’80% della popolazione mondiale sarà spazzata via a causa del global warming, quando la Terra finalmente si libererà di noi (e lo pubblicano pure!). Un mondo senza l’associazione Voluntary Human Extinction, che va predicando l’estinzione in massa del genere umano, per consentire alla biosfera di tornare in buona salute.  Un mondo senza l’editoriale del Corriere della Sera, in cui tra l’Alitalia e la crisi dei rapporti USA-Russia, l’autore indica come altro esempio di scomparsa del buon senso l’aver consentito una “dissennata crescita della popolazione”; lo stesso quotidiano che l’anno scorso ha pubblicato un articolo di Niall Ferguson dal titolo “La bistecca dà ragione a Malthus“.

Perdonatemi lo sfogo, ed abbiate ancora un pò di pazienza, non ho ancora finito.Su queste pagine e, più in generale nell’atteggiamento che cerco di mantenere, non posso evitare di garantire diritto di cittadinanza a tutte le opinioni. Piena applicazione della libertà di espressione, per cui, nel rispetto di quanto proposto da questo libro, avanzerei anche io una proposta. Gli uomini devono diminuire di numero? Bene, quelli che la pensano così sono un bel po’, che diano il buon esempio, cominceremo subito a stare più larghi e, soprattutto, più tranquilli.

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Published inAmbienteAttualità

18 Comments

  1. […] di numero, cioè di sovrappopolazione. Questo non ci piace e ne abbiamo discusso a lungo in questo post ed in quelli che lo hanno seguito. Il problema è piuttosto nel modello di sviluppo perseguito, i […]

  2. @ Francesco
    L’indirizzo di posta è nella sezione contatti, ma per sicurezza lo ripeto: guidoguidi@climatemonitor.it. Alla pubblicazione pensiamo noi, dopo aver discusso con gli autori il contenuto e dopo aver ricevuto la loro autorizzazione.
    Tutto qui. Aspettiamo.
    gg.

  3. Gentilissimo, non ho capito come si inviano gli articoli. Moti affermano che le chemtrails sono un argomento controverso e non trattato scientificamente, ma intanto stanno causando danni incalcolabili. Diceva qualcuno: Mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata. Siamo stanchi, stanchissimi di discutere: ci vorrebbe un’azione incisiva ed immediata. Il comandante ordina di gettare le scialuppe quando la nave non è ancora affondata, non quando è già inabissata. Ogni indugio è colpevole. Comunque le scie c’entrano perché sono un metodo subdolo con cui certi personaggi portano a compimento la depopulation.

    Cordialità

  4. @ Francesco
    Grazie. Ma non capisco proprio cosa possano avere a che fare le scie chimiche con questo argomento. Non capisco neanche il senso dell’avverbio “naturalmente” nel contesto del tuo commento. Non abbiamo mai scientemente affrontato la questione delle chemitrails, perchè è troppo controversa e troppo condita di fanatismo e di affermazioni che, se non adeguatamente supportate lasciano il tempo che trovano. Avrai notato che disponiamo di uno spazio che si chiama voce del lettori. Poche regole, mi mandi quello che vorresti spiegare o discutere e io lo pubblico.
    gg

  5. Un articolo equilibrato, ma neanche un cenno naturalmente alle scie chimiche che sono molto democratiche, uccidendo sia uomini sia animali sia piante.

    Cordialità

  6. Nicola

    Sono contento che mia madre non si sia preoccupata del boom demografico degli anni ’70.

    Se qualcuno pensa che siamo troppi vada in un altro mondo. Io sto bene qui.
    Ha ragione Guidi, il problema demografico (se esiste un problema) si stabilizza con il benessere economico.
    Però diffondere il benessere non piace a tanti ed è meglio sterilizzare negri e gialli. Questo è molto peggio del colonialismo.

    I problemi si risolvono affrontando i problemi.

    Il problema dell’acqua in Puglia si risolve non chiedendo alle persone di utlizzare meno acqua ma creando un’acquedotto che non perda il 48% dell’acqua nelle condotte. Ma questo significa lavorare, pensare e andare meno volte in TV…

    E’ assurdo che mi si chieda di consumare meno eletricità perché produrre elettricità inquina. Grazie ai miei maggiori consumi ed alle tariffe più elevate che pago tu produttore hai maggiori entrate che puoi investire nella ricerca di forme di produzione a minore impatto ambientale. Ma ciò significa risolvere un problema e non poter più fare terrorismo in TV…

    E’ assurdo dire che non bisogna disboscare la foresta amazzonica e che i brasiliani non possono più sfruttare la loro terra dopo che abbiamo raso al suolo tutte le foreste d’Europa. Sono importanti le foreste? Bene radiamo al suolo tutta la Lombardia (o qualunque altra regione) e riempiamola di alberi.

    Per alcuni signori i sacrifici li debbono fare solo gli altri.
    Questo non va bene.

    Scusate il discorso un po’ sconclusionato. Credo che se ci sia un problema (demografico, energetico, ambientale…) lo debba risolvere chi lo ha creato e chi ne ha tratto dei benefici.
    E’ facile dire “C’è troppa anidride carbonica, voi dello Zaire non potete svilupparvi…”

  7. velazquez

    Mi trovo in perfetta sintonia con Giuliano quando sostiene che l’antropocentrismo abbia radici culturali profonde, tuttavia la piacevole e, a mio giudizio, corretta visione perde la sua chiarezza e forza nel momento in cui l’uomo, “fatto a immagine e somiglianza di Dio”, viene identificato con il “padrone” del mondo. Questa è la distorsione. Il termine non è “padrone” ma, come dice la stessa dottrina della Chiesa, “custode”. Nel ruolo di “custode” l’uomo, pur mantenendo la prerogativa di essere prediletto dal Signore, non deve sentirsi padrone del Creato, ma, anche attraverso un utilizzo appropriato delle risorse, il suo attento “custode”.
    Per quanto concerne il discorso della natalità, potrebbe essere utile riflettere sul fatto che gli animali più evoluti hanno meno figli di quelli con un tasso evolutivo inferiore. Perchè un pesce produce milioni di uova e un cavallo un solo puledro? L’ambiente marino è probabilmente più ostile di quello di una prateria in termini di probabilità di sopravvivare ad i predatori. Il pesce quindi, per assicurarsi una successione, adotta una strategia di quantità. Il cavallo di qualità. Una società di uomini e donne florida e in salute, non sentirà analogamente la necessità di avere 10 figli per coppia. Ottime giornate

  8. Angelo

    @Giuliano Bertoni
    Mi permetto solo alcune osservazioni.

    Circa le radici della cultura antropocentrica mi sembra un po’ datato scomodare Lynn White (il primo che introdusse il termine crisi ecologica nel 1967 nel suo articolo “”The Historical Roots of Our Ecologic Crisis”). Anche perché credo, a buon senso, che si possano trovare esempi di “crisi ecologiche” anche in altre culture lontane a quella occidentale sia nello spazio che nel tempo. Del resto anche nello stesso ambientalismo viene sottolineato come miglior ambientalista S.Francesco, uno dei migliori figli della cultura religiosa antropocentrica.

    Circa la specie con biomassa preponderante, questo è probabilmente vero, ma nessuno ha mai calcolato quanto ammonta la biomassa di tutte le rimanenti specie a partire dai microorganismi passando attraverso gli insetti e tutte le specie viventi dei mari fino ad arrivare ai grandi vertebrati terrestri? Credo che verrebbero fuori numeri così grandi da impallidire e molto superiori a quelli “umani”.
    E poi in base a quali dati oggettivi si afferma che “sta cambiando gli equilibri naturali troppo in fretta”? Forse l’AGW?

    Infine, se “il futuro non è prevedibile” come puoi affermare che da “quel poco che se ne intravede è ben più preoccupante”?
    Proviamo a distinguere tra quello che tutti dicono, i giornali scrivono la televisione ribadisce(a volte per perseguire altri interessi non prettamente “scientifici”) ! Distinguiamo tra quello che è oggettivo e quello che è una vaga percezione pessimistica, forse fondata, ma non oggettiva.

    Scusa Giuliano, se ci metto passione, ma mi piacerebbe a volte riuscire a distillare le informazioni e allontanarmi almeno con la mente da una cultura che mi vede come “cancro del pianeta”, che mi riconosce come “essere intelligente” che ama la vita, ma mi valuta come biomassa che disturba la terra, per poter vedere meglio l’errore culturale dei nostri tempi.

