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Analisi spettrale della copertura nuvolosa nei dati HISTALP

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Per un errore di editing (mio) il post è uscito con la mia firma e non con quella dell’autore reale. Ora ho corretto. Chiedo venia.

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In seguito ad un post su CM, anche io ho scoperto l’esistenza del dataset HISTALP, una collaborazione tra istituti di nazioni che gravitano attorno alle Alpi e coordinata dal Servizio Meteorologico Austriaco (ZAMG). Il database ha richiesto una intensa attività di coordinamento per ottenere e omogenizzare dati ottenuti da soggetti diversi, spesso nemici, con tecniche diverse, ad ore diverse, con strumenti non omogenei. È sufficiente pensare alle due guerre mondiali e, più recentemente, alle vicissitudini della ex Iugoslavia per immaginare le difficoltà, anche di carattere politico, che si sono dovute superare per avere, oggi, un insieme di dati meteorologici omogeneo che comprende la Greater Alpin Region (GAR), sia nelle zone di maggiore elevazione che in quelle, più basse, con maggiore densità di stazioni meteo e di osservazioni estese nel tempo.

I dati disponibili sono divisi in quattro zone geografiche (NE,SE,NW,SW) e due zone distinte per altezza delle stazioni (ALPIN, per le altezze maggiori) e LOW (altezze minori), comme appare nell’immagine sotto, presa dal sito di HISTALP:

I triangoli rossi, cui si fa riferimento con il nome “Summits” sono le stazioni da cui derivano i dati chiamati “ALPIN”. Questo è un gruppo il cui inserimento dipende dalla stratificazione verticale osservata per tutti gli elementi. Le stazioni di questo gruppo sono altamente disperse.

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“The loadings on all elements, except precipitation, also suggested a vertical stratification (e.g. a strong decoupling of lower and higher atmospheric levels is evident for winter temperature). Therefore, we introduced an additional subgroup for high-elevation summit sites. Stations within this Alpine subgroup are highly dispersed and are therefore not mapped as an area in Figure 8.” Auer et al.,2007.

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Non ho trovato un’analoga descrizione del settore LOW.

I simboli di dimensione maggiore rappresentano i centri delle zone geografiche – chiamate CRS o Coarse Resolution Subregions. Mentre nel sito si possono trovare tutte le informazioni, anche storiche, su Histalp, una descrizione scientifica del dataset è in Auer et al.(2007) (abstract, pdf).

Tra le molte grandezze disponibili, mi sono concentrato sulla copertura nuvolosa (cloudiness), per cercare di capire se e come potesse essere legata alla frequenza (num/ora) dei raggi cosmici. Tutte le serie storiche dei dati hanno più o meno ampie e frequenti interruzioni. La riscostruzione delle interruzioni ha prodotto un errore complessivo che, nel caso della copertura nuvolosa, è del 10%.

I dati

Per la copertura nuvolosa ho scaricato dal sito le serie storiche (prefisso N01, dal 1846 al 2007, trascurando i primi 7 mesi del 2008) dei file .cvs (colonne da A, l’anno, fino a M, dicembre) e da queste colonne ho calcolato le medie stagionali e la media annuale. E questo più le analisi, per tutti settori in cui è diviso il dataset, ha generato una notevole quantità di file e grafici che non possono essere mostrati nel post: ho preferito quindi rendere disponibile il materiale tramite un sito di supporto.

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Tutti i grafici e i file di dati che ho utilizzato sono disponibili qui, divisi per zone geografiche e con una sezione relativa ai raggi cosmici.

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Solo alla fine mi sono accorto che il dataset comprendeva anche le medie stagionali e la media annuale. Ovviamente, trattandosi di dati meteorologici, in HISTALP le medie stagionali sono fatte sulle stagioni meteorologiche (dicembre-gennaio-febbraio e così via, file con la sigla djf, mam, ecc), mentre io, essendo astronomo con poca (quasi zero) dimestichezza con la meteorologia e cercando legami con fattori astronomici, avevo calcolato le medie sulle stagioni astronomiche (gennaio-febbraio-marzo, ecc.; file con la sigla jfm, amj, ecc). Si è posto quindi il problema di scegliere quali medie stagionali usare: ho deciso di usare le stagioni astronomiche confrontandole, nel caso dei dati ALPIN, con quelle meteorologiche e notando che le differenze sono relativamente piccole e potrebbero dipendere dallo spostamento di un mese. Pur avendo analizzato anche i dati stagionali, ho puntato l’attenzione sulle medie annuali (sigle yea) delle 6 zone in cui è diviso HISTALP.

Per la serie storica dell’intensità dei raggi cosmici ho preso quella calcolata da Usoskin et al.,2002 (aggiornato alla metà del 2008) e disponibile al sito paleoclimatico NCDC-NOAA qui.

I grafici

Il grafico delle medie annuali della copertura nuvolosa (anomalia percentuale rispetto alla media 1901-2000) nei settori ALPIN e LOW è mostrato in Fig.1 (pdf).

Fig.1- Medie annuali di copertura nuvolosa nei settori ALPIN e LOW.

I due grafici non mostrano particolari differenze: una zona mediamente negativa leggermente più ampia temporalmente per il settore ALPIN (1870-1930) rispetto al settore LOW (1860-1910) e una zona di anomalia più alta dal 1970 al 2007, sempre per ALPIN. Sembrano esistere differenze maggiori, ad esempio, nel settore ovest, tra nord e sud (pdf). Notare che per settore SW i dati partono dal 1763.

Fig.2- Medie annuali di copertura nuvolosa nei settori NW e SW.

Per tutte le medie annuali e per le medie stagionali sono stati calcolati gli spettri di potenza con il Metodo della Massima Entropia (MEM), utilizzando un numero di poli pari alla metà dei dati. Gli spettri delle medie annuali, per tutti i settori, sono mostrati in Fig.3 (pdf), confrontati con i periodi “astronomici” (bande rosa) dovuti al Sole, ai pianeti e alle loro interazioni, elencati in Scafetta (2010).

Fig.3- Spettri di potenza delle 6 regioni del dataset HSTALP.

Dalla Fig.3 si possono trarre alcune conclusioni:

  1. Il settore ALPIN mostra una evidente concomitanza tra i massimi dello spettro e i periodi astronomici. Addirittura 5 su 7 coincidono e uno (8.9 anni) è al limite della della sua fascia. Credo si possa dire, forse forzando un po’ la situazione, che la nuvolosità del settore ALPIN dipende in gran parte da fattori astronomici.
  2. Il settore LOW, al contrario, presenta una corrispondenza di solo due periodi (più uno al limite). Tutti gli altri sono in opposizione nel senso che nella posizione della fascia rosa si hanno minimi relativi dello spettro. Si può dire, seguendo lo schema del punto precedente, che la copertura nuvolosa in questo settore dipende in minima parte dall’astronomia.
  3. Gli altri quattro settori (che comprendono stazioni a quote diverse) mostrano andamenti e corrispondenze intermedi tra ALPIN e LOW con 3-4 coincidenze e alcune, più incerte, situazioni di opposizione di fase. Di conseguenza, anche l’influenza astronomica sulla nuvolosità risulta intermedia.
  4. Potrebbe essere importante verificare la dipendenza dalla quota dell’influenza di fattori astronomici sulla nuvolosità, forse avendo a disposizione le serie storiche delle singole stazioni.

L’influenza tra la scelta delle stagioni astronomiche o meteorologiche è illustrata dalla Fig.4 (pdf)

Fig.4- Confronto tra gli spettri delle medie stagionali e della media annuale, con stagioni astronomiche e meteorologiche, per la regione ALPIN.

Si nota che esistono delle differenze negli spettri tra le stagioni astronomiche e quelle meteorologiche: la struttura complessiva degli spettri è però simile e compatibile con lo spostamento di un mese nei rispettivi calcoli. Da questo punto in poi userò soltanto le medie delle stagioni astronomiche.

