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Dov’è l’Hockey Stick?

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Guido Travaglini è un ricercatore dell’Università La Sapienza di Roma, Facoltà di Giurisprudenza, Istituto di Economia e Finanza. Ha pubblicato e postato sul web articoli di vario genere: macroeconomia, macrocriminologia, analisi delle componenti principali e climatologia. Ha un approccio econometrico dovuto agli insegnamenti di K.D. West (University of Wisconsin, Madison) e di M. Aoki (UCLA, Los Angeles). Il suo ultimo lavoro ha un titolo simile a quello di questo post:

Climate Change: Where is the Hockey Stick? Evidence from Millennial-Scale Reconstructed and Updated Temperature Time Series. (PDF)

Su mia richiesta ha accettato di riassumerne i contenuti per un guest post su CM. Buona lettura.

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Ho di recente divulgato sul web un articolo intitolato “Climate Change: Where is the Hockey Stick? Evidence from Millennial-Scale Reconstructed and Updated Temperature Time Series”. Obiettivo dell’articolo è verificare se le temperature medie della Terra si siano significativamente modificate negli ultimi mille+ anni dando luogo ad un trend ascendente culminante nell’attuale “Global Warming” o “Recent Warming Period” (RWP), oppure abbiano manifestato fasi cicliche attorno ad un trend stazionario.

Alcuni climatologi, p.es. Mann ed i suoi associati tra cui Briffa, Crowley e Jones, sostengono la prima ipotesi ritenendo che le attuali temperature non abbiano precedenti nella storia della Terra (almeno nell’Olocene) e che siano dunque di origine antropogenica. L’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) ha sposato tali assunti pubblicizzandoli ampiamente nei suoi rapporti periodici e foraggiando un vasto clima mediatico nei quattro angoli del globo. Le serie storiche usate dagli autori e dai loro mentori, lunghe circa 1,000 anni, manifestano un trend costante per svariate centinaia di anni e poi una brusca impennata verso gli ultimi decenni, esibendo graficamente una forma simile a quella della mazza da hockey (Hockey Stick).

Altri esperti a vario titolo, p.es. Balyunas e Soon, McIntyre e McKittrick, contestano il metodo di trattamento dei dati operato dai primi ed altri ancora, come Shaviv, Abdussamatov e Shindell, fanno risalire l’attuale riscaldamento a cause naturali quali i raggi cosmici, l’rradiazione solare e l’attività vulcanica.

Il quadro complessivo che emerge da questa pletora di opinioni sulle variazioni climatiche e/o sulle sue cause è decisamente confuso agli occhi di un osservatore comune. Costui/costei giustamente pretende risposte se non certe quantomeno affidabili soprattutto a fronte dei notevoli esborsi finanziari operati da enti pubblici e privati nel nome di energie rinnovabili, risorse pulite, etc. e nei quali si trova più o meno coinvolto/a. L’unica risposta affidabile in tale contesto proviene dall’analisi dei dati paleoclimatici, dei quali oggi si dispone di un’ampia congerie resa pubblica dal National Oceanic Atmospheric Administration (NOAA). Laddove si trovassero in questi dati, andando indietro nel tempo, situazioni climatiche affini alle attuali come per esempio il “Medieval Warming Period” (MWP, ~900-1350 AD), cadrebbe l’ipotesi antropogenica e si smantellerebbe l’intera struttura mediatica dell’IPCC nonchè delle svariate politiche di spesa ad esso associate.

Nel mio articolo ho cercato, fra le 92 serie storiche paleoclimatiche messe a disposizione sul web dal NOAA, quelle che fossero lunghe almeno un millennio, poco più o poco meno, al fine d’inglobare il MWP. Ne ho identificate dieci, tutte caratterizzate da continuità annuale e fra queste anche alcune serie trattate da Mann ed associati. Tutte le serie storiche sono listate e raffigurate graficamente nel mio articolo e presentano dal punto di vista della rilevazione lunghezze differenti, alcune risalenti a centinaia di anni prima di Cristo, altre parecchio tempo dopo. Tutte esibiscono errori standard abbastanza accentuati e visibili chiaramente nei rispettivi grafici riportati nell’articolo, nonché andamenti differenti poiché sei su dieci sono manifestamente nonstazionarie. Tutte comunque terminano verso la fine degli anni novanta e richiedono, per ovvi motivi statistico-interpretativi, aggiornamenti quanto più recenti.

