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Piove o non piove? Questo forse può dipendere dal tuo SUV!

Spesso capita, particolarmente in occasione di “speciali” televisivi dedicati allo stato dell’ambiente, di sentire parlare di climatologia con i termini della meteorologia, ed il tutto con un commento che sottende, quale causa principale dei famosi cambiamenti, l’inquinamento atmosferico. E giu’ a mostrare lunghe colonne d’auto e camion con scappamenti fumanti in melanconiche giornate invernali. Ma è proprio tutto cosi’ vero, semplice e diretto come proposto dai media? Oppure e’ tutto sbagliato perchè sono fenomeni, discipline, universi così diversi mescolati senza ragione?
Come in tutte le cose che appartengono a quella galassia di studi che si chiamano ‘Scienze dell’Atmosfera’ o ‘Scienze della Terra” le faccende si complicano: le mutue interazioni su scale spazio-temporali grandi e piccole ci obbligano, proprio come in un film di 007, a “mai dire mai”.

Lo so, state già pensando al problema della CO2, le auto la emettono, la temperatura si alza, e vai col valzer. Ho detto inquinamento: solo Mr. President Obama vuole che la CO2 diventi un inquinante.
Io vi voglio parlare di particelle: e che c’azzecca, direbbe qualcuno, il clima con i vari PM? Con PM in questo caso non parliamo di Pubblici Ministeri ma di materiale particolato, normalmente classificato in base alla propria classe di diametro: PM1, PM2.5, PM10, dove il numero corrisponde al diametro in ηm. Ma, prima di procedere, siamo almeno d’accordo che il clima è quella cosa che non è determinata solo dalla temperatura ma anche dall’acqua, ovvero il ciclo completo dell’acqua in tutte le proprie forme?
Se sì vediamo questa storia delle particelle. Infatti, è a tutti noto che non basta aggiungere acqua (sotto forma di vapore se preferite) per vedere piovere e, se dovessimo attendere, anche in condizioni di saturazione, che le molecole d’acqua formassero goccioline unendosi tra loro, i processi evaporativi concorrenti ci farebbero aspettare parecchio, secoli: è attraverso la presenza di una particella di aerosol che i processi di coalescenza vengono agevolati perchè alla fine si vedano nascere le gocce di pioggia.

Questo però risulta vero se anche i nuclei di condensazione (CCN - Cloud Condensation Nuclei) hanno specifiche caratteristiche tra le quali la loro grandezza, altrimenti se questi hanno diametri piccoli si verifica il fenomeno opposto, ovvero quello che viene definito “inadvertent precipitation suppression”1 “soppressione non intenzionale della precipitazione”. Quindi è il diametro stesso della particella, che produce il fenomeno precipitativo, a giocare un ruolo fondamentale sulla storia del singolo evento, E dunque sono le condizioni caratteristiche medie di inquinamento di un determinato areale a influenzare fortemente i pattern precipitativi.

A partire dal 1998, utilizzando i dati ottenuti da TRMM2 si è potuto incominciare a quantificare gli effetti previsti, e dovuti a diverse classi di diametri, degli aerosol sui meccanismi microfisici di formazione delle nubi.
Cosa siamo andati immediatamente a studiare? Gli effetti dei fumi prodotti dai fuochi delle foreste indonesiane sulle precipitazioni e, sorpresa, le cose stavano proprio così! Sempre il puntuale Danny evidenziava come l’ingestione del fumo dell’incendio da parte della nube ne sopprimeva la precipitazione3.
Un posto dove ci si aspetta di vedere nascere nubi e vederle poi morire sotto forma di pioggia è sopravvento ai sistemi montuosi, in quanto il raffreddamento che porta una massa d’aria alla saturazione può avvenire grazie al sollevamento orografico. Quindi se, furbescamente, ci mettiamo a fare esperimenti da quelle parti sarà più facile vedere dei risultati. E indovinate chi si è posto il problema di verificare se l’inquinamento urbano ed industriale poteva produrre effetti significativi sulle precipitazioni sottovento a questi sistemi orografici? Ebbene sì, ancora lui Danny Rosenfeld! Dal 2000 in poi in California, Israele, Australia e in molti altri paesi, si sono effettuati esperimenti con dati rilevati al suolo, da aereo e da satellite e si è dimostrato che questo tipo di inquinamento ha un’incredibile efficacia nel sopprimere la precipitazione: perdite precipitative del 10-25%! “Micca brustolini” !Si direbbe dalle mie parti.

