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Meno ghiaccio ma più neve: variabilità stagionale o climatica?

Alcuni giorni fa su Science Daily è comparso il commento ad un nuovo paper pubblicato sui PNAS tra le cui firme compare anche Judith Curry. Il lavoro è interessante, sebbene a prima vista potrebbe sembrare uno dei soliti lavori di sostegno all’ipotesi AGW.

Impact of declining Arctic sea ice on winter snowfall – PNAS – Jiping Liu et al., 2012

In effetti non dobbiamo essere stati i soli ad avere questa prima impressione, tanto che un media australiano ha subito risolto l’equazione titolando: Il riscaldamento globale sta rendendo il mondo più freddo. Sommersi dalle risa dei lettori, hanno poi velocemente cambiato il titolo del pezzo: Lo scioglimento dell’Artico causa inverni più nevosi in Europa e negli USA. A seguire la BBC, con il noto giornalista scientifico devoto alla causa della catastrofe climatica, Richard Black, che ne ha fatto subito una prova di disastro alle porte: L’Artico che si scioglie è collegato a inverni freddi e nevosi in UK.

Vediamo di cosa si tratta.

Secondo i dati analizzati dagli autori, relativi al periodo estremamente breve di due anni (2009-2011), la diminuzione dei ghiacci artici, che si tradurrebbe in una maggiore superficie liquida disponibile per assorbire energia e quindi evaporare, nonché in una maggiore frequenza di occorrenza di anomalie positive dei pattern circolatori alle latitudini settentrionali, favorirebbe l’occorrenza di eventi freddi e nevosi più intensi sull’emisfero nord, appunto come quelli del 2009-2010 e 2010-2011. In particolare l’Europa vedrebbe degli episodi piuttosto precoci, ad inizio inverno, mentre l’America settentrionale ne sarebbe interessata a stagione più matura.

Una maggiore disponibilità di vapore e anomalie bariche positive alle alte latitudini in effetti, se combinati insieme, si può pensare che diano origine ad eventi come quelli degli inverni recenti. Tuttavia, ci sono alcune di obiezioni da fare.

Innanzi tutto, le dinamiche dell’estensione dei ghiacci artici sono certamente ascrivibili per scala spaziale e temporale al clima di lungo periodo, mentre gli eventi di cui si parla in questo paper hanno una collocazione che al massimo si può ascrivere ad una stagione, spesso anche molto meno. L’intero approccio alle dinamiche del clima dei tempi recenti, è minato da un errore concettuale, ossia dalla continua ricerca di una relazione causale immediata, metodo premiante in campo meteorologico, ma assolutamente inadatto alle dinamiche di lungo periodo. Il risultato è che, come ha sottolineato anche Roy Spencer nel suo libro, questa relazione causale è spesso invertita. Nella fattispecie, le anomalie della circolazione non sono la risultante della diminuzione dell’estensione dei ghiacci, ne sono una delle cause. La ricerca degli effetti immediati, specie se applicata ad analisi di breve periodo, può facilmente portare a conclusioni errate. Infatti, come ad esempio accaduto anche quest’anno, dove gli eventi sono stati rovesciati cioè con neve precoce in nord America e neve molto tardiva in Europa, già il terzo anno di dati metterebbe in dubbio una delle conclusioni dell’abstract, ovvero la differenza di distribuzione temporale tra Europa e America del nord per l’occorrenza di questi eventi. Con riferimento al ghiaccio artico poi, non si può trascurare il fatto che questo, pur avendo raggiunto un minimo (da quando si fanno misure satellitari – 30 anni), non è crollato improvvisamente, anzi, sebbene il rateo di diminuzione sia stato piuttosto accentuato, la diminuzione e’ stata graduale. A ben vedere, inoltre, dopo il minimo del 2007 il trend potrebbe aver rallentato. Sicché non è chiaro come mai questi episodi non siano stati più frequenti anche prima. Il fatto è che sta cambiando il ritmo dei pattern circolatori dominanti. Dopo lunghi anni di AO+ e NAO+ (in termini relativi), l’asticella sta ora scendendo. Le oscillazioni persistono, ma lo zero si sta spostando verso il basso, e con esso si sta spostando la distribuzione della massa atmosferica. Questo lavoro, pur senza mostrare i toni catastrofici cui siamo abituati in termini di riscaldamento globale, certamente non nasconde nel suo incipit il tema della diminuzione dell’estensione dei ghiacci normalmente attribuita al forcing antropico. E’ quindi giusto ricordare che le simulazioni climatiche prevedono che gli indici AO e NAO debbano essere tendenzialmente positivi, per cui una evoluzione come quella prospettata è in contraddizione con le dinamiche previste per un sistema condizionato dal forcing antropico.

