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Darfur, la prima guerra climatica – Mirror posting

Ospitiamo oggi un articolo apparso su Geopoliticalcenter.com . Come i nostri lettori ormai sanno, Climatemonitor parla principalmente di climatologia, tuttavia ad oggi il campo è diventato talmente vasto da essere prettamente interdisciplinare. Clima, società, ambiente, economia sembrano argomenti separati all’apparenza, tuttavia un sottile filo rosso li lega tutti insieme. Quali che siano le cause dei cambiamenti climatici (ma sapete bene come la pensiamo qui su CM), nel mondo e in particolare in Africa si sono consumate e si stanno consumando delle tragedie di proporzioni devastanti. Più che riflettere sui cambiamenti climatici, con questo mirror posting, vorremmo riflettere su questioni troppo spesso accantonate in angoli remoti della nostra memoria.

Il continente africano è da sempre teatro di conflitti armati e scontri internazionali e intranazionali. Molti di questi conflitti sono ormai sui libri di storia, molti altri purtroppo sono cronaca contemporanea. Una delle regioni più devastate da sanguinose guerre fratricide è sicuramente il Darfur.Tale regione, di quasi mezzo milione di chilometri quadrati1 , è collocata nella zona occidentale del Sudan, a cavallo del deserto del Sahara. La maggior parte dei circa 6 milioni di abitanti sono distribuiti in zone rurali e la loro sussitenza dipende grandemente dalle precipitazioni atmosferiche. Il Darfur sta conoscendo una progressiva desertificazione ma queste non sono le uniche difficoltà che si addensano sulla regione. Come è noto a tutti, ormai, da decenni la regione è teatro di conflitti sanguinosi, sebbene originati da cause diverse.
La regione del Darfur - Image courtesy of WikipediaPrimi su tutti sono i conflitti nelle zone circostanti, prevalentemente nel Ciad e in Libia. Le grosse dispute tuttavia hanno preso le mosse da dispute territoriali, tra i due gruppi etnici ormai comunemente identificati come popolazioni “Arabe” e “Nere”, prevalentemente stanziali le prime, nomadi le seconde. Con l’avanzare del deserto e della siccità, le tribù nomadi si sono trasferite e gradualmente insediate nei territori delle tribù contadine stanziali2 ,3 . Questa è l’interpretazione che lega principalmente il conflitto a fattori climatici, ne parleremo approfonditamente poco oltre. Vale la pena ricordare che le cause sono in realtà molteplici, non ultimo il petrolio sudanese. Tutta la regione del Darfur, infatti, è ricchissima di petrolio, strategicamente importante per la Cina in primo luogo.

Prima di addentrarci nelle argomentazioni sul clima, è doveroso ricordare che nel conflitto del Darfur hanno perso la vita circa mezzo milione di persone, e si sono registrati quasi 3 milioni di profughi.

Le Nazioni Unite, in un recente rapporto, ci ricordano che le precipitazioni nella zona del Darfur sono diminuite di circa il 30%, negli ultimi 40 anni. Il deserto del Sahara, inoltre, avanza alla velocità di circa un chilometro e mezzo all’anno. Sono proprio questi cambiamenti del clima ad aver causato le iniziali tensioni tra nomadi e stanziali: il prosciugamento dei pozzi d’acqua, per via della siccità, si è aggravato per via del numero crescente di capi di bestiame.

Come si inserisce la tragedia del Darfur all’interno del dibattito (ampio ed aspro) sui cambiamenti climatici?
Risponde Achim Steiner, direttore esecutivo presso l’UNEP (United Nation Environment Programme)4 :

Sudan’s tragedy is not just the tragedy of one country in Africa, it is a window to a wider world underlining how issues such as uncontrolled depletion of natural resources such as soils and forests, allied to impacts such as climate change can destabilise communities

Tradotto: “La tragedia del Sudan non è semplicemente la tragedia di una nazione africana, bensì getta una luce su come l’esaurimento incontrollato delle risorse naturali, come suolo e foreste, unitamente all’impatto dei cambiamenti climatici, possa destabilizzare le comunità”.

Un altro esempio, vicino nel tempo e nello spazio al Darfur, è la terribile siccità che ha colpito la Somalia.

Interessante la puntualizzazione di Jeffrey Mazo, ricercatore dell’International Institute for Strategic Studies: la pressione demografica è un fattore importante altrettanto importante quanto i cambiamenti climatici.

Senza voler aprire qui il dibattito sul global climate change, non è questa la sede appropriata ed è possibile trovare in rete fonti più specifiche, va comunque proposta la seguente riflessione: il clima cambia da quando esiste l’atmosfera e da sempre ha causato modificazioni nella distribuzione degli organismi viventi (se non addirittura mettendone a rischio la diretta esistenza). Quello che emerge qui è un problema sistemico che si protrae da decenni, ovvero una mancata corretta gestione delle risorse idriche e del suolo. Al crescere della pressione demografica, semplicemente, quello che era un problema latente è diventato un problema conclamato, in tutta la sua virulenza. E tale è per quelle città andine che, per via delle ridotte precipitazioni (il clima in questo caso è in media, siccitoso) vedono ridursi le proprie fonti di approvvigionamento idrico.

