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Città, campagna e Global Warming

Alcuni mesi fa sono stati pubblicati i risultati del progetto BEST, un gruppo di studio in larga misura finanziato privatamente che ha compiuto una analisi delle serie di temperatura per valutare oltre al trend, anche la coerenza tra i risultati dei vari gestori di dataset più autorevoli.

In uno dei documenti pubblicati, è stato confermato quanto molta altra letteratura scientifica aveva già discusso, ossia la scarsa o nulla influenza che l’effetto Isola di Calore Urbano (UHI) – il riscaldamento molto localizzato che occorre nelle aree ad alta densità urbana – può aver avuto nel determinare il trend i medio e lungo periodo delle temperature medie superficiali globali sulla terraferma.

Come noto, dal momento che la densità delle stazioni di osservazione delle tempertaure di superficie è molto disomogenea, per stimarne il trend ad ampia scala spaziale è necessario compiere delle procedure di omogenizzazione e interpolazione dei dati. Le stazioni, inoltre, sono molto più numerose per ovvie ragioni di convenienza dove vivono gli uomini. Nella griglia così costruita, accade quindi che i box ad alta densità urbana siano ben popolati di dati, mentre quelli relativi ad aree rurali o additittura disabitate ne siano poveri, quando non del tutto privi, come accade per le latitudini polari e per le aree desertiche.

Il dubbio dunque non è così peregrino, tuttavia, come detto poche righe fa, studi tanto datati che recenti hanno per lo più accantonato la questione come un non problema. Siamo sicuri che le cose stiano veramente così?

Non proprio, almeno secondo quanto scritto e dimostrato da Roy Spencer in un post sul suo blog appena qualche giorno fa. Secondo la sua analisi – concentratasi sui dati del dataset CRUTem3 della Università della East Anglia (Hadley Centre, UK Met Office), il bias postitivo che l’effetto isola di calore urbano ha sulle serie di temperatura è invece piuttosto consistente. Da notare che Spencer non si occupa di valutare questo trend, non ne mette in discussione la pendenza né il segno, semplicemente (si fa per dire), si limita a dire che analizzando i dati grezzi resi disponibili dall’NCDC ISH (la fonte da cui tutti i quanti si cimentano a stimare le temperature medie superficiali globali attingono) in funzione della densità urbana, si trova un contributo al segno positivo del trend che va dal 14 al 30% se si considerano tre classi di densità urbana, salendo fino al 60% se le classi sono cinque (0, 15, 500, 30.000 persone/Km2). Il tutto prendendo in considerazione soltanto i box con lo specifico requisito di essere popolato da almeno una serie per ogni classe di densità urbana. Di qui, come già accennato, l’impossibilità di considerare questo esercizio come una revisione del trend del CRUTem3 che invece naturalmente scaturisce dall’impiego dell’intero grigliato. In sostanza Spencer ha escluso dal computo tutti i luoghi dove la temperatura è misurata poco, male o affatto (naturalmente con riferimento alla diffusione spaziale dei punti di misura).

Reso in forma grafica il risultato è ancora più significativo.

 In pratica minore è la densità urbana minore è il trend nel periodo 1973-2011.

E qui la differenza è ancora più evidente, soprattutto grazie all’inserimento delle polinomiali.

Un bias che come dimostra la figura qui sopra, diventa sempre più significativo.

Vi lascio a riflettere su questi risultati e naturalmente alla lettura integrale del post di Roy Spencer, un post che egli conclude un po’ amaramente dicendo che vorrebbe mettere questa analisi in una forma ‘presentabile’ per essere sottoposta a revisione paritaria e successiva pubblicazione su una rivista scientifica, ma è stanco di vedersi ‘uccidere’ i lavori per il solo fatto che non dicono cose gradite al mainstream.

E’ un peccato, ma fino a un certo punto. Di sicuro in questo modo non vedremo mai un’analisi del genere in un report dell’IPCC, ma per chi volesse, dati e procedure sono completamente disponibili, il lavoro è pronto comunque per essere falsificato e la rete è grande e sta diventando sempre più difficile per la ‘scienza ufficiale’ ignorarne l’esistenza, soprattutto quando cerca di dire il cose diverse e molto meno sostenute dall’evidenza.