I Raggi Cosmici

Dai grafici precedenti appare chiara la relazione tra la copertura nuvolosa delle zone più alte delle Alpi e l’attività di alcuni corpi del sistema solare, evidenziata dalle bande verticali rosa e dalla tabella con i valori numerici dei periodi, a destra, nei grafici.
È però nota, anche se non del tutto spiegata, la relazione tra l’intensità dei raggi cosmici galattici e la copertura nuvolosa (vedere ad esempio Svensmark e Friis-Christensen, 1997 oppure Laken et al., 2010). Ho utilizzato la serie storica dell’intensità (Usoskin et al.,2002) che rappresenta il valore atteso dell’intensità dei raggi cosmici ed è basata su un modello di stato quasi stazionario e a simmetria sferica dell’eliosfera; il modello pur permettendo il calcolo dell’intensità a partire dal 1610, non è in grado di ricostruire il minimo di Maunder (1647-1699).
Per questo motivo ho usato i dati dal 1700 in poi. Di questi dati ho calcolato lo spettro di potenza che ho poi confrontato, in Fig.5 (pdf), con quelli delle medie annuali delle singole regioni di HISTALP.

Fig.5- Confronto tra gli spettri delle medie annuali delle singole regioni geografiche (rosso) e lo spettro dell’intensità dei raggi cosmici (nero). Sono riportate anche le bande rosa dei periodi “astronomici”.

Anche per quanto riguarda i raggi cosmici, esiste una stretta relazione tra lo spettro della loro intensità e lo spettro della nuvolosità nel settore ALPIN. Per gli altri settori si ripete lo schema già visto in precedenza con i periodi astronomici: il settore LOW mostra molti massimi dei raggi cosmici in opposizione rispetto alla nuvolosità, mentre le altre regioni di HISTALP mostrano caratteristiche intermedie, con coincidenze tra i massimi delle due serie di dati e opposizioni di fase variamente distribuite.

Fin dall’inizio di questo paragrafo uso il termine generico di “relazioni” e di proposito ho evitato di parlare di correlazione e tanto meno di correlazione positiva tra raggi cosmici e anomalie di nuvolosità, come ci si potrebbe attendere dalla letteratura. Questa scelta deriva dai grafici del confronto diretto tra la serie storica dei raggi cosmici e le medie annuali della nuvolosità nelle diverse regioni. Non mostro qui questi grafici, per non appesantire ulteriormente il post, ma ognuno di essi può essere visualizzato tramite il relativo link al sito di supporto: cr-alpcr-lowcr-secr-swcr-necr-nw: in ognuno dei grafici la scala di destra si riferisce all’anomalia di nuvolosità e quella di sinistra all’intensità dei raggi cosmici.
I grafici mostrano una varietà di situazioni, da una forte correlazione negativa dei dati ALPIN ad una correlazione positiva dei dati SE, passando da deboli correlazioni sia positive che negative.
Chi legge può trarre le sue conclusioni. Personalmente credo che i raggi cosmici e in generale gli aspetti astronomici, abbiano una influenza sulla nuvolosità, in particolare nelle zone di maggiore altitudine, come testimoniato dai confronti tra gli spettri.

Bibliografia

  • Auer I., Böhm R., Jurkovic A., Lipa W., Orlik A., Potzmann R., Schöner W., Ungersböck M., Matulla C., Jones P., Efthymiadis D., Brunetti M., Nanni T., Briffa K., Maugeri M., Mercalli L., Mestre O., Moisselin J-M., Begert M., Müller-Westermeier G., Kveton V., Bochnicek O., Stastny P., Lapin M., Szalai S., Szentimrey T., Cegnar T., Dolinar M., Gajic-Capka M., Zaninovic K., Zeljko Majstorovic Z. Nieplova E.. HISTALP – historical instrumental climatological surface time series of the Greater Alpine RegionInt. J. Climatol.27, 17-46, 2007. Abstract (pdf).
  • Ghil M., R. M. Allen, M. D. Dettinger, K. Ide, D. Kondrashov, M. E. Mann, A. Robertson,
    A. Saunders, Y. Tian, F. Varadi, and P. Yiou, 2002: Advanced spectral methods for climatic time seriesRev. Geophys.40(1), pp. 3.1-3.41, 10.1029/2000RG000092.
  • Laken B.A., Kniveton D.R., Frogley M.R., Cosmic rays linked to rapid mid-latitude cloud changes Atmos. Chem. Phys.10, 1094-10948, 2010. doi:10.5194/acp-10-10941-2010. pdf
  • Scafetta, N. Empirical evidence for a celestial origin of the climate oscillations and its implications, J. Atm. & Sol-Terr. Phys.72,951-970, 2010, pdf
  • Svensmark, H. and Friis-Christensen, E. Variation of cosmic ray flux and global cloud coverage — a missing link in solar-climate relationships Journal of Amospheric and Solar-Terrestrial Physics59, 1225-1232,1997
  • Usoskin, I.G., K. Mursula, S.K. Solanki, M. Schuessler, and G.A. Kovaltsov. 2002. A physical reconstruction of cosmic ray intensity since 1610. J. Geophys. Res.107(A11), 1374. Dati scaricabili da qui
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Published inAttualitàClimatologia