Tratto da www.geopoliticalcenter.com

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  1. Sudan’s Geography. Globaldreamers.org. Retrieved 2010-07-13 []
  2. Darfur and the Genocide Debate, Scott Straus, Foreign Affairs, Vol. 84, No. 1 (Jan. – Feb., 2005), pp. 123-133 []
  3. Bechtold, P. K. (2009). A History of Modern Sudan. Middle East Journal, 63(1), 149 – 150 []
  4. Climate change: Global warming influences demographic shifts By Mike Scott []
Published inAttualitàEconomia

5 Comments

  1. Luigi Mariani

    Penso che al fondo di tutto ci sia un problema di misure:
    tutti hanno numeri pronti ma quasi più nessuno misura e chi misura lo fa poco e male!

    In proposito ricordo che nell’articolo scientifico “Dai A., Lamb P.J., Trenberth K.E., Hulme M., Jones P.D., Xie P, 2004. Comment – the recent Sahel drought is real, Int. J. Climatol. 24: 1323–1331” in cui si riportava il numero di stazioni pluviometriche usate per eseguire stime sull’andamento delle piovosità nel sahel (un’area che è grande decine di volte l’Italia):

    1921: 51 stazioni
    1951: 152 stazioni
    1971: 188 stazioni
    1991: 102 stazioni
    2003: 35 stazioni

    Con 35 stazioni si farebbe fatica a capire come vanno le precipitazioni in Italia. Immaginate nel Sahel, area n cui la variabilità spaziale dei fenomeni è elvatissima, per cui occorrerebbero reti particolarmente fitte per renderne conto.

    In proposito aggiungo un ulteriore spunto di riflessione:

    esistono evidenze da remoto (dati da satellite) secondo cui la superficie coperta da vegetazione nel Sahel sta aumentando in modo significativo.

    I lavori cui mi riferisco sono:
    – Olsson L., Eklundh L., Ardo J., 2005. A recent greening of the Sahel—trends, patterns and potential causes, Journal of Arid Environments 63 (2005) 556–566
    – Ulf Helldén e Christian Tottrup, 2008. Regional desertification: A global synthesis. Global and Planetary Change 64 (2008) 169–176.

    Come si conciliano tali dati con l’aumento delle siccità?

    Luigi

    • donato

      L. Mariani scrive: “esistono evidenze da remoto (dati da satellite) secondo cui la superficie coperta da vegetazione nel Sahel sta aumentando in modo significativo.” e, a riprova di tale considerazione, cita due articoli scientifici che confermano, semmai ve ne fosse bisogno, quanto scritto.
      Nel post che stiamo commentando è scritto: “Le Nazioni Unite, in un recente rapporto, ci ricordano che le precipitazioni nella zona del Darfur sono diminuite di circa il 30%, negli ultimi 40 anni. Il deserto del Sahara, inoltre, avanza alla velocità di circa un chilometro e mezzo all’anno.”
      Mi sembra che le due osservazioni siano piuttosto contrastanti (se la vegetazione nel Sahel è in aumento, è strano che il deserto avanzi).
      Probabilmente, azzardo un’ipotesi, il Darfur è una zona del Sahel che evolve in controtendenza rispetto a quanto avviene nella restante parte del Sahel. In caso contrario dobbiamo presupporre che le Nazioni Unite ci stiano raccontando frottole. Il commento di M. Morabito la dice molto lunga sull’argomento, però, vorrei capirci qualcosa in più.
      In merito al fatto che le precipitazioni sono diminuite nel corso degli ultimi 40 anni, voglio solo notare che il calo di precipitazioni coincide con il calo delle centraline di misurazione (per carità, sarà una semplice coincidenza, ma la cosa è intrigante!)
      Ciao, Donato.

    • Guido Botteri

      Da quello scettico blu disincantato che sono ormai diventato (ma sempre non professionista – che vuol dire sempre disposto a cambiar parere di fronte a prove convincenti, come deve essere una persona di mentalità scientifica quale mi onoro e penso di essere) non mi stupirei se l’ONU ci stesse raccontando frottole, visto anche quel che ci racconta sul clima in genere (preciso: non sto dicendo che “siano” frottole” ma solo che “io” penso e credo che lo siano).
      Ma visto che c’è una discordanza profonda di dati, mi auguro che venga fatta chiarezza. Capisco avere idee diverse sui perché succeda questo o quello, ma NON è ammissibile che ci siano idee scientifiche diverse sui dati. Una temperatura è una temperatura. Direte “ma sono anni che ci dici che non ti fidi dei dati che ci propinano”…appunto. 🙂

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