A tutto questo c’è da aggiungere anche la struttura termica della nube, che è capace di ribaltare le carte in tavola, e gli effetti sui processi radiativi, che modulati dal tipo di nube, producono tassi diversi di calore e quindi evaporazione al suolo, e che si traducono in ulteriori feed-back 4: e poi c’è chi dice che sappiamo già tutto!

Qualita’ dell’aria e organizzazione geografica del territorio diventano allora ingredienti della ricetta “acqua disponibile al suolo”, e se le famose variazioni di precipitazione sul lungo periodo hanno veramente i tassi rilevati, c’è da chiedersi se ancora una volta la ricetta “solo CO2” non sia da sostituire con una gastronomia più aggiornata.
Durata e velocità dei sistemi diventano poi criticissimi parametri per determinare se un areale sarà più o meno influenzato dal ritardo prodotto nella precipitazione, e rubo quindi dalle attività del gruppo di climatologia da satellite del CNR5 le seguenti fondamentali considerazioni: “Le parametrizzazioni della copertura nuvolosa e della struttura dei campi di vapore acqueo sia in orizzontale che in verticale nei modelli GCM sono molto sommarie. Occorre pensare che è sulla base di questi modelli, e di quelli climatici a loro collegati, che vengono approntati gli scenari oggi in discussione dei cambiamenti climatici globali e a scala regionale. Una migliore parametrizzazione di nubi, precipitazioni e vapore acqueo ha, quindi, una diretta conseguenza sul miglioramento dell’attuale inaccettabile dispersione delle previsioni di cambiamento della temperatura da parte dei vari modelli”.

A noi, a cui piace pensare che il ciclo dell’acqua abbia una importanza fondamentale nel determinare sia il clima locale sia quello globale, non può sfuggire il ruolo dominante di quei processi microfisici che avvengono in nube e che portano alla formazione della pioggia. Non può quindi neppure sfuggire l’importanza da assegnare a questi studi in termini di finanziamenti perchè su queste conoscenze si giocano importanti partite economiche quali quelle legate ai prodotti agricoli di pregio denominati DOC e IGP, che hanno disciplinari di produzione legati alle tipicità del territorio: tipicita’ strettamente collegate alla climatologia locale che un qualunque Amministratore non puo’ facilmente liquidare con colpe lontane, ma per le quali deve avere coscienza dell’importanza dei propri atti nel determinare la gestione e la sostenibilità del proprio territorio.

Per i piu’ curiosi, e io lo so che lo siete, non trovate migliori posti di questo6 e questo7  per saccheggiare pubblicazioni sull’argomento. Il primo sito e’ quello dell’ormai a voi famoso Daniel Rosenfeld, mentre il secondo è dell’amico Vincenzo Levizzani, dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR, lo stesso Levizzani, che con Gruber, ci ha gia’ dato il report sullo stato della nostra conoscenza del ciclo dell’acqua attraverso le misure da satellite, che potete agevolmente scaricare a questo link8.91011

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  1. Daniel Rosenfeld, 1999 []
  2. Tropical Rainfall Measuring Mission http://trmm.gsfc.nasa.gov/ []
  3. Rosenfeld 1999 []
  4. Rosenfeld et al., 2008 []
  5. Dott. Vincenzo Levizzani []
  6. http://earth.huji.ac.il/staff-main.asp?id=149 []
  7. http://www.isac.cnr.it/~meteosat/vince/ []
  8. http://www.gewex.org/reports/2008AssessmentGlobalPrecipReport.pdf []
  9. Feature image courtesy of www.freshplaza.it []
  10. L’immagine sulle anomalie degli aerosol è disponibile al link http://earthobservatory.nasa.gov/IOTD/view.php?id=8857 []
  11. Teodoro Georgiadis è ricercatore all’IBI-Met CNR di Bologna – http://www.ibimet.cnr.it/author/georgiadis []
Published inAmbienteAttualitàClimatologiaMeteorologia

Un commento

  1. Achab

    Bello, molto interessante. Grazie.

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