Salta al contenuto

Orsetti polari alla riscossa

Diciamocelo: per anni ci hanno fatto sentire in colpa perchè noi, terribili esseri umani, stavamo mettendo a repentaglio la vita di quegli orsetti bianchi, very tender, very soft. In realtà questa è l’idea un po’ troppo romantica di certa parte di ambientalismo. Gli orsi polari non fanno altro che fare il loro mestiere: vivono, si riproducono e sbranano per cibarsi. Quindi in realtà sono meno bianchi di quanto vogliano farci credere. E da oggi possiamo dire che sono anche meno a rischio estinzione di quanto ci hanno fatto credere, per farci sentire in colpa.

In questi giorni sono arrivati i risultati di una approfondita indagine sulla popolazione di orsi polari, nell’Artico canadese. Il censimento è stato condotto lungo ben 8000 km di territorio. Prendiamo ad esempio la Baia di Hudson. Mille orsi c’erano all’inizio degli anni 2000, mille orsi ci sono adesso. In barba alle catastrofiche previsioni di molti ambientalisti che volevano la popolazione di orsi già quasi dimezzata nel 2011.

Ovviamente la causa di questo sterminio (mancato) è il global warming o climate change, chiamatelo un po’ come vi pare (la fantasia non manca ai globalserristi). L’aumento delle temperature, nelle previsioni dei catastrofisti, avrebbe dovuto mettere a repentaglio gli orsi per diversi ordini di motivi. Il primo dei quali, se ricordate, era che gli orsi rischiavano di morire annegati (meno ghiaccio, più mare aperto e l’annegamento è servito). Un’altra motivazione che dovrebbe portare all’estinzione degli orsetti da mezza tonnellata sarebbe l’impossibilità di procacciarsi il cibo (le foche, di cui vanno ghiotti, non avendo ghiaccio su cui poltrire, non potrebbero essere sbranate facilmente dagli orsi).

Ed ecco che lo psicodramma sull’orso polare è diventato l’icona dell’ambientalismo. Per molti, troppi motivi, non starò qui a ricordarne nemmeno uno, ma quanti messaggi, pubblicità, appelli accorati sono stati lanciati in questi anni? E sempre tutta colpa del cattivissimo uomo. Addirittura studi (di parte) vedevano la completa estinzione degli orsi nel giro di 20 anni. Drikus Gissing, direttore dell’ente di conservazione di Nunavut afferma:

We are not observing these impacts right at this moment in time. And it is not a crisis situation as a lot of people would like the world to believe it is

Ovvero: “Non stiamo osservando in questo momento questi impatti [negativi sulla popolazione di orsi]. E non siamo in una situazione di crisi come molte persone vorrebbero far credere al mondo”.

Gli Inuit, che gli orsi li cacciano, da sempre hanno sostenuto che questi non fossero nè in diminuzione nè così malati come qualcuno andava sostenendo. E’ chiaro che gli Inuit siano parte in causa, in quanto seriamente interessati a poter cacciare di nuovo liberamente l’orso polare. E come sempre la verità sta nel mezzo. Quindi, gli orsi polari sono in salute e non stanno per estinguersi, altrettanto vero è che l’impegno alla salvaguardia di questa meravigliosa specie animale deve proseguire, nel rispetto delle antiche tradizioni dei popoli artici.

Tanto per mettervi al corrente anche dell’altra campana (quella del giudizio finale), il WWF del Canada rigetta in toto la validità di questo studio e anzi afferma che i segni della sofferenza degli orsi siano più che tangibili. Il WWF parla di consenso tra gli scienziati: la minor quantità di ghiaccio non consente agli orsi di andare a caccia di foche, e quindi di nutrirsi. Eppure, come i nostri affezionati lettori sanno, il ghiaccio non è mancato quest’anno, nel Polo Nord. Sicché, visto che contarli non va bene perché c’è il consenso, non resta che credere che gli orsi polari siano come le vacche di Fanfani o gli aerei di Mussolini, sempre gli stessi.

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...Facebooktwitterlinkedinmail
Published inAmbienteAttualità

4 Comments

  1. Guido Botteri

    Confermo che dalla mia stanza non si è visto un orso polare che fosse uno 🙂
    Appena torno li conto…

  2. donato

    Avevo sempre creduto che, in mancanza di un altro pianeta su cui fare esperimenti, i modelli fossero l’unico modo per capire dove il nostro pianeta vada a parare. Ora scopro che anche per contare gli orsi servono i modelli. Non è che avremo bisogno dei modelli anche per sapere se abbiamo mangiato oppure no o per contare quante volte siamo stati in … piacevole compagnia? 🙂
    Ciao, Donato.

  3. Ecco, per come leggo la risposta del WWF qui citata, è il classico menare il can per l’aia. All’affermazione riguardante un _fatto_ “1000 erano nel 2000, 1000 sono oggi” voglio sentirmi eventualmente una confutazione: “non è vero, sono 500” e magari discutiamo su come sono stati contati. Poi è facile vedere chi dice il vero e chi dice il falso. Furbamente, il WWF risponde invece citando _modelli_, e dal suo punto di vista non mente (troppo) perché ci sono veramente scienziati che sostengono quei modelli. Ma questo è il modo di discutere della politica scadente, non della scienza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Categorie

Termini di utilizzo

Licenza Creative Commons
Climatemonitor di Guido Guidi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale 4.0 Internazionale.
Permessi ulteriori rispetto alle finalità della presente licenza possono essere disponibili presso info@climatemonitor.it.
scrivi a info@climatemonitor.it
Translate »