8 Comments

  1. Donato mi ha fatto tornare in mente che uno dei miei professori, il prof. Giorgio Palumbo, poi collega e amico, aveva fatto la tesi con un altro dei primi studiosi di raggi cosmici, il prof. Castagnoli a Torino tra la fine degli anni ’50 e l’inizio dei ’60, e che andava in montagna per portare strumenti e fare osservazioni. Avevo e ho ben chiara la relazione tra altezza e raggi cosmici e che a quote più basse si misura essenzialmente l’effetto dei prodotti successivi alla ionizzazione primaria e la loro interazione con le componenti dell’atmosfera. Però, nel caso concreto dei dati usati qui, questa relazione dovrebbe essere dimostrata: ieri ho scritto al team di Histalp per verificare l’esistenza dei dati delle singole stazioni (possibilmenteente omogeneizzati in modo opportuno) e la possibilità che io possa averli. Vedremo …
    Ma, in tutta questa vicenda, la cosa che mi dà più da pensare è la mancanza di relazioni dirette (o al più l’esistenza di relazioni complicate) tra i dati dei raggi cosmici e della copertura nuvolosa: gli spettri mostrano rapporti complessivamente chiari che però non si riflettono nei confronti diretti fra le osservazioni (anche se le “osservazioni” sono in realtà il risultato di un modello nel caso dei RC e di elaborazioni articolate nel caso della nuvolosità). E in letteratura questi confronti vengono fatti spesso tra i dati osservati, con risultati significativi.

    • donato

      La questione è terribilmente complicata proprio per i motivi che hai illustrato. In primo luogo, come giustamente fai notare, il confronto tra lo spettro della copertura nuvolosa (che deriva da dati misurati e da elaborazioni piuttosto complesse) e lo spettro d’intensità dei raggi cosmici (derivato da un modello matematico) non è omogeneo. In secondo luogo non è ben chiaro il processo fisico che lega i raggi cosmici alla nucleazione delle nuvole ed alla presenza di agenti di nucleazione (solfati, polveri, aerosols e via cantando). In terzo luogo stiamo parlando di relazioni di tipo matematico che, come sappiamo, non sempre sono indice di relazioni fisiche. In altre parole abbiamo ancora molto da imparare :-).
      La vicenda, comunque, da quanto mi è parso di capire, avrà degli ulteriori sviluppi. A presto, quindi.
      Per chiudere, mi ha fatto molto piacere, a proposito del prof. Occhialini, la conferma di notizie che avevo avuto occasione di leggere in qualche articolo. L’esistenza di conferme dirette rende le cose molto più interessanti.
      Ciao, Donato.

  2. donato

    Innanzitutto complimenti a F. Zavatti per l’ottimo lavoro. L’analisi dei dati consente di verificare un andamento periodico dell’indice di nuvolosità. Tale periodicità si accorda piuttosto bene con i periodi individuati da Scafetta nel caso della zona ALPIN, meno bene negli altri casi. Io, per quello che può valere il mio modesto parere, ovviamente, dopo aver meditato sulla questione, ho azzardato una spiegazione del fenomeno.
    I raggi cosmici, da sempre, sono stati studiati a quote piuttosto alte. Uno dei pionieri dello studio dei raggi cosmici, il prof. Giuseppe Occhialini, organizzava spedizioni in alta montagna per meglio studiare questi fenomeni fisici e si sobbarcava a sforzi immani per portare i suoi strumenti sulle vette delle montagne. Il motivo di fondo era quello di individuare delle interazioni piuttosto rare che, a quote più basse, sarebbero state mascherate da altri fenomeni o non erano rilevabili.
    Il processo di nucleazione delle nubi, secondo Svensmark ed altri, dipende anche dalla radiazione cosmica di origine galattica e questa potrebbe essere modulata da interazioni magnetiche di origine solare e/o planetaria.
    Secondo Scafetta i cicli da lui individuati nelle varie serie meteorologiche, trovano origine da particolari conformazioni planetarie in grado di influenzare i cicli solari.
    Probabilmente, in prossimità delle cime montuose, le condizioni fisico-chimiche dell’atmosfera sono tali che i raggi cosmici riescono a favorire la formazione di nubi con meccanismi ciclici concordanti con i periodi individuati da Scafetta. Man mano che diminuisce la quota delle stazioni ci si allontana dalle zone montuose più alte e, probabilmente, cambiano le condizioni chimico-fisiche dell’atmosfera, per cui l’azione pro-nucleazione dei raggi cosmici potrebbe avvenire con meccanismi diversi che dipendono meno dai cicli astronomici individuati da Scafetta.
    Ad ogni buon conto, ancora una volta, le analisi dei dati evidenziano situazioni molto più complesse di quanto potrebbero apparire ad un’analisi più superficiale. Franco Zavatti ci ha fatto vedere che, cambiando la posizione delle stazioni di rilevamento, cambiano anche i parametri che caratterizzano la copertura nuvolosa. Le relazioni tra raggi cosmici e copertura nuvolosa, in altre parole, sono diverse a seconda della posizione delle stazioni di rilevamento, cioè non possiamo dire che tra nubi e raggi cosmici esiste, se esiste, ovviamente, una relazione diretta e semplice. Della serie: è molto più complesso e difficile di quanto credevamo. Penso, però, che sia normale: più studiamo e più ci accorgiamo di essere ignoranti, si è sempre detto. Ed è vero.
    Ciao, Donato.

    • Guido Botteri

      Certo che cambiano le condizioni, per esempio temperatura e pressione. Le nuvole basse sono più calde, per esempio. Nella troposfera la temperatura va diminuendo man mano che si sale (a meno di masse di aria calda che tendono a risalire al di sopra dell’aria fredda, raffreddandosi ed espandendosi man mano che risalgono e trovano pressioni minori e temperature più fredde), e l’emissione di calore diminuisce ancora di più. Questi aspetti c’è chi li può descrivere molto meglio di me, io volevo solo dire che certamente le condizioni sono diverse, ed infatti è noto che anche gli effetti delle nuvole alte o basse sulla temperatura sono diversi ed opposti. Non è dunque strano che qualche fattore scatenante, trovando condizioni così diverse, funzioni in modo diverso. Secondo me,.

  3. agrimensore g

    La frase “non sono un meteorologo” in effetti aveva destato qualche sospetto… 🙂
    Per quanto riguarda l’ottimo lavoro di Zavatti, a guardare i vari grafici, cioè a occhio, senza approfondire i numeri, direi che i risultati non sono così omogenei da poterne trarre congetture o conferme o smentite, anche se la parte ALPIN pare rafforzare la tesi di Scafetta.

    • E’ vero i risultati non sono conclusivi, sia per la tesi di Scafetta che per la relazione raggi cosmici-nuvolosità A mio parere c’è una possibilità di verifica: prendere, nei settori diversi da Alpin, le singole stazioni di maggiore altezza e rifare l’analisi per cercata una dipendenza dall’altezza delle relazioni con i periodi di Scafetta e con i raggi cosmici. Ma io non ho i dati . Proverò a cercarli.

  4. agrimensore g

    Post interessante, ma chi è l’autore? E’ proprio GG?

    • Chiedo a scusa a tutti, ma soprattutto a Franco Zavatti che ha condotto lo studio. Colpa mia, nell’editare il post non ho inserito la firma e la mia e’ partita di default. Correggo subito!
      gg

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