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Dalla CECA alla Comunità Europea del pannello solare e delle banche

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“Cinquantatre settimane di sciopero, nel 1984, in Inghilterra. da una parte il sindacato dei minatori guidato da Arthur “King Arthur” Scargill, dall’ altra il nuovo governo conservatore di Margheret Thatcher, deciso a farla finita con l’ estrazione del carbone, ultimo retaggio della rivoluzione industriale, e proiettato verso una politica ultraliberista di demolizione dello stato sociale”.

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Così si descriveva quasi 30 anni fa la decisione della chiusura delle miniere di carbone da parte della “Lady di ferro”, per ricordare il clima si può rivedere il brano finale del film “Grazie, signora Thatcher” in cui i minatori del carbone si lamentavano del fatto che se fossero stati foche o balene la popolazione si sarebbe indignata, invece si trattava solo di comunissimi e normalissimi “esseri umani” (youtube qui).

Allora il “colpevole” era la detestata politica ultraliberale. Ora sta accadendo qualcosa di molto simile in Spagna però tutto accade dietro la bella facciata della “green economy” e della battaglia contro il riscaldamento globale. Amareggia vedere i telegiornali che parlano di minatori senza specificare perché la loro produzione è in crisi. Si tratta del dannato carbone, lo stesso per il quale decenni fa scoppiavano le guerre e sul quale molte potenze mondiali attualmente stanno investendo. Oggi invece l’Europa, guidata ormai da un’evidente “ideologia verde”, ai combustibili fossili vuole sostituire sempre e comunque le tecnologie rinnovabili, a rischio di andare in rovina finanziaria e delocalizzare le aziende.

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Contro la chiusura delle miniere di carbone spagnole, dopo aver percorso 400 chilometri a piedi, partiti il 22 giugno scorso in due colonne dalle conche minerarie delle Asturie e di Leon, nel nordovest della Spagna, e della regione di Aragona, oltre 200 minatori sono giunti la serata del 10 luglio a Madrid.

Alla manifestazione è stato dato il nome di “marcha negra”, in ricordo del primo grande sciopero sotto il regime fascista di Francisco Franco che fu proclamato e animato proprio dai minatori. Era il 1962 e scioperare non era affatto un diritto. I minatori stavolta rivendicavano il ripristino degli aiuti al carbone e un piano di continuità per un comparto altrimenti destinato alla chiusura. In particolare puntano a rinegoziare col governo il taglio del 63% degli aiuti al settore, taglio effettuato “in violazione dell’accordo precedentemente firmato coi sindacati e patronati“; gli aiuti sono passati da 310 milioni di euro previsti ai 111 milioni inseriti nell’ultima finanziaria dal governo (per un confronto gli incentivi al fotovoltaico in Spagna sono stati 18 miliardi di euro solo nel 2008). Decine di migliaia di persone hanno accolto i minatori l’11 luglio, la manifestazione di protesta a Madrid è finita con un lancio di sassi, bottiglie e petardi contro la polizia in tenuta anti-sommossa, che ha reagito sparando proiettili di gomma. Il bilancio provvisorio degli scontri tra manifestanti e agenti è di 76 feriti (33 poliziotti) mentre sarebbero 5 le persone arrestate. Le forze dell’ordine iberiche si sono difese con i propri scudi dal lancio di oggetti e hanno sparato in aria i proiettili di gomma per disperdere la folla. “C’è stata una carica di fronte al ministero dell’Industria”, ha informato un portavoce della polizia di Madrid. A poche centinaia di metri di distanza, un altro gruppo di manifestanti, all’esterno dello stadio del Real Madrid (il Santiago Bernabeu), ha lanciato pietre e lattine contro gli agenti. “Via, via“, hanno urlato i manifestanti. “Queste sono le nostre armi“, hanno proseguito, alzando le mani. Il tutto mentre il premier spagnolo Mariano Rajoy ha annunciato in Parlamento una riforma della pubblica amministrazione che permetterà di tagliare 3,5 miliardi di euro di spesa, nel quadro della politica di rigore imposta dall’Unione Europea in cambio di una proroga di un anno nel raggiungimento degli obbiettivi di riduzione del debito. I sindacati hanno denunciato che queste decisioni distruggeranno l’industria mineraria, che si fonda sui sussidi statali per reggere l’urto delle importazioni a prezzi più concorrenziali: a rischio ci sono 8mila posti di lavoro, 30mila considerando anche l’indotto. La Ue aveva fissato per il 2018 la fine delle sovvenzioni al carbone spagnolo, un lasso sufficiente per lanciare piani di uscita e prepensionamenti, tanto più in un’Europa dove le deroghe sono all’ordine del giorno. La crisi economica ha invece accelerato i tempi e il governo del premier popolare Mariano Rajoy, che pur ama definirsi amico dei minatori, ha deciso il 22 maggio di inserire nella finanziaria 2012 il taglio degli aiuti al settore. L’Europa ha dato del tempo e ora il governo, spinto sempre dall’Europa lo toglie. I minatori difendono la continuità della loro attività proprio per ragioni territoriali e sociali, vista l’impossibilità in quelle zone di trovare altre fonti di lavoro.

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Il cammino dell’Europa iniziato nel 1951 con la “Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA)” sembra trovare l’unione d’intenti solo quando si deve andare “contro” al carbone ed alle industrie energivore come le acciaierie o l’ALCOA in Sardegna, sembra diventata la “comunità europea del pannello solare e delle banche”. Vedremo come andrà a finire nei prossimi mesi, auspichiamo però che alle famiglie dei lavoratori colpiti dalla crisi stavolta l’UE garantisca almeno la protezione assicurata alle balene o alle banche. La “green economy” europea doveva far crescere i posti di lavoro ed invece aumenta solo la disoccupazione: per favore se si impongono dure scelte economiche, che incidono sulla pelle delle persone, presentatele come all’epoca della Thatcher e non edulcoratele mascherandole di verde.

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Published inAttualitàEconomiaEnergia

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