  9. @ Antonello
    Non vedo perchè stare nel mezzo debba significare il mantenimento dello statu quo. Sin qui mi sembra sia accaduto esattamente il contrario. Quello cui accenni si chiama piuttosto immobilismo, pratica che può andar forse bene nel breve periodo, ma che alla lunga è destinata a fallire, semplicemente perchè le condizioni al contorno sono in continua evoluzione. Non sta forse fallendo proprio per immobilismo, per la pratica del no ad oltranza, l’ambientalismo più radicale? Un esempio di vasta portata ma anche banale: il panorama energetico mondiale sta cambiando radicalmente, presto dovremo far sul serio i conti con la disponibilità delle risorse energetiche, eppure c’è ancora chi nega che l’aver abbandonato la tecnologia nucleare, del cui settore avevamo la leadership mondiale, abbia portato di gran lunga maggior nocumento all’ambiente di quanto non lo abbia preservato, depauperando le nostre risorse idriche e carbonizzando miliardi di barili di petrolio. Ora è probabilmente tardi per riprendere quella strada, ma il sole che ride, campione di immobilismo, farebbe meglio a girare verso il basso la piega del suo sorriso. Quanto al voler essere dalla parte di chi sta perdendo la partita, mi trovi pienamente concorde, dato che la nostra squadra è tutt’altro che messa bene.
    gg.

  10. @ Giuliano
    Può darsi che tu abbia ragione caro Giuliano, circa la genesi della cultura antropocentrica. Ma se così è, si è trattato di un ingegnoso aggiustamento della dottrina religiosa, più che dell’osservanza della stessa. Non mi risulta che la religione, pur affermando la superiorità dell’uomo rispetto al creato, abbia mai parimenti detto che quest’ultimo è al servizio dell’uomo. Però questa è probabilmente una mia lacuna, della quale, eventualmente mi scuso. Non conosco le ragioni del decremento della natalità nei paesi con elevato livello di sviluppo, ma è un fatto che così sia accaduto, per cui credo anche che sia proprio lo sviluppo l’unica strada da battere per evitare che il problema sia ulteriormente amplificato. Qualsiasi altro strumento di controllo porrebbe inevitabilmente la fatidica domanda: chi controlla il controllore? Sin qui e chiedo scusa se mi ripeto, non mi sembra che alcuna politica di controllo abbia avuto successo, dal punto di vista etico, s’intende.
    Infine non credo di aver mai detto che i problemi di sopravvivenza del genere umano (in termini di risorse) siano risolti o facilmente risolvibili, quanto piuttosto credo di aver detto che è più un problema di disponibilità economica, anche se mi rendo conto che parlare di disponibilità economica di questi giorni è quantomeno risibile, visto il ridimensionamento che va subendo la virtuale ricchezza del mondo evoluto.
    gg

  11. Giuliano Bertoni

    Caro Guido, ho letto con attenzione e, debbo dire, anche con simpatia la parte in cui reclami l’appartenenza del genere umano al mondo della Natura, e perciò il suo pieno diritto ad interagire con essa. Concordo in pieno ma credo che l’antropocentrismo abbia radici culturali profonde, che rimontano al pensiero religioso per cui l’uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, sia in qualche modo “padrone” e non “parte” del mondo. La nostra leadership planetaria però ha anche dei risvolti di enorme responsabilità: siamo la specie con la biomassa preponderante sul pianeta e questo sta cambiando gli equilibri naturali troppo in fretta. Non credo che sia vero quello che affermi sul fatto che i problemi di sopravvivenza (a livello umano, intendo) di sei miliardi di individui in progressivo aumento siano stati risolti e ancor meglio si risolveranno in futuro. La scienza medica e l’igiene permettono una sopravvivenza alla nascita molto maggiore che in passato, e questo è certamente un bene; però il decremento di natalità dei popoli più sviluppati è più legato alla difficoltà delle coppie di accudire alla prole ed assicurare loro un futuro che ad altro.
    Certo, i metodi alla cinese sono criticabili ma controllare una crescita inconsulta, anche senza auspicare virus e catastrofi, mi sembra più che ragionevole; anche perchè il futuro non è prevedibile ma quel poco che se ne intravede è ben più preoccupante di quello che dici. Se è vero che “in medio stat virus”, cerchiamo di non restare troppo “di lato”.