Questi aggiornamenti sono resi possibili attraverso varie tecniche disponibili: il Kalman Filter (KF) è stato da me scelto per via della sua affidabilità e robustezza nell’off-sampling. Il KF è una tecnica semplice poiché permette di effettuare estrapolazioni (updations), quindi di riprodurre ovvero di aggiornare dati inosservabili di serie storiche con l’ausilio di una o più variabili note, in maniera simile al metodo Chao-Lin usato per le interpolazioni (backwardations). La variabile nota usata che funge da “leading indicator” per gli aggiornamenti delle serie NOAA prescelte è rappresentata dalla serie storica strumentale HADCRUT messa a disposizione sul web dal Climatic Research Unit e dalla University of East Anglia. La serie copre il periodo 1850-2011 ed è dunque un ottimo candidato come variabile nota nel contesto della tecnica di KF. Si rimarca, per inciso, che tale serie è significativamente nonstazionaria.

Non scendo nei dettagli della procedura, ricordando solo che gli aggiornamenti delle serie NOAA prescelte vengono effettuati in maniera iterativa e cioè anno dopo anno a partire dall’ultimo anno disponibile per ciascuna serie e fino al raggiungimento del periodo terminale. Questi aggiornamenti, di lunghezza compresa fra i 5 ed i 31 anni a seconda delle serie, incudono un disturbo casuale gaussiano (noise) pari in media all’errore standard di cui sopra. Dopo il trattamento KF, tutte le serie aggiornate vengono analizzate e per ciascuna vengono effettuate 1.000 simulazioni col metodo Montecarlo al fine di verificare se, in un contesto di serie storiche noisy, i massimi globali e/o locali corrispondenti ai picchi ciclici sono associati al periodo RWP o a periodi più remoti. Tali massimi vengono intesi come largamente non contigui e quindi separati l’uno dall’altro da un arco minimo di oltre un centinaio di anni, valutato come il periodo medio dei cicli climatici.

Le serie storiche aggiornate con noise pari alla media delle simulazioni vengono esibite graficamente nell’allegata Fig. 1, ancorchè limitatamente agli ultimi 100 anni per ciascuna. La barra verticale rossa in ogni pannello rappresenta la data d’inizio dell’aggiornamento, a sinistra della quale si trova l’ultima parte delle osservazioni originarie. Si noti la diversità dei rispettivi andamenti, tipicamente nonstazionari per alcune serie.

Fig_1 - Click per ingrandire

Solo tre serie su dieci, quelle più legate all’operato di Mann ed associati, manifestano massimi globali nel periodo RWP e massimi locali insignificanti altrove. Le altre sette serie, invece, presentano massimi locali e globali di grandezze praticamente uguali che non si verificano ciascuno in una data costante e prefissata, ma che oscillano alternandosi fra di loro per ogni simulazione effettuata. In definitiva, tali massimi si alternano fra il MWP ed il RWP, concedendo al primo probabilità comprese fra il 50% e l’80%. In altri termini, sette serie su dieci concedono poco o pochissimo spazio alla probabilità che il RWP sia il periodo più caldo dell’Olocene.

La conclusione nondeterministica del mio articolo è la seguente: in presenza di serie storiche paleoclimatiche tipicamente noisy, l’ipotesi più benigna con le asserzioni di Mann ed associati mette sullo stesso piano le probabilità che massimi globali si siano verificati nel MWP così come nel RWP, mentre l’ipotesi meno benigna nei confronti di tali asserzioni richiede un’ampia spiegazione sul metodo usato per il trattamento dei dati a loro disposizione. In ogni caso, pur utilizzando solo dieci serie paleoclimatiche, l’ipotesi antropogenica al presente livello di conoscenze è significativamente rigettata.

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Published inAttualitàClimatologiaGuest blogger

8 Comments

  1. Claudio Costa

    @ Guido Travaglini

    le riviste interessate al tuo lavoro potrebbero essere quelle che hanno pubblicato le critiche a Mann

    http://www.uoguelph.ca/~rmckitri/research/trc.html McIntyre, Steven and Ross McKitrick, (2003). “Corrections to the Mann et. al. (1998) Proxy Data Base and Northern Hemisphere Average Temperature Series.” Environment and Energy 14(6) pp. 751-771

    Questa è la rivista degli scettici climatici, ma non è nella lista ISI

    http://www.agu.org/pubs/crossref/2005/2004GL021750.shtml
    McIntyre, S., and R. McKitrick (2005), Hockey sticks, principal components, and spurious significance, Geophys. Res. Lett., 32, L03710, doi:10.1029/2004GL021750.

    Questa invece è una rivista molto più autorevole dove però è ovviamente più difficile pubblicare.

    Se ti interessa ho molto materiale sull’hochey stick e sul periodo caldo medioevale posso mandartelo, quest aè la mia e mail
    claudiocosta.bs@alice.it

    .

