Salta al contenuto

Climate change e oceani, niente ‘calore scomparso’ o niente calore?

Alcuni giorni fa i blog meteo-climatici si sono animati attorno ad una annosa discussione circa il contenuto di calore degli oceani. A suscitare questo ritorno di attenzione è stata la pubblicazione di un paper su Nature Geoscience:

Observed changes in top-of-the-atmosphere radiation and upper-ocean heating consistent within uncertainty – Loeb et al., 2012 (qui il commento su Science Daily)

I lettori più informati avaranno già capito che la pubblicazione di questo articolo intende tentare una riconciliazione nella famosa questione del ‘calore mancante’, un argomento che abbiamo affrontato parecchie volte anche sulle nostre pagine.

Tutto parte dalla famosa mail del climagate in cui Kevin Trenberth manifestava il suo sconforto per la discrepanza tra il supposto squilibrio del bilancio radiativo – leggibile nelle misure satellitari della radiazioe totale uscente dal sistema (TOA) – e l’assenza di un adeguato livello di riscaldamento del sistema stesso. Con le temperature globali che non crescono più – non certo quanto avrebbero dovuto in base all’ipotesi AGW – e con il contenuto di calore degli oceani altrettanto fermo, risultava difficile parlare di squilibrio del bilancio radiativo e conseguente riscaldamento se il calore che lo dovrebbe produrre non si trova. Sicché fu formulata l’ipotesi salvifica che presuppone che quel calore possa essere stato immagazzinato nelle profondità oceaniche. Con la persistenza di una scarsa propensione dell’OHC superficiale (Ocean heat Content 0-700mt) ad aumentare, e in assenza di tracce evidenti di un avvenuto trasferimento di quel calore dagli strati superficiali a quelli più profondi, l’ipotesi è rimasta decisamente tale.

Il lavoro appena pubblicato però risolve il problema: il calore scomparso potrebbe non essere mai scomparso, ovvero essere di fatto contenuto negli oceani. Il problema sarebbe nelle misure. I ricercatori infatti, affermano che tenendo conto dell’incertezza presente tanto nei dati satellitari relativi alla TOA (dati CERES), quanto nei dati relativi all’oceano (rete osservativa ARGO), si giunge alla conlcusione che la differenza tra la radiazione uscente e il calore accumulato non è statisticamente significativa, per cui non ci sarebbe alcun ‘calore scomparso’, anzi, il rateo di accumulo di calore da parte degli oceani dal 2001 al 2010 sarebbe stato stabile su valori di 0,50 ± 0,43 Wm-2. Questo confermerebbe il progressivo riscaldamento del sistema e giustificherebbe l’assenza di riscaldamento delle temperature superficiali.

La prima considerazione direi possa essere immediata. Se è un problema di incertezza nella misura, non vedo come possa confermare l’ipotesi di Trenberth, ovvero come questo possa riconciliare l’ipotesi AGW, che si suppone sia all’origine dello squilibrio, con una componente oceanica che si ostina a non voler collaborare. E’ evidente che a prescindere dalle conclusioni cui giunge questo articolo, quel che serve sono misure più accurate e serie temporali più lunghe.

Rovistando nel web alla ricerca di informazioni su questo argomento, ad esempio, ho trovato un post su WUWT in cui si discute come sia impossibile giungere a definire l’incertezza sulle misure di ARGO – che comunque rappresentano un passo avanti enorme nell’osservazione degli oceani – con il grado di precisione dichiarato partendo da un numero di osservazioni tutto sommato molto limitato.

Ad ogni modo, va detto che sia nascosto negli oceani, sia tutto sulla sulla terraferma, o sia dove gli pare, il calore ‘in eccesso’ presente sul Pianeta è largamente inferiore a quello che dovrebbe esserci se la sensibilità del sistema al forcing antropico fosse effettivamente quella immaginata. In poche parole è cosa nota che le temperature siano salite molto meno di quanto avrebbero dovuto in base alle simulazioni climatiche che poggiano su questa attribuzione di sensibilità. E questo vale sia per gli oceani che per la terraferma che per le due cose insieme. Per avere un’idea di questa differenza, che rende altamente improbabile il disfacimento climatico prospettato, si può dare un’occhiata alle due figure che seguono.

Hansen et al., 2005 -Figura 2

La prima viene da un lavoro di Hansen del 2005. Vi sono rappresentati gli output di una serie di modelli climatici per l’OHC e mostra un ottimo accordo (era questo lo scopo) con i dati osservati. Il periodo di riferimento è 1993-2003, appena prima che cominciassero ad essere dislocate le BOE del sistema ARGO.

La seconda invece proietta linearmente il trend della media di questi modelli per gli anni successivi e lo confronta il trend osservato più la sua proiezione lineare per un periodo di dieci anni. L’accordo è andato a farsi friggere. Il trend atteso era ‘solo’ 3,5 volte superiore a quello realmente osservato. Alla faccia del calore mancante.

Certo, dieci anni sono pochi per buttare dalla finestra il presupposto di sensibilità climatica di questi modelli, ma sono pochi anche i dieci precedenti per dire che quei modelli fanno bene il loro mestiere. Anche perché in effetti i dati sono (ed erano) disponibili fino al 1955. La scelta del periodo 1993-2003 però eliminava parecchi problemi di disaccordo tra le hindcast dei modelli e le osservazioni. Un disaccordo che però è tornato a quanto pare prepotentemente alla ribalta.

Il problema del calore scomparso quindi, è e resta un problema per l’ipotesi AGW, con una realtà che continua a vedere una terraferma che si scalda (sebbene poco ultimamente, vedi dati BEST) e degli oceani che non si scaldano, né accumulano calore. A nessuno viene in mente che, dal momento che l’acqua occupa 3/4 della superficie del Pianeta, forse hanno ragione proprio gli oceani. Allora, sempre forse, stiamo sbagliando qualcosa nel misurare la temperatura (la gran parte dei sensori è proprio sulla terraferma e nelle zone densamente abitate per esempio) prendendo per buoni dati che risentono invece di effetti locali. Sulla terraferma infatti c’è più calore sensibile e meno calore latente, perciò o la terraferma sta diventando più arida – e questo dovrebbero confermarlo magari i dati sulle precipitazioni – oppure le aree dove sono i sensori si stanno antropizzando.

****************************

NB: le discussioni su questa nuova pubblicazione cui ho accennato all’inizio sono:

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualitàClimatologia

6 Comments

  1. Luca Fava

    Questo tipo di paper si chiama “ipotesi ad hoc”. Non è buona scienza.

  2. Guido Botteri

    Sarò malfidato, ma preferisco sempre le misure ai modelli. Preferisco i dati alle ipotesi, magari ideologiche.
    Anche perché finora i modelli non hanno dato una buona impressione (mi riferisco a quelli climatici, NON a quelli meteorologici – che comunque hanno una validità temporale assai limitata).

  3. donato

    A me la cosa che dà più fastidio in tutti questi discorsi è la conclusione: se vi è una discrepanza tra i risultati delle misure e gli output dei modelli, ciò deriva dalla scarsa precisione delle misure. Mai che a qualcuno venisse in mente che è stato il modello a dare i numeri (in tutti i sensi, ovviamente). In questo caso sembra che le misure di CERES e quelle di ARGO siano affette da “incertezze” tali che le differenze tra le due classi di misurazioni sono “statisticamente insignificanti”. A me, povero ed ignorante contribuente, viene spontanea una domanda (che farà radicare ancora di più la convinzione dell’eccessiva attenzione al portafogli da parte dei frequentatori di CM 🙂 ): se tutti questi costosissimi esperimenti (CERES ed ARGO, per intenderci) sono inutili, in quanto molto imprecisi e già i modelli avevano previsto tutto, che li facciamo a fare? Teniamoci i modelli, mitighiamo il mitigabile e, alla fine, vedremo quello che succede (se ne avremo ancora la possibilità, ovviamente).
    Ciao, Donato.

    • donato

      “… il rateo di accumulo di calore da parte degli oceani dal 2001 al 2010 sarebbe stato stabile su valori di 0,50 ± 0,43 Wm-2.”
      In prima lettura mi era sfuggito un particolare. Se non si tratta di un refuso mi sembra che l’incertezza del dato è semplicemente paurosa in quanto oscilla tra una forchetta compresa tra 0.07 W/mq e 0,93 W/mq. Se non ho sbagliato a fare i conti un’incertezza del 90% circa!
      Se questo dovrebbe giustificare la tendenza al riscaldamento, ho seri dubbi circa l’esistenza del riscaldamento. La cosa mi fa ulteriormente riflettere sulle famose classifiche di cui ci riferiva qualche giorno fa F. Spina ( http://www.climatemonitor.it/?p=23131 ) a proposito di anni più caldi di sempre. Si disquisisce di centesimi di grado se non millesimi! Da una parte (temperature medie) spacchiamo il capello in quattro, dall’altro (accumulo di calore negli oceani) procediamo a spanne. Mah!
      Ciao, Donato.

    • Donato,
      non è un refuso. E’ nell’abstract.
      gg

    • donato

      Lo confesso, avevo sperato nel refuso. Poi sono andato a curiosare dalle parti di Climate etc. e ho capito: non si trattava di refuso. Ora tu mi confermi ulteriormente la cosa. Che dire, mi associo a Luca Fava che meglio di così non poteva definire questo lavoro.
      Ciao, Donato.

Rispondi a donato Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »