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Nuova ricetta: Pane e CO2.

Si potrebbe rivisitare così la famosa frase di Maria Antonietta: “Maestà il popolo non ha pane. Dategli la CO2″”.

Allora, il volume d’affari della coltivazione e commercio del grano a livello globale è di circa 182 miliardi di dollari. Il volume di affari del mercato del carbon trading è arrivato nel 2011 a 176 miliardi di dollari. Ciò significa che l’aria, o meglio uno dei suoi componenti, nonostante la sua nota inconsistenza anche quando è fritta,  ora vale come il pane.

Il grano si pianta, lo si cresce, lo si raccoglie e lo si mangia. In genere queste attività danno valore alla materia in questione. Cioè qualcuno paga per comprarla. Sicché dobbiamo arguire che qualcuno, da qualche parte, sta pagando per quei 176 miliardi di dollari di giro d’affari del carbon trading. Per qualcosa che non si pianta, non si coltiva, non si raccoglie, non si mangia. Né è utile ad altro di diverso dal suo ruolo in natura, che tra l’altro svolge egregiamente fornendo abbondante cibo alle piante.

Quel qualcuno siamo tutti. Volontariamente? No. La partecipazione volontaria al mercato del carbon trading  ammonta a circa un trecentesimo del totale. Tutto il resto lo fanno gli obblighi di legge maturati negli ultimi anni in seno alle legislazioni soprattutto europee. Già, perché l’80% del mercato è in Europa, nel resto del mondo sono spiccioli.

Attenzione, non l’Europa di un mondo parallelo, ma questa Europa. Quella dove si cercano disperatamente i soldi per evitare che intere nazioni falliscano, gettando nel panico le popolazioni e trascinando inevitabilmente tutte le altre nel baratro.

Vabbè, dicono, ma è necessario. Non proprio. In primo luogo il peso reale della CO2 sulle dinamiche del clima è ben lungi dall’essere accertato. Se ne conosce la relazione diretta con il bilancio radiativo, che è poca cosa, non quella indiretta, che secondo molti dovrebbe portarci al disastro climatico. In secondo luogo il gioco, nel senso del carbon trading, pare proprio che non valga la candela.

Negli Stati Uniti, la cui fetta di mercato del carbon trading è fallita miseramente più di un anno fa, le emissioni sono scese negli ultimi quattro anni del 7,7%, soprattutto grazie a interventi nel settore dei trasporti e della produzione energetica. Da noi molto meno. Per carità, di chiacchiere ne abbiamo fatte a iosa e di certificati ne abbiamo scambiati a volontà, ma fatti non se ne sono visti proprio. Sicché quel poco di risultato raggiunto in termini comunitari lo si deve in larghissima misura alla crisi economica. Non solo, la crescita delle dimensioni del mercato del carbon trading è soprattutto dovuta all’aumento dei volumi, non certo a quello dei prezzi, che invece si sono letteralmente dimezzati. Sicché il ‘giocattolo’ non è buono neanche per investire, perché perde praticamente senza soluzione di continuità da almeno due anni. Nei piani di chi ha messo in piedi questo gigante finanziario fatto di aria, perché si possano ottenere dei risultati favorendo attività produttive a bassa intensità di carbonio a scapito di quelle con alte emissioni il prezzo della tonnellata di CO2 dovrebbe arrivare a 30 dollari. Siamo a circa un terzo.

Nel frattempo, nella torre di avorio si pianifica, si auspica e, malgrado tutto probabilmente si otterrà, di tenere acceso il respiratore al moribondo, prolungando il Protocollo di Kyoto, che dell’ETS è la base normativa, per altri 4,5 o 6 anni. Quando ci arriveremo, il mercato del carbon trading sarà comunque stecchito, ma sarà anche in ottima compagnia.

NB: Se volete vedere qualche grafico eloquente andate qui.

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Published inAttualitàEconomia

2 Comments

  1. donato

    L’Europa, ormai, sta conducendo una serie di battaglie di retroguardia in moltissimi campi: economico, climatico, ambientale, tecnologico, energetico, scientifico, sociale, ecc., ecc.. Le leve di comando non si trovano più in Europa (da decenni) e, forse, stanno per lasciare anche gli USA. Probabilmente non saranno controllate neanche dai paesi BRIC. Esse, credo, sono fermamente nelle mani della grande finanza mondiale. Scrive giovanni geol:
    “Mi sembra la nascita di un sistema di controllo unico a scala mondiale, basato sul denaro, l’unica cosa che non puzza, non ha razza e si fa capire in tutte le lingue facendo sognare.”

    Io credo di condividere questa visione del mondo. I volumi finanziari nelle mani dei fondi internazionali sono tali da superare di diverse volte (forse di un ordine di grandezza) quelli degli Stati sovrani. Oggi come oggi questi capitali immensi sembrano privilegiare le economie rampanti: quelle in cui si calpestano i diritti dei lavoratori e dell’uomo, le legislazioni ambientali, le regole etiche che contraddistinguono il mondo cosiddetto civile. Se i paesi del BRIC crescono in modo impetuoso è perché essi assorbono enormi quantità di questi capitali extra-statuali. In queste economie lo sviluppo è tale da determinare profitti immensi che i paesi del vecchio mondo non possono più garantire. La libera circolazione dei capitali e delle merci ha fatto il resto. Il mondo, ormai, conosce un unico linguaggio: quello del massimo profitto. Le regole sono state scritte nei trattati che hanno dato vita, negli anni novanta del XX secolo, al WTO. Da allora in poi non sono più state possibili politiche protezionistiche o politiche tariffarie che potessero in qualche modo ostacolare il commercio mondiale di beni, servizi e proprietà intellettuale. Per alcuni erano regole scritte per consentire uno sviluppo più equilibrato: i paesi emergenti sfruttando i minori costi di produzione avrebbero potuto commercializzare i loro prodotti nei paesi ricchi senza alcun ostacolo. Secondo altri i paesi più ricchi, grazie al WTO, avrebbero invaso con i loro prodotti i paesi poveri colonizzandoli di fatto. Alla fine, secondo il mio modesto parere, si sono create le condizioni per consentire ad organismi che travalicano i confini delle singole nazioni, di creare una dittatura della finanza che ha invaso ogni nazione e, nella nostra vecchia Europa, ha cominciato a mietere le prime vittime: Grecia, Spagna, Portogallo, Italia, Irlanda. Piano, piano, però, la morsa stritolatrice colpirà anche il resto dell’Europa. E gli europei ci stanno mettendo del loro, piegando le scelte politiche ai diktat dei Mercati (maiuscola voluta). Perché i mercati sono il braccio armato del mondo nuovo che avanza e travolge regole, tradizioni, istituzioni ed uomini.
    Lasciare il mondo della finanza senza regole è stato uno dei più grossi errori che l’Uomo abbia commesso. Il mercato delle emissioni, per esempio, sarà la prossima bolla ad esplodere e l’esplosione avverrà solo in Europa: pioverà sul bagnato 🙂 . Non so se siamo ancora in tempo per rimediare. Io mi auguro di si anche se temo che il mio sia solo un auspicio dettato dal lato irrazionale del mio cervello.
    Ciao, Donato.

  2. giovanni geol

    Vi avevo chiesto tempo fa se foste riusciti a trovare delle informazioni sul tema carbon tax & C. beh grazie di aver pubblicato questo post.
    Che dire, leggendo l’articolo e i link mi sembra di capire che tutto questo non sia che un circo che permette alle banche mondiali di imporre una tassa mondiale per autofinanziarsi….gli effetti della globalizzazione sono anche e/o soprattutto questi. Poi mi viene anche da pensare a quanto di negativo viene detto sul ruolo della banca mondiale del fondo monetario internazionale, della questione del signoraggio, dell’influenza del sistema bancario e finanziario sulle politiche mondiali, comprese quelle europee e della crisi che stiamo vivendo, del fatto che lo spread sia piu importante delle aziende che chiudono dei disoccupati che aumentano, un po’ come le quotazioni di CO2 diventano più imploranti del grano.
    Mi sembra la nascita di un sistema di controllo unico a scala mondiale, basato sul denaro, l’unica cosa che non puzza, non ha razza e si fa capire in tutte le lingue facendo sognare . Anche l’AGW mi sembra un’ottima scusa vendibile in maniera omogenea a scala planetaria. Si creano città, industrie e un sistema nel suo complesso rigido disadattato e inadattabile si creano condizioni di vita “disumane” per gran parte della popolazione planetaria ( sovrappopolazione, mancanza di approvvigionamento idrico e alimentare per queste popolazioni, sviluppo di centri urbani, baraccopoli , favelas in aree a rischio ecc) e poi si da la colpa alla CO2 se il clima della Terra cambia e ci crea dei disagi, come se la Terra fosse stata sempre uguale e immutabile mentre in realtà dovremmo sapere tutti il clima è sempre ciclicamente cambiato da miliardi di anni (perché non lo si insegna alle scuole?). Una visione da antico testamento durante il basso medioevo, da crociate……. L’eden ( la Terra prima dell’uomo industriale perfetta e immutabile, una perenne primavera) la mela (il progresso dell’uomo) la cacciata dal paradiso (la CO2 arriva e distrugge l’eden, nevica, fa caldo, grandina, uragani, terremoti, inondazioni, eruzioni vulcaniche, tutta colpa dell’uomo cattivo e della sua CO2)… ma siamo nel 2012 o nel 1012? A livello sociologico mi sembra anche incredibile come un sistema economico-finanziario di questo tipo possa trovare proprio nell’ambientalismo fanatico religioso il suo miglior alleato, quando dovrebbe esserne il suo peggior nemico ( sindrome di Stoccolma o circonvenzione di incapace?).
    A me viene da pensare che siamo proprio in una botte di ferro ……..in fondo all’oceano.

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