E questo ci porta al secondo problema, la circolazione, ovvero i pattern che favoriscono questi episodi. Si tratta di situazioni di blocco, cioè circolazione emisferica lenta e con basso indice zonale. I flussi devono quindi essere meridiani, proprio come quelli favoriti da anomalie bariche positive alle alte latitudini di cui si parla nel paper. Nel post di alcuni giorni fa di Carlo Colarieti Tosti, Dalla teoria ai fatti, abbiamo visto come le anomalie della zonalità forniscano la chiave di lettura della circolazione che favorisce i flussi meridiani e abbiamo anche visto che, serie storiche alla mano, ad oscillazioni negative di medio e lungo periodo dell’indice di zonalità corrispondano le situazioni bariche cui si associano eventi di freddo e neve intensi nei mesi invernali, con i due fattori, circolazione lenta e prevalentemente meridiana e anomalie bariche positive alle alte latitudini in ottima correlazione.

Se infatti gli inverni 2009-2010 e 2010-2011 si sono classificati al secondo e terzo posto per la copertura nevosa invernale sull’emisfero nord, è pur vero che il primo posto spetta al 1977, al culmine cioè di una fase multidecadale di relativo raffreddamento e appena prima che tanto l’indice di zonalità quanto le anomalie bariche positive alle alte latitudini, iniziassero un lungo viaggio in territorio sfavorevole ai flussi meridiani. Gli anni recenti, invece, hanno visto un progressivo ritorno a condizioni di circolazione più favorevoli all’instaurarsi di situazioni di blocco.

Insomma, può darsi che un eventuale maggior apporto di vapore acqueo possa essersi recentemente sommato ad una naturale nonché periodica predisposizione della circolazione atmosferica agli eventi blocco, cioè freddo e neve invernali, ma perché questo contributo possa essere confermato c’è sicuramente bisogno di molti più dati e/o molti più episodi da poter studiare.

Direi che valga tuttavia la pena sottolineare un aspetto interessante di questa ipotesi, aspetto che stiamo incontrando piuttosto spesso recentemente.

Poniamo il caso che il riscaldamento globale, cioè l’aumento delle temperature medie superficiali globali sia all’origine del rapido declino dei ghiacci artici, più di quanto non possano esserlo altri fattori chiave come la circolazione marina e atmosferica di bassa quota. Se un aumento della superficie liquida disponibile porta ad un aumento dell’estensione del manto nevoso a scala emisferica nei mesi invernali, vuol dire che ancora una volta, l’ennesima, si materializza un feedback negativo ad opera dell’albedo, cioè all’aumento delle temperature per maggiore assorbimento corrisponde poi una maggiore quantità di energia riflessa e conseguente raffreddamento. Non a acaso in questo paper c’è un riferimento diretto al lavoro di Cohen et al. che abbiamo commentato poco tempo fa. Anche per valutare questo effetto, tuttavia, servono molti più dati. Si vedrà.

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Published inAttualitàClimatologiaMeteorologia

4 Comments

  1. Luigi Mariani

    Caro Guido,

    dalla lettura dell’articolo mi sorge il seguente elemento di perplessità circa le tesi sostenute dagli autori e che aggiungo a quelli già da te espressi: gli autori affermano con enfasi che sarebbe la maggiore evaporazione dai mari artici a supportare i sistemi che danno luogo ad un incremento della nevosità in Eurasia e America.

