Salta al contenuto

Nubi basse, anzi nane, e global warming

Generalmente quando si parla di meteorologia o di clima, per nubi basse si intende specificatamente quella nuvolosità che si forma negli strati più bassi dell’atmosfera e normalmente ricca di vapore acqueo. Nel contesto dell’articolo appena pubblicato su GRL, invece, per basse si intende con un top più basso in generale, qualunque sia lo strato nel quale si formano.

L’altezza che le nubi raggiungono in atmosfera è collegata al bilancio radiativo. Più le nubi vanno in alto, più sono fredde, minore è la quantità di calore che irradiano verso lo spazio, maggiore è il calore che resta in basso in atmosfera.

Se l’altezza media delle nubi quindi diminuisce, l’effetto dovrebbe essere opposto, favorendo un raffreddamento. Sicché, se in un contesto di temperature in salita l’altezza media delle nubi diminuisce, un tale trend, ove confermato, sarebbe indizio di un feedback negativo operato proprio dalla nuvolosità, cioè proprio da quella componente che si considera più importante ma di cui si sa meno.

E, a leggere il lavoro di Roger Davies e Mathew Molloy, sembra proprio che questo sia accaduto.

Global cloud height fluctuations measured by MISR on Terra from 2000 to 2010

Altezza media delle nubi

Attenzione però, ci sono molti elementi di incertezza, tutti correttamente segnalati dagli autori.

  • In primo luogo la serie di dati disponibili è decisamente troppo breve; appena dieci anni, tanti quanti ne sono passati dal lancio del satellite equipaggiato con sensori in grado di compiere la misura.
  • I dati poi sono pesantemente influenzati dalle oscillazioni dell’ENSO, pur conservando segnali di trend negativo quando si tenta (piuttosto grossolanamente) di pulire il segnale dal rumore provocato da queste oscillazioni.

Tuttavia ora, come scrivono gli autori, i dati disponibili permettono di calcolare un feedback negativo che avrebbe oscurato il riscaldamento negli ultimi dieci anni, con ciò ammettendo che tale riscaldamento possa essere stato originato del tutto o in parte da forcing antropici. Nonostante ciò, pur ipotizzando che le cose stiano effettivamente così e comunque tenendo conto dei caveat contenuti nello studio, l’indizio (che non è una prova) di un feedback negativo non solo avrebbe il pregio di fornire una spiegazione all’assenza di trend nelle temperature negli ultimi 10 anni, ma solleverebbe più di qualche dubbio, da sommare alla gran quantità che già ne abbiamo, circa il fatto che ci possa attendere il famoso runaway greenhose effect, cioè l’effetto serra inarrestabile da feedback tutti positivi che porterebbe il Pianeta alla cottura.

Che dire? Poco altro, se non che inevitabilmente c’è bisogno di molti più anni di dati. Aspettiamo.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAttualitàClimatologia

3 Comments

  1. agrimensore g

    Lavoro interessante di cui però ho potuto leggere solo l’abstract. Forse per questo non ho capito perchè parla di feed-back. Cioè, per parlare di feed-back negativo, dovrebbe esserci un legame tra aumento di T e il fenomeno riportato. Altrimenti tale fenomeno potrebbe avere delle cause esterne, non necessariamente essere un feed-back.
    Altra considerazione, in merito alla correlazione trovata col SOI index che sintetizzo così: a fronte (anche) di questo lavoro fino a che punto è corretto scorporare l’ENSO dai trend, come avviene in altri lavori? E’ una domanda che feci anche a Scafetta (anche lui scorpora l’ENSO), ma in effetti lui lavora più sulle “frequenze” che sulle “ampiezze”.
    P.S.: nel caso il mio commento fosse seguito da altre domande critiche sul lavoro, vorrei precisare in anticipo, dati i precedenti, che non ho nulla contro i signori Davies e Molloy (di cui sento parlare per la prima volta), anzi me li immagino persone simpatiche solo per il fatto di essere scienziati – la mia è solo una perplessità che ritengo, tutto sommato, ragionevole (come altre in passato), al di là del fatto che ci possa essere una risposta più o meno scontata.

    • agrimensore g

      Rileggendo il post e poi solo l’abastract (e quindi potrei sbagliare), in particolare i key-point, intuisco che il lavoro intendesse dire che nell’ultima decade c’è stato un feed-back complessivamente negativo a causa del fenomeno studiato, non che questo fenomeno sia esso stesso un feed-back negativo.
      Ora sarebbe interessante scoprire quale sia la causa che innesca il fenomeno, se non è casuale.

  2. Guido Botteri

    Mi pare che man mano stiano apparendo vari feedback negativi.
    Un altro per esempio è la quarta potenza della temperatura, per cui se aumenta la temperatura aumenta l’irraggiamento, secondo la legge di Stefan-Boltzmann ancora di più, e questo mi pare un incontestabile feedback negativo.
    Jo = σ * T^4
    (approssimando la Terra ad un corpo nero)
    Ma ne abbiamo visti ormai tanti, e non starò qui a ricordarli. Mi limiterò a far notare che se il pianeta non è andato arrosto per un run away effect in più di 4 miliardi e mezzo di anni, in cui ha conosciuto temperature ben maggiori e concentrazioni di CO2 ben maggiori…allora questo mi sembrerebbe un indizio che i feedback negativi forse sono stati sottovalutati dagli allarmati.
    Secondo me.
    ps
    notate come sono buono stamane, invece di “allarmisti” ho scritto allarmati 🙂

Rispondi a agrimensore g Annulla risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »