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Pornografia climatica, sindrome da scetticismo e soluzione finale

Alcuni anni fa, come immagino sia accaduto a molti di voi, rimasi colpito dalla teoria della piramide di Maslow. Nella gerarchia delle necessità che contraddistingue la complessità del nostro essere, la soddisfazione dei bisogni primari deve necessariamente precedere la ricerca di realizzazione. Leggendo gi articoli di cui parleremo tra poco, ho dedotto che chi li ha scritti non si è accorto che il mondo è in crisi, non ha problemi di bisogni primari e continua imperterrito a perseguire la propria realizzazione, con un progetto a dir poco discutibile.

Solo chi vive completamente scollegato dalla realtà nonché ermeticamente chiuso nelle proprie convinzioni può elaborare un concetto come il seguente: il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici sono un pericolo per l’umanità, chi non ne è convinto deve necessariamente essere malato. La disfunzione, nella fattispecie, sarebbe quella di avere una percezione affettiva distorta, una sorta di incapacità di farsi una ragione del pericolo imminente.

Il tutto, secondo il cliqué di un certo shicchismo radicaloide, con contorno di deviazioni ideologiche e politiche aberranti. Per esempio, dal momento che negli Stati Uniti uno dei paladini delle origini antropiche delle recenti evoluzioni del clima è Al Gore e una buona parte dei cittadini americani (e non solo) non lo sopporta, automaticamente si avversano le tesi che egli sostiene, indipendentemente dal fatto che queste riguardino un così evidente pericolo. Agli autori sfugge un piccolo particolare. L’avversione per il personaggio in questione – ammesso che c’entri qualcosa – è dovuta alle assurdità che raccontano lui e quelli come lui, anche e soprattutto in materia di clima e ambiente, nonché alla valanga di dollari che con queste hanno guadagnato facendosi beffe di chi li sta a sentire.

E’ strano che non se ne siano accorti, perché proprio loro parlano di pornografia climatica alludendo all’eccessivo catastrofismo di un certo genere di comunicazione. Beh, lo stile di quel bassissimo livello di contenuto scientifico della comunicazione lo ha inventato proprio Al Gore, guadagnandosi pure un Oscar cinematografico. Ma, del resto, sono sempre gli autori a mettere l’accento sul ruolo dei media in questo contesto: altissima responsabilità nell’orientamento dell’opinione pubblica e quindi delle policy (solo se strizzano l’occhio al movimento salva-pianeta ovviamente, altrimenti agli occhi dei radicaloidi da giornalisti si diventa rapidamente giornalai).

Ma non è tutto, appena qualche giorno fa all’ennesima adunata di contriti consezienti tenutasi a Londra (Climate Under Pressure), la sociologa Kari Marie Norgaard, ha presentato e discusso la sua ultima fatica, pronunciando tra le altre cose quanto segue riguardo il dubbio scientifico, che quelli bravi chiamano scetticismo e quelli lividi di rabbia negazionismo:

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“Climate change poses a massive threat to our present social, economic and political order. From a sociological perspective, resistance to change is to be expected. People are individually and collectively habituated to the ways we act and think. This habituation must be recognized and simultaneously addressed at the individual, cultural and societal level — how we think the world works and how we think it should work.”

“Il cambiamento climatico pone una grave minaccia al nostro attuale ordine sociale, politico ed economico. Da una prospettiva sociologica ci si deve attendere una resistenza al cambiamento. La gente è individualmente e collettivamente assuefatta al proprio modo di agire e pensare. Questa assuefazione deve essere riconosciuta e allo stesso tempo combattuta a livello individuale, culturale e sociale – come pensiamo che il mondo vada e come pensiamo che debba andare.”

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Beh, con buona pace della sociologia e della sociologa in questione, di come questi sapientoni pensano che debba andare il mondo temo che a nuvole, sole, pioggia e vento importi molto poco. Ancor meno a chi scrive, naturalmente.

E così alcuni giorni fa abbiamo commentato lo studio di un gruppo che vorrebbe modificare geneticamente e drogare gli esseri umani per renderli più disponibili ad un serio e sostenibile rapporto con l’ambiente. Oggi troviamo un articolo che da del malato a chi dissente, gli spiega il perché e istruisce il medico al trattamento. Poi ne troviamo un altro in cui la chiara visione del mondo dell’autrice detta i tempi della posologia, facendo venire i brividi sul collo. Nel frattempo l’accreditatissimo scienziato che gestisce il dataset delle temperature globali della NASA va dicendo che il cambiamento climatico è un problema morale al pari della schiavitù, corroborando ‘scientificamente‘ le tesi di cui sopra.

Sicché, in assenza di tangibile supporto scientifico alle proprie ipotesi di imminente disastro climatico, il movimento ricorre a concetti di eugenetica misti ad autoritarismo, sai che novità. Del resto all’inizio del secolo scorso andavano di moda le stesse cose e ci sono volute solo alcune decine di milioni di morti per capire che non funzionava. Ora di secolo ne è iniziato un altro e qualcuno pare convinto di poterci riprovare…

Addendum

Questo voleva e doveva essere un post un po’ amaro dato l’argomento in discussione. Ma alla fine mi tocca sganasciarmi dalle risate. E’ successo questa mattina sul presto, quando ho aperto il pc per il solito giro di blog. Climate etc, il blog di Judith Curry:

Psychological(?) effects of global warming

C’è qualcuno che ha preparato e presentato un report per discutere gli effetti psicologici dei drammi indotti dal cambiamento climatico, chiamando a raccolta e quindi a prepararsi, la moltitudine di strizza cervelli americani.

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La distruzione fisica ed economica certamente fa impressione, ma quello per cui non ci stiamo preparando sono le conseguenze psicologiche di tutta questa devastazione. Per cominciare, aumenterà rapidamente l’incidenza di disagio mentale e sociale. Ciò includerà disturbi depressivi e ansiogeni, stress post traumatici, abuso di sostanze, suicidi e diffuse esplosioni di violenza. I bambini, i poveri,  gli anziani e quelli che hanno già problemi mentali sono paticolarmente vulnerabili e saranno copiti più duramente. Più o meno 150 milioni di persone, un gruppo che rappresenta circa la metà della popolazione americana.

 La comunità della salute mentale americana, assistenti e specialisti dei traumi non sono neanche vicini ad essere preparati a gestire la dimensione e l’intensità dell’impatto che scaturiranno dalle terribili condizioni e disastri che saranno generate dal global warming. Non è che non ci sia mai capitato di avere a che fare con disastri naturali, ma i dati scientifici indicano che quello che abbiamo di fronte sarà più grande, più frequente e più estremo di quanto abbiamo mai sperimentato.

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Un autentico spasso, E non è finita qui. Gli autori si preoccupano anche del fatto che a causa dei disordini che ci saranno, le forze dell’ordine saranno costrette ad intervenire in situazioni sempre più gravi. Colpiti da quello che vedranno, vedranno anche aumentare il tasso di suicidi tra le loro fila.

Una cosa è sicura, a questi non mancano le camicie di forza, che dite se le metteranno da soli o avranno bisogno di essere aiutati?

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Published inAttualità

9 Comments

  1. Guido Botteri

    Avrei una domanda filosofica:
    …ma se i loro modelli climatici, come afferma quello sviluppatore di modelli, è “tollerante” all’inclusione di “bugs”, perchè loro sono così intolleranti verso chi la pensa diversamente, e così sicuri delle loro affermazioni da chiedere una modifica genetica del genere umano, perché diventi verde, obbediente e non pensi con la sua testa ?

    • donato

      Caro Guido, ti trovo bello pimpante e la cosa mi fa molto piacere. Azzardo una risposta alla tua domanda. Il genere umano si divide in due grandi categorie. Da una parte troviamo quelli che si reputano belli, bravi, intelligenti, previdenti, altruisti; che quando si alzano la mattina si caricano addosso le sorti del genere umano (senza che nessuno glielo abbia chiesto, ovviamente) e la sera, quando si liberano dal carico, sono pieni di rabbia per l’ingratitudine di coloro che, nonostante tutto il loro impegno, non si sono fatti curare, accudire, salvare. Essi guardano dall’alto delle loro certezze incrollabili e con commiserazione, la restante parte dell’umanità, vorrebbero che anche gli altri fossero come loro, però, sono felici che non lo siano: nel caso lo fossero verrebbe meno lo scopo stesso della loro stessa esistenza! 🙂
      Dall’altra troviamo tutti gli altri. Gente che rifiuta di farsi guidare, accudire, salvare, che vuole fare a modo proprio. E’ gente strana, molto poco allineata (come diceva una vecchia canzone), che arranca per realizzare il suo progetto di vita, che rifiuta di seguire percorsi ben definiti, ma decisi da altri, che molte volte sbatte con la testa contro gli ostacoli e che ogni tanto è costretta a cambiare radicalmente il percorso che aveva iniziato in quanto si rende conto che è sbagliato. A questa genia appartengono gli eretici, gli anarchici, i rivoluzionari, gli scettici e tanti altri (tra cui io, per esempio, per quel che riguarda gli argomenti di cui discutiamo su questo blog). Tra questi due estremi, ovviamente, troviamo tante sfumature intermedie, ma ognuno di noi, tendenzialmente, si riconosce in uno dei due grandi sottoinsiemi in cui ho, grossolanamente, diviso l’umanità.
      A questo punto, credo, che sia ovvio che chi si reputa parte integrante del gruppo dei bravi cerchi di correggere tutti gli altri e di riportarli sulla corretta strada. Alcuni cercano di convincerli con la forza delle loro idee (e a volte ci riescono) altri, invece, non riuscendo a convincerli con la forza delle loro idee cercano le scorciatoie e ricorrono ai metodi “bruschi”.
      Attenzione, però, queste due categorie non sono fisse, ma estremamente mutevoli: niente di più strano che io oggi faccia parte di un gruppo riguardo ad un certo modo di essere e di pensare ed al gruppo opposto riguardo ad altri modi di essere e di pensare.
      Il problema di questi due gruppi non è il modo diverso di vedere le cose, bensì l’intolleranza verso l’altro gruppo. E’ quando si diventa intolleranti che cominciano a nascere gli -ismi (e cominciano i guai)! 🙂
      Ovviamente queste sono idee mie e lasciano il tempo che trovano, però, non mi sembrano tanto campate per aria. O no?
      Per la miseria, quanto ho scritto! Mo’ chi li sente quelli bravi per il fatto che mi sono improvvisato filosofo senza averne la patente? 🙂
      Ciao, Donato.

    • 400 anni fa l’ultima persona messa al rogo in Inghilterra. Ora, tutti quelli che erano favorevoli all’epoca e prima, dove saranno mai finiti? Vista la lentezza con cui cambia l’animo umano, sono tutti ancora li’, iscritti al partito cambioclimatista, pronti a combattere le “eresie” e in generale molto scontenti se qualcuno, da qualche parte, prova a divertirsi.

    • Sicché, anche per esaminare tecnicamente il sw dei GCM e’ stato coniato un sistema nuovo infischiandosene di quelli già esistenti e abbondantemente validati. Neanche a dirlo, questo sistema nuovo fornisce risultati eccellenti. Gli altri, semplicemente non pervenuti. Mi chiedo se tra i nostri lettori c’e’ qualche esperto del settore che può darci una mano a capire.
      gg

    • Guido, ho skimmato velocemente il blog di Judith Curry (http://judithcurry.com/2012/04/15/assessing-climate-model-software-quality/) dove un guest post commenta l’articolo a cui si riferisce la frase citata da Maurizio. Devo rileggermi tutto con calma e non potrò farlo prima del weekend perché sono in una settimana calda (non globale, anche se certamente antropogenica). Comunque intanto la conclusione del guest post è questa:

      ****
      The paper presents a very weak argument for the quality of GCM software. The widely accepted and successful modern verification and validation methodologies, which are used in a variety of scientific and engineering software projects, are not even mentioned in the paper. More importantly, the fitness of the GCMs for applications that affect public-policy decisions is also not mentioned. Simple defect counting cannot lead to information relative to validation and application to public-polcy decisions.
      ****

      Intanto, posso dire un paio di cose. Sostenere che “… a theoretical system being modelled [is] ‘tolerant to the inclusion of bugs’.” a prescindere è una castroneria bella e buona e un softwarista che mi dicesse questa cosa verrebbe da me subito cacciato a pedate.

      In generale bisogna distinguere due cose: la validazione dei metodi matematici del modello (di cui sono incompetente) e la validazione del software che li implementa. In generale è un problema più ostico della qualità del software in generale, perché avviene il contrario dello sviluppo industriale: tu *sai con certezza* che p.es. il calcolo degli interessi su un certo conto corrente dà un certo risultato, quindi in soldoni è sufficiente verificare che il software, fatti i calcoli, produca quel numero. Se invece faccio girare il software che simula un modello per definizione non so cosa salta fuori. Andrò ad approfondire questo discorso, visto che ci sono riferimenti nel post di Curry.

      Una cosa ovvia che però posso dire è che il software open source è soggetto a review pubbliche. Vale ovviamente il principio che più persone indipendenti fanno una review, più alta è la probabilità che trovino errori o – conversamente – se non ne trovano o ne trovano pochi è alta la probabilità che il codice sia di buona qualità. Guardare il codice, inoltre, permette di farsi un’idea sulla competenza di chi l’ha scritto. Io ero rimasto di sasso all’epoca del climategate quando appresi che in molti casi i risultati di un modello vengono accettati dalla peer review senza che il codice venga reso disponibile a tutti.

      PS Un paio d’anni fa, durante una chiacchierata in una pausa di una conferenza con un ingegnere responsabile della progettazione del software in un grosso centro di ricerca americano mi colpi con una sua battuta: “gli scienziati possono essere dei geni, ma in generale scrivono codice di pessima qualità”.

    • Avendo avuto una vita in accademia e un’altra nell’industria, confermo quanto sdetto a Fabrizio dall’ingegnere…chi fa ricerca scrive codice che va usato sul momento ed e’ debugg-ato riguardo quello che serve sul momento. Quando si passa invece “in produzione” occorrono sempre delle condizioni quasi impossibili da prevedere in fase di sviluppo, per cui o si fanno dei test seri oppure tanto varrebbe usare un generatore di numeri casuali.

      Purtroppo chi non ha mai messo il naso fuori nel mondo reale vive in questo empireo dove idioti dicono ad altri idioti che gli errori nel codice, invece di risultare in spazzatura, magicamente si annullano, inchinati di fronte alla complessita’ del sistema.

  2. donato

    Purtroppo sono costretto a dar ragione a Carmen: gli “architetti verdi” sostengono in modo pressocché unanime che l’unico modo per salvare il mondo dal disfacimento climatico-ambientale prossimo venturo è impilare gli uomini in palazzi sempre più alti. Le città dovranno razionalizzare gli spazi e, per produrre cibo a chilometri zero, sarà necessario che anche gli agricoltori si trasferiscano in città: megaserre a diverse decine di piani sostituiranno le tradizionali fattorie. Invece di sottrarre alla natura ettari di terreno, le piante si svilupperanno in atmosfera controllata nutrendosi dei reflui urbani che, in tal modo, non danneggeranno più l’ambiente. Il mondo prossimo venturo sarà costellato da megalopoli di decine e decine di milioni di abitanti che avranno un’impronta ecologica molto più ridotta di quella attuale. Chi non crede ai suoi occhi può rivolgersi alla letteratura specializzata. Per un breve riassunto sono sufficienti i due articoli seguenti:
    http://www.lescienze.it/archivio/articoli/2011/10/26/news/citt_verde-612515/
    http://www.lescienze.it/archivio/articoli/2011/10/26/news/la_citt_efficiente-612723/
    Caro SsP, di camicie di forza, secondo me, ne serviranno molte. Se continuiamo di questo passo, però, credo che le faranno indossare a noi scettici. 🙂
    Poichè, però, la speranza è l’ultima a morire, alla fine le cose potrebbero cambiare. Sembra, infatti, nonostante le “evidenze scientifiche” sempre maggiori, l’opinione pubblica sta diventando sempre più scettica. Lo dice niente po po’ di meno che J. Hansen nel discorso pronunziato in occasione della consegna di un’onorificenza di cui è stato insignito in quel di Edimburgo. http://wattsupwiththat.com/2012/04/10/hansen-on-skeptics-we-are-winning/
    Se è così tra non molto sentiremo parlare di “potenze plutocratiche, scettico-bigoiliste che debbono essere annientate”. Mamma, “li caschi verdi”. 🙂
    Ciao, Donato.

  3. Carmen

    Un articolo che offre molti spunti (amari) di riflessione
    http://www.climatechangedispatch.com/home/10098-50-former-astronauts-and-scientists-denounce-nasa-stance-on-global-warming

    Fra le altre “perle” leggiamo
    “Alcune commissioni urbanistiche impediscono la costruzione di case unifamiliari a favore di ultra-densi complessi abitativi che contengono più di 30 famiglie in un ettaro quadrato di spazio, per timore del riscaldamento globale.

    Il professor Karen Seto della Yale University, intervistato sul tema come partecipante della conferenza a Londra Pianet Under Pressure 2012, ha dichiarato: “Noi certamente non vogliamo [non vogliamo gente comune] che passeggia per tutta la campagna. Vogliamo salvare i terreni … “

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