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Published inAttualitàClimatologia

10 Comments

  1. teo

    Io presento spesso un grafico dove si vede con grande chiarezza che non solo la denita’ di popolazione evidenzia il delta tra temperatura urbana e rurale ma anche l’impronta culturale. Questo grafico riporta due andamenti di densita’ corrispondenti a citta’ nord americane e l’altro europee. E’ chiarissima da differenza nel coefficiente angolare delle due rette indice del fatto che il modo di arrangiare gli edifici e, piu’ in generale l’urbanistica, sono fattori determinanti nel differenziale termico. E’ per questo motivo che invito sempre gli amministratori a non nascondersi dietro colpe lontane, quale la CO2, ma di affrontare i risultati di scelte di gestione della citta’ sbagliate.

    Vorrei pero’ sottolineare che per me (e’ solo un uteriore chiarimento) non e’ che le aree urbane alzino la temperatura media del pianeta (meno del 10% della superficie e’ urbanizzata): data la disomogeneita’ della rete sono i dati in prossimita’ delle aree urbane ad avere un peso maggiore nella formazione della cosi’ detta tempertura media globale – cioe’ e’ solo un incidente statistico e non un effetto fisico.
    Scusate se chiarisco anche inutilmente ma tutte le volte che mi capita di citare questo effetto i belivers fraintendono la cosa e poi la discussione a seguire viene falsata.

    • teo

      per esempio, la definizione ‘large city’ si applica quando in una citta’ esiste un’area in coincidenza con il baricentro del costruito all’interno della quale la velocita’ del vento va a zero. E’ evidente che questo fattore e’ funzione della struttura urbanistica, ma questo da’ luogo a modifiche sostanziali dei coefficienti di scambio di energia e materia.

    • Sai dove sta il problema Teo? I believers, da bravi alternativi, vivono tutti in campagna…
      gg

    • Chiarimento quanto mai opportuno Teo.
      gg

  2. donato

    L’articolo del dr. R. Spencer è molto interessante. Il focus dell’articolo è stato ampiamente illustrato da G. Guidi nel suo post: contrariamente agli esiti di BEST e di altri lavori, l’UHI esiste ed influenza sensibilmente l’andamento delle temperature globali. E’ inutile, pertanto, tornarci su. In questo commento, invece, vorrei riportare alcune considerazioni che mi sono state suggerite dai commenti al post originale del dr. Spencer. Due, principalmente, sono le critiche mosse al lavoro di Spencer. La prima riguarda la correlazione maggior popolazione -> maggiore incremento di temperatura. In primo luogo si critica la relazione di proporzionalità diretta tra incremento di temperatura e densità di popolazione. In effetti il diagramma è una bilatera e non una retta, ma l’ipotesi di una legge di proporzionalità diretta è cautelativa: in caso contrario il bias dovuto alla densità di popolazione sarebbe addirittura maggiore. In seconda battuta si critica il fatto che ci si riferisce alla popolazione rilevata nel 2000: oggi essa potrebbe essere aumentata o diminuita per cui la correlazione potrebbe essere falsata. Questa obiezione, secondo me, è condivisibile. Secondo altri critici la densità di popolazione non necessariamente individua la causa che ha per effetto una variazione dell’incremento delle temperature in quanto il riscaldamento ha origini antropiche sia dirette (riscaldamento, illuminazione, attività connesse alla residenza ed alla produzione) sia indirette (attività industriali, trasporti, ed attività produttive in genere). Mentre le prime dipendono dalla densità di popolazione, le altre sono slegate da essa in quanto non strettamente a contatto con le aree dove l’uomo risiede. Anche questa critica non è campata in aria.
    La seconda critica che è stata rivolta al lavoro di Spencer riguarda la mancanza di barre di errore: sembrerebbe tutto certo. Anche questa critica è condivisibile, però, si tratta, comunque, di aspetti esteriori del lavoro (forse a questo fa riferimento il dr. Spencer quando scrive di non aver voluto dare alla sua opera la veste di candidata alla pubblicazione su una rivista scientifica). In ogni caso si tratta di pecche che dovrebbero essere evitate. Se, infatti, il lavoro viene pubblicato (anche se su un blog) sarebbe auspicabile lo stesso rigore che verrebbe utilizzato se il lavoro dovesse essere sottoposto a revisione paritaria. Molti dei commenti, infatti, sono di persone che pubblicano su riviste scientifiche e che, in qualche caso, potrebbero anche svolgere il ruolo di revisori.
    Resta, comunque, del tutto inevaso l’interrogativo principale che Spencer si è posto ed ha posto ai suoi lettori: oltre a negare che i dati CRUTem3 sono privi di effetti spuri, esiste una spiegazione alternativa a quella da lui fornita che giustifichi i risultati da lui ottenuti e che concordano con quelli di altri studiosi (McKitrick e Michaels 2007, principalmente)? In altri termini perché le variazioni di temperatura sono correlate alla variazione di densità della popolazione?
    Da un esame dei commenti non si evincono risposte a questo interrogativo di fondo.
    Ciao, Donato.