  2. Guido

    A Franco: grazie davvero per il link di Scafetta, l’ho già guardato ma devo leggerlo bene. Ottimo articolo!
    A Donato: grazie anche a te per il tuo interesse e le tue domande puntuali nonchè per il tuo augurio. P.S. L’incoraggiamento fatto da persona competente è già mezzo lavoro fatto (vecchio proverbio da me inventato…)

  3. donato

    Guido ti ringrazio vivamente per le risposte chiare e puntuali. Grazie anche per la disponibilità a fornire il codice, ma io non sono uno statistico (semplice appassionato 🙂 ) che opera in campi molto diversi dalle analisi statistiche anche se, in un certo modo, attinenti ad esso (insegno matematica in un liceo scientifico). Sono anche dell’avviso che ognuno deve operare nel campo che gli è più congeniale con passione, competenza ed impegno (come fai tu). La statistica, nel mio caso, non lo è. Io, nel mio piccolo, cerco di informarmi, di capire (nei limiti del possibile), di rendermi conto di ciò che bolle in pentola in modo da poter esprimere dei “giudizi informati”. Lascio, perciò, a te l’onere principale del lavoro che, per quel poco che ne so, mi sembra molto ben impostato e convincente. Concludo con un sentito augurio: ad maiora!
    Ciao, Donato.

  4. Guido

    Ringrazio Claudio e Donato per le loro osservazioni. Sono pronto agli strali, ma più per il metodo di aggiornamento dei dati che non per le conclusioni.
    Per Claudio: interessante l’osservazione sulla forzante climatica che potrebbe accomunare RWP a MWP, forse è il sole, sono in cerca di dati millenari su (proxy) di irradiazione, macchie solari, etc. I dati sull’attività vulcanica purtroppo sono imprecisi più si va indietro nel tempo. Penso di pubblicare l’articolo su di una rivista peer reviewed ma non ho ancora scelto. Sai darmi qualche suggerimento? Te ne sarei grato.
    Per Donato ho alcune risposte ai suoi quesiti:
    (1) Limiti di spazio e di leggibilità mi hanno costretto a postare gli ultimi 100 anni di temperature (o proxies), infatti l’andamento di queste serie è più comprensibile nell’articolo, ma il formato di stampa è orrendo! Me ne scuso, provvederò in qualche maniera. Confermo che i dati a sinistra della barra verticale rossa sono gli ultimi di quelli originari, quelli a destra i dati aggiornati.
    (2) Le serie provengono da ambiti geografici diversi, ma teoricamente ciascuna dovrebbe fungere da proxy climatica robuste a detta dei loro autori. Si sa di certo che la raccolta di dati passati e presenti è molto più scarsa nell’Emisfero Australe e non si sa se i cambiamenti climatici siano davvero globali. Pare che Mann li abbia elaborati. Come statistico ho raccolto ed elaborato ciò che c’era, ho in cantiere un’analisi molto più estesa e vedremo cosa ne verrà fuori.
    (3) La tecnica KF elaborata funziona praticamente come il metodo Chao-Lin all’incontrario: se ho due serie di lunghezza diversa (X,Y) ed X (p.es. una serie NOAA) inizia-finisce nel 1700-1990, mentre Y inizia-finisce nel 1950-2010, uso Y per predire (dunque aggiornare) X fino al 2010. In un contesto di modello State-Space (SS), considero X come variabile di stato e Y osservabile. Faccio partire SS dal 1950, lasciando invariata X prima di quell’anno, stimo i parametri del modello (A,B,C, etc. nell’articolo) per il periodo 1950-1990, e poi li uso insieme con l’ultima osservazione di X per inizializzare un nuovo modello SS dal 1991 e farlo terminare nel 2010. Questo SS è recursivo ed i valori di X sono legati con quelli di Y.
    (4) Simulo tale processo col metodo Montecarlo ottenendo diversi valori di X nel periodo 1990-2010 e poi li medio. Dunque aggancio questi valori ai valori precedenti di X ed ottengo l’intera serie. In pratica della X originaria non trasformo niente, ad essa semplicemente aggiungo gli aggiornamenti.
    (5) Applico poi il Montecarlo all’intera serie X per stabilire le probabilità di avere massimi globali a fronte di un altro o più massimi locali. In un contesto stocastico, almeno alcuni massimi locali possono essere non significativamente diversi gli uni dagli altri, facendo oscillare fra una data e l’altra il massimo globale. In verità si tratta di un esercizio di statistica multimodale che devo ancora mettere a punto, ma i risultati che ottengo nell’articolo (Table 7) sono comunque interessanti.
    (6) Ultima risposta alla tua ultima domanda sul grado di affidabilità dei risultati ottenuti sotto simulazione: la deviazione standard di X usata per il Montecarlo usa una finestra variabile che tiene conto dell’evoluzione della serie, non è quella dell’intera serie. La finestra ha un range di che si può impostare a piacimento, io ho usato il numero degli anni di aggiornamento variabili per ciascuna serie. Altre finestre hanno prodotto simili risultati, ma non ho approfondito l’analisi di sensitività.
    Sono pronto a farvi avere il codice Matlab che ho usato se lo volete. Ogni forma di critica e/o collaborazione è benvenuta. Grazie per le Vs osservazioni, GT.

    • Il post mi sembra molto convincente e anche il metodo di aggiornamento dei dati ha la sua validità se è in grado di riprodurre la mazza da hockey solo con i dati di Mann & C. e – se ho letto bene – solo con loro.
      Per quanto riguarda la “forzante climatica che potrebbe accomunare RWP a MWP” introdotta da Claudio, proprio questa mattina ho letto il lavoro di Scafetta (2012) in cui viene prospettata una forzante planetaria quasi-millenaria dovuta alle congiunzioni Giove-Saturno-Sole ed altri effetti di periodo 800-900 anni. Queste influenze hanno la periodicità giusta e potrebbero generare/innescare variazioni nella produzione di reazioni nucleari nel Sole e nella quantità di raggi cosmici e influenzare cambiamenti climatici non antropogenici.

    • Claudio Costa

      Articolo di Scafetta 2012 BELLISSIMO!

      Ci sono anche dei riferimenti storici molto interessanti nelle conclusioni.

      Sono anni che lo dico Ci ha preso Scafetta e tutti gli altri van per rane

  5. donato

    Mi associo al benvenuto di Claudio Costa ed anche all’avvertimento 🙂 .
    Ho dato un’occhiata di massima al testo dell’articolo. I grafici allegati all’articolo sono molto più espliciti di quelli allegati al post. Il mio consiglio a chi leggerà il post è di visionare quelli “originali” in quanto, da essi, si riesce ad avere un quadro completo di quanto descritto nel post. Ho potuto notare che effettivamente sono solo tre le serie di dati che giustificano la mazza da hockey. Come mai Mann ed altri hanno trascurato le altre serie? Nell’esaminare i grafici, inoltre, ho notato che le serie di temperature sono riferite a diverse aree del globo. Alcuni grafici considerano le temperature di aree piuttosto limitate (isola di Baffin, Colorado del sud, ecc.), altri, invece, riguardano l’intero nord emisfero o buona parte di esso. Questo fatto potrebbe influenzare i risultati finali? Visto, infine, che ho la fortuna di dialogare con un “modellatore” vorrei approfittarne per cercare di colmare alcune mie personali lacune. La tecnica KF consente di estrapolare dati e, come si legge nel post, “… di riprodurre ovvero di aggiornare dati inosservabili di serie storiche con l’ausilio di una o più variabili note …”. In altri termini, se ho compreso il senso del discorso, se in una certa epoca mi mancano dei dati posso ricostruirli e completare la serie sulla base di una o più variabili note. La domanda che mi sono sempre fatta riguarda il grado di affidabilità di questi dati ricostruiti. Possiamo dire che rispetto a quel periodo (quello a cui i dati si riferiscono) le temperature sono variate? E con quale margine di errore? Altra domanda che mi sono sempre posto riguarda l’elaborazione dei dati. Guardando i grafici si notano le barre rosse che rappresentano “… la data d’inizio dell’aggiornamento, a sinistra della quale si trova l’ultima parte delle osservazioni originarie.”. Sempre se ho capito bene il senso del discorso, i dati a sinistra dovrebbero essere quelli originari, quelli a destra, invece, i dati aggiornati. Con il metodo Montecarlo, in estrema sintesi, si simulano i diversi andamenti delle temperature e, alla fine, si scelgono quelli che presentano la parte finale coincidente con quella aggiornata. Vorrei sapere se il ragionamento fatto è corretto. Ultima domanda, infine, riguarda il grado di affidabilità dei risultati ottenuti, ovvero che probabilità abbiamo che i dati ottenuti per il 18° secolo, per esempio, sono quelli effettivamente verificatisi in quel periodo. Ringrazio, con anticipo, per la disponibilità (e la pazienza).
    Ciao, Donato.

  6. Claudio Costa

    “l’ipotesi antropogenica al presente livello di conoscenze è significativamente rigettata.”

    Yessssssss ancora ci devono dire cosa determinò il periodo caldo medioevale, e non fu certo il CO2. La stessa forzante naturale che agì allora agisce ora ed è evidentemente sottostimata
    Benvenuto tra noi, preparati agli strali.
    L’articolo verrà proprosto a riviste scientifiche peer review?

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