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L’Atlantico, il global warming e le previsioni stagionali

Buone nuove, forse, per le previsioni stagionali. La settimana scorsa è apparso su Science Daily un articolo di commento ad un paper pubblicato su Science da un team di ricercatori del Max Planck Institute.

Multy Year Prediction of Montly Mean Atlantic Meridional Overturning Circulations at 26.5°N – Matei et al., 2011.

L’AMOC ovvero quella porzione della circolazione oceanica che interessa l’Atlantico. La componente di superficie di questo complesso sistema di correnti è nota come Corrente del Golfo, il lungo nastro trasportatore di acque temperate che dal Golfo del Messico si spinge fin verso il Mare del Nord mitigando il clima dell’Europa occidentale ed essendone quindi uno dei driver principali.

Una cessione di calore continua sebbene soggetta ad una certa variabilità. Per esempio, si suppone che il ramo superficiale di questo flusso abbia subito un rallentamento non riuscendo più a raggiungere il mare del Nord durante la Piccola Età Glaciale, regalando – si fa per dire – alcuni secoli di grande difficoltà climatica al vecchio continente in un contesto di raffeddamento globale. Questo concetto, tra l’altro, ha fatto la fortuna di un relativamente recente e famosissimo Action Movie – The Day After Tomorrow – spettacolare quanto improbabile viral marketing del climate change in action.

Per avere un’idea della variabilità di breve periodo di questo flusso, si può dare un’occhiata a questa pagina dove sono plottati i dati resi disponibili dal KNMI (figura sotto) e dove si nota uno strano spike subito dal flusso nei primi anni ’70.

Ma torniamo alla novità del lavoro oggetto di questo post. Gli autori del paper dimostano in via teorica la possibilità di fare delle previsioni climatiche su AMOC per confronto tra simulazioni di modelli e successiva verifica con dati osservati e con previsioni di persistenza. Le osservazioni utilizzate nello studio sono comunque in realtà dati di rianalisi dei progetti di ricerca RAPID e MOCHA.

Al di la’ dell’enfasi con cui si assegna tout court al sistema una dipendenza da forcing antropico e variabilità naturale, che leggiamo sia su SD che nel corpo dell’articolo pubblicato, l’approccio di questa ricerca presenta degli spunti interessanti in quanto, focalizzando l’attenzione sul breve e medio periodo, presuppone che le simulazioni debbano essere inizializzate con lo stato del sistema al momento di partenza della previsione, ponendo l’accento sulla memoria che le dinamiche future possano conservare dello stato iniziale. Un approccio questo, molto più meteorologico che climatico, in effetti.

Per mettere a punto la previsione sono stati utilizzati il modello climatico globale ECHAM5 per la componente atmosferica e il modello oceanico MPI-OM per quella oceanica. L’impiego di quest’ultimo potrebbe essere stato un ulteriore valore aggiunto, in quanto tale modello è noto per avere buone capacità predittive del North Sea Overflow che, come generatore della North Atlantic Deep Water, è il principale immissario del ramo profondo dell’AMOC.

Dopo aver realizzato delle ‘previsioni del passato’ (Hindcast) per il periodo 2004-2007, inizializzate con le rianalisi atmosferiche dal 1948, si è proceduto al confronto con la persistenza e con le simulazioni eseguite con un modello non inizializzato. Le capacità predittive sono state valutate tramite indici di correlazione per confronto con i dati osservati RAPID-MOCHA. La previsione è risultata essere più affidabile della persistenza e del modello non inizializzato, sebbene si noti una persistente sottostima della ciclicità annuale. Confortati da questo risultato gli autori hanno lanciato il modello avanti nel tempo, ottenendo un output che assicurerebbe una sostanziale stabilità di questo flusso (alla latitudine 26.5N) per i prossimi quattro anni.

Ora alcune considerazioni. La prima in ordine al sistema di previsione. Il modello atmosferico impiegato  è uno di quelli che vanno per la maggiore e contiene una certa quantità di forcing antropico. Nel paper si legge che si è deciso di far girare il modello secondo lo scenario di emissioni A1B, che prevede un mix di risorse energetiche molto diverso dall’attuale (e presumibilmente dal futuro a breve medio termine), una conseguente progressiva riduzione delle emissioni (anch’essa presumibilmente irrealistica e sin qui disattesa) e un aumento delle temperature medie globali contenuto ma comunque largamente superiore a quello osservato attualmente. Non è dato sapere (a chi scrive, naturalmente) quanto pesi il forcing antropico in questo modello e quanta parte di questo peso si ripercuota sull’accoppiamento con il modello oceanico e sulle successive previsioni.

Ma se lo scenario di emissioni che si presuppone è diverso da quello reale e se l’output delle temperature è sovrastimato, qualche dubbio circa la ‘bontà’ di queste previsioni è lecito averlo, a meno che questo peso non sia veramente irrilevante e l’errore possa essere quindi contenuto a tutto vantaggio delle dinamiche di origine naturale, almeno per il breve-medio periodo. Nella pagina di spiegazione dell’AMOC che abbiamo linkato all’inizio di questo post, leggiamo infatti che le previsioni dell’IPCC giudicano ‘very likely’ che l’AMOC possa subire una diminuzione di intensità del 25/30% nel corso del XXI° come conseguenza del global warming. Un sistema che sembra piuttosto stabile da quando lo si osserva e che si prevede rimanga tale anche per i prossimi anni non sembra vada nella direzione della conferma di questa previsione.

Tuttavia, come si legge nel paper e come si vede molto bene dalla figura pubblicata qui accanto, non si può fare a meno di notare che nell’inverno 2009-2010 l’AMOC a 26,5°N abbia subito una oscillazione negativa piuttosto accentuata che gli autori associano (causa o effetto?) alla persistenza di una fase NAO fortemente negativa. Quell’inverno, molti lo ricorderanno, è stato per l’Europa decisamente rigido. Le previsioni stagionali di allora, che evidentemente e ovviamente non contenevano alcuna di queste informazioni  erano invece andate tutte nella direzione di un inverno piuttosto mite.

Perciò, pur con tutti i distinguo contenuti nello stesso paper, questa ricerca potrebbe far segnare un passo in avanti significativo nel settore delle previsioni stagionali. Vedremo.

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Published inAttualitàClimatologiaMeteorologia

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