  12. Solo che, generalmente, stare nel mezzo significa sottoscrivere lo status quo, mentre oggi assistiamo ad un sistema occidentale che sfrutta la natura e alcune fasce di umani. Non è sostenibile, nè fisicamente nè eticamente, che le cose continuino in questa maniera. Dunque mi sento di schierarmi con chi sta perdendo la partita, e non per colpa sua…
    AP

  13. Caro Antonello,
    come sai mi trovi concorde, gli atteggiamenti estremi non sono mai indice di obiettività. Non a caso nel post ho posto l’accento su quanto uno di questi estremi, quello che separa l’uomo dalla natura, impedisca di recuperare il rapporto tra l’uomo e l’ambiente. Un rapporto compromesso, almeno sin qui, dall’atteggiamento opposto di marcato antropocentrismo che tu citi, cui si è aggiunta l’ideologia ambientalista dai toni più accentuati degli ultimi decenni. Il punto è che se è certamente sbagliata una visione eccessivamente antropocentrica del nostro mondo, allo stesso tempo il suo contrario è un’deologia, serve solo a fare muro e non ha alcuna possibilità di essere applicata con successo, al punto da aver fatto forse più danni della sua antagonista. Mi rendo conto di essere giunto all’acqua calda, ma il bene è nel mezzo, come in tutte le cose.
    gg

  14. Caro Guido,
    ritengo che la divisione tra uomo e natura non sia solo caratteristica di un ambientalismo di vecchio stampo, ma anche di un antropocentrismo bieco che vede l’uomo come il padrone/dittatore del mondo.
    Dovremmo invece sentirci parte della natura con un nostro ruolo specifico, quello di armonizzare le nostre dinamiche con quelle della natura che, ricordiamoci non è un oggetto inerte come a molti antropocentristi fa comodo pensare.
    Un contributo a questo tema su un mio post del mese scorso:
    http://antonellopasini.nova100.ilsole24ore.com/2008/09/immersi-nella-n.html
    Saluti
    Antonello Pasini

  15. @Angelo
    Non so, da un lato condivido pienamente il tuo sconcerto, dall’altro penso che il “male” che affligge questi tempi non sia dissimile da quelli che hanno afflitto altri momenti storici. Semplicemente forse ne subiamo di più gli effetti psicologici perchè ci scambiamo le informazioni ad una velocità impensabile soltanto una generazione fa.
    Questo genere di “progetti per l’umanità” sono sempre esistiti ed hanno condizionato l’evoluzione della nostra specie con una partecipazione spesso corale ma in passato spesso anche non percepita. Ora è diverso, non solo perchè si cerca di capire, quanto perchè si desidera prender parte al progetto, nella speranza di poter dare un contributo. Giusto farlo, anche se a volte più che di una speranza si tratta di una pia illusione. Ad ogni modo, paradossalmente, non sarà la realtà delle cose a far prevalere un modo di pensare o l’altro, sarà piuttosto l’insorgere di altre “urgenze” globali. L’affievolirsi della luce dei riflettori su queste tematiche permetterà alla realtà di venir fuori ma, nel frattempo, nessuno farà ammenda. Che questo possa invece accadere, ovvero che qualcuno guardi indietro e “si penta”, questa sì è una pia illusione.
    gg

  16. Angelo

    Caro Guido,
    Mi permetto di aggiungere che anch’io sono “saturo” perché:
    -non sopporto più di sentirmi dire che sono un cancro del pianeta,
    -non sopporto più l’idea di dover essere eliminato per il bene del pianeta (orsi polari, panda e compagnia bella…)
    -non sopporto più i “memento” farlocchi circa l’imminenza della “fine del mondo”
    -non sopporto più di essere “terrorizzato” dalla malafede di alcuni farabutti che cavalcano i terrori dell’uomo comune (soprattutto la malafede non sopporto).

    Non sopporto più di dover dire ai miei figli (che, non sembra, ma ascoltano con attenzione i mass media) tranquilli dobbiamo dare il nostro contributo, ma vivete sereni…
    Voglio che i miei figli imparino a vivere tempi difficili, ma non senza speranza, non terrorizzati.

    Qualcuno ha qualcosa da aggiungere? Ci sono padri di famiglia?

  17. Daniele Franceschi

    Parlando _strettamente_ del libro: l’ipotesi di lavoro a me e` parsa solo un pretesto narrativo per raccontare soprattutto una serie di effetti della societa` industriale sulla natura. Occasione persa.

    Piu` in generale, se vogliamo parlare della “sindrome dello spostamento dello standard” e della deriva conservatrice delle odierne cassandre… 🙂

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