    In realtà l’affermazione mi pare assai debole in quanto i sistemi frontali che alle latitudini medio alte soro responsabili della caduta di neve sono alimentati da aria fredda di origine artica (o polare continentale o polare marittima) e da aria caldo-umida di origine meridionale. In sostanza l’umidità proviene di regola dalle basse latitudini, il che è fisiologico in quanto è funzionale al riequilibrio energetico latitudinale del pianeta.

    Luigi

    PS: a proposito di evaporazione ricordo che anni orsono circolò una teoria che mi parve affasciante e che attribuiva l’innesco delle ere glaciali ad un aumento drastico delle temperature che avrebbe innescato un’evaporazione straordinaria dal mar Mediterraneo e dai mari tropicali. Da ciò sarebbe derivata l’accentuazione della nevosità sull’emisfero nord con conseguente aumento l’albedo e conseguente calo delle temperature globali (feed-back negativo).

  2. ” In particolare l’Europa vedrebbe degli episodi piuttosto precoci, ad inizio inverno, mentre l’America settentrionale ne sarebbe interessata a stagione più matura.”

    Ma quest’anno non è andata diversamente? L’ondata di freddo mi pare sia arrivata a fine Gennaio (magari sbaglio perché sto pensando solo all’Italia?), non a inizio inverno.

  3. Tore Cocco

    Se si considera la mancanza di ghiacci nel periodo invernale, allora certo che c’è una maggiore evaporazione, ma l’energia da dove viene presa visto che non c’è il sole? Se si considera il periodo tardo autunnale, allora siamo più o meno allo stesso livello visto che con il sole molto basso anche l’albedo dell’acqua è alto. Inoltre se ci sono maggiori precipitazioni nevose devono esservi anche molte più nubi basse, ma se ci sono più nubi basse allora aumenta l’albedo per causa di quest’ultime, e sopratutto abbiamo le misurazioni delle copertura nuvolosa satellitare quindi basta guardare quelle per verificare e se non c’è un riscontro palese allora vuol dire che nevica di più a scapito della pioggia, ergo fa solo più freddo senza cercare chissà quale altra scusa.

    Altro punto da prendere in considerazione, come ho detto molte volte in queste pagine, sono i ghiacci a latitudini molto basse. Durante le ondate di freddo a basse latitudini si vede chiaramente una diminuzione dei ghiacci in area polare, a causa delle risalite calde, quindi considerando i ghiacci polari come si è soliti fare, il bilancio vira verso il negativo; il problema è che di solito i modelli (e ancor di più le rappresentazioni) non considerano nel computo i ghiacci a latitudini molto basse, cosi ad esempio mentre il ghiaccio diminuiva in area polare questo febbraio, esso copriva completamente il mar d’Azov e diventava ancora più presente sul mar Caspio. certo se andiamo a guardare i dati in area polare sembrano in declino in certi periodi, ma in realtà è solamente che si ha una diversa distribuzione spaziale, tutto qua.

  4. Guido Botteri

    Sbaglio o è l’esatto opposto di quanto affermato da Al Gore nel suo premiatissimo (nobel-premiato) film ?
    Non intendo dire che non sia vero che l’albedo diminuisca con lo scioglimento dei ghiacci, ma che non sia probabilmente vero che questo fattore porti ad un clima molto più caldo (per l’insorgere di feedback negativi, per quanto esso stesso sia considerato un feedback positivo)
    da:
    http://it.wikipedia.org/wiki/Albedo
    “L’albedo di un oceano, grazie al fatto che la luce penetra nell’acqua, è ancora più bassa: circa il 3,5%”
    “Una distesa di neve compatta (ad esempio, le pianure dell’Antartide) si colloca attorno all’80%”
    Credo che il cartone mostrato in quel film abbia convinto molte persone. Ora sembrerebbe che quel messaggio fosse sbagliato.

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