  3. donato

    Il commento di Teo, la chiosa dell’articolo di R. Spencer e la considerazione di L. Mariani di qualche giorno fa (a proposito della difficoltà di pubblicazione nei circuiti ufficiali) mi fanno riflettere molto circa il problema della comunicazione scientifica (e rafforzano alcune mie idee).
    In proposito mi viene in mente una considerazione che lessi qualche tempo fa (di cui, però, ho dimenticato i riferimenti bibliografici): quando si manifesta una nuova idea che, però, non è condivisa dalla maggioranza, tale idea si potrà affermare solo dopo che l’ultimo che l’avversa sarà scomparso (per cause naturali, ovviamente). 🙂
    Ciao, Donato.

  4. teo

    Carissimi che dirvi?
    avevo detto che avrei studiato i(l) lavoro(i) del progetto Best visto che andavano proprio ad incidere sulla mia ‘credenza forte’ o come la chiama Caserini ‘la palla dell’influenza delle citta” promossa da Georgiadis (A qualcuno piace caldo – prima edizione).
    Non sono tornato sull’argomento dopo aver letto quelle brochure promozionali (i lavori del Best strombazzati prima di diventare peer review…promozione, promozione) perche’ ancora non trovavo come la ‘statistica’ (perche’ e’ metodo statistico e non fisica quello usato) da loro usata non mi risolveva affatto quello che avevo visto fin da quando avevo analizzato per la prima volta i dati delle stazioni australiane (accidenti a me e a quando lo feci, nella mia precedente beata ignoranza di credente come vivevo meglio! avevo la mia CO2 quando volevo e a dosi crescenti). Quelle mie analisi et al. non hanno mai visto la luce (il buon Luigi ne sa qualcosa anche lui) e non e’ solo il fatto che ‘capita di non vedersi pubblicare un lavoro…’ come qualche anima bella ha scritto.
    Spencer con il normale e sensato approccio che avrebbe qualunque fisico va a vedere se c’e’ un marker termico e lo trova: perche’ se tocchi il fondo di una pentola che e’ appena stata sul fuoco il modello ti potra’ anche dire di no ma il marker tu lo senti eccome (non fate l’esperimento che siamo sotto Pasqua e non e’ bello il normale corollario che si verifica).
    Sapere che lo stesso Spencer ha deciso di demordere dal pubblicare mi conforta nella mia decisione di aver mandato al diavolo baracca e burattini e di occuparmi solo dell’ingegneria del problema, cosi’ se un modellista non ci crede dico: “provi se lei ed il modello non ci credete, ci salti pure sopra a piedi pari, tanto siamo solo al 10mo piano!”

    • Teo,
      a questo punto l’unica soluzione è dare massima diffusione a questo genere di lavori. Se contengono errori saranno facilmente smascherati, diversamente si consolideranno. Non arriveranno mai al circuito che conta? Beh, conta oggi, conta domani, prima o poi si renderanno conto che il numero cala.
      gg

  5. luigi mariani

    Caro Guido,
    in un mio scritto appena apparso su CM (http://www.climatemonitor.it/?p=24684) parlo di “FORZA DELLE COINCIDENZE” ed elenco una serie di coincidenze che dovrebbero farci riflettere su quanto peso abbiano i termini “Anthropogenic”, “Global” e “Warming” nell'”AGW” degli anni ’80 del XX° secolo.
    A tale elenco occorre assolutamente aggiungere quanto ci hai segnalato: che c’azzecca infatti con l’AGW un aumento delle temperature che è direttamente proporzionale alla densità di abitanti per km2?. Sicuramente valgono “A” e “W” ma con il “G” non ci siamo proprio!
    Luigi

    • Luigi, questo studio di Spencer e quello di cui hai parlato tu di McKitrick sono la prova che l’approccio allo studio delle dinamiche del clima è minato da bias di vario genere, e non tutti hanno a che vedere con il metodo scientifico.
      gg

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