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L’AGW c’è, ora c’ho le prove!

Qualche tempo fa, in una breve serie di post che raccoglievano delle opinioni più o meno informate in materia di riscaldamento globale e dinamiche del clima, abbiamo commentato un intervento di John Christy giunto in occasione di una sua audizione davanti al Senato degli Stati uniti. L’elemento che allora aveva destato maggiore interesse, era il discorso sulla scarsa rappresentatività del parametro temperatura media di una data località – e quindi anche di un dataset di località – ai fini della valutazione dell’alterazione del bilancio radiativo indotta dall’accresciuta concentrazione di gas serra in atmosfera.

Secondo Christy, che porta a supporto di questa sua posizione anche dei recenti lavori di indagine scientifica, il parametro temperatura media (Tmax+Tmin / 2) è inadatto alla misura del riscaldamento globale perché composto da due parametri, la temperatura massima diurna e quella minima notturna, molto diversi tra loro a causa delle differenti dinamiche atmosferiche da cui scaturiscono.

La temperatura minima notturna è infatti rappresentativa di uno strato molto sottile della troposfera di poche decine di metri immediatamente a contatto con il suolo. Uno strato che molto spesso risulta essere completamente isolato dall’aria soprastante, dove è lecito attendersi gli effetti più incisivi dell’azione di contenimento del calore operato dai gas serra. Diverso il discorso per la temperatura massima, che invece scaturisce da processi di rimescolamento della bassa e media troposfera più turbolenti, che in quanto riferiti ad uno strato più ampio, permettono di intercettare meglio il segnale dell’effetto serra.

Recentemente Christy è tornato su questo argomento con due post sul Blog di Roy Spencer, uno specificatamente dedicato al territorio degli Stati Uniti, soggetti questa estate ad una forte anomalia termica positiva come e più di quella che sta ancora interessando il Mediterraneo, e l’altro a carattere più generale, ovvero sulle temperature medie superficiali delle terre emerse dell’emisfero settentrionale.

Nel primo di questi post ci sono alcune interessanti considerazioni e alcune figure molto esplicative circa la differenza di “risposta” tra le temperature minime e massime in presenza del segnale di riscaldamento. In sostanza, è molto evidente nei dataset formati dalle serie storiche più lunghe come nel corso delle ultime decadi siano aumentate nel periodo estivo in modo molto più incisivo le temperature minime e non quelle massime, con il risultato di far ovviamente aumentare anche le temperature medie, mescolando però l’eventuale segnale di riscaldamento dovuto ai gas serra con quello molto più significativo della modifica delle condizioni a contorno dei punti di osservazione, effetto quest’ultimo di cui le temperature minime risentono molto di più perchè come detto sono rappresentative di uno strato atmosferico molto ristretto e quindi molto più sensibile.


Di particolare interesse è però il secondo dei suoi post, perché in quello affronta il discorso sviluppato da James Hansen nel suo ultimo lavoro, cioè nel paper che su CM abbiamo commentato qui, con cui Hansen dichiara di aver riscontrato un netto aumento della probabilità di occorrenza di anomalie termiche positive intense e durature in condizioni di riscaldamento globale. Nel nostro commento, avevamo espresso non poche perplessità circa l’opportunità di scegliere un periodo di riferimento per il calcolo della presunta variazione della distribuzione statistica degli eventi come quello compreso tra il 1951 e il 1980. Questo perché un trentennio davvero non può essere preso a riferimento per un’intera era climatica come l’Olocene – argomento con cui Hansen giustifica invece la sua scelta – e perché quel trentennio in particolare è stato molto più stabile con riferimento alle temperature rispetto ai periodi immediatamente precedenti e successivi. Sempre nel nostro commento, avevamo espresso la curiosità di veder ripetuta l’analisi di Hansen con un periodo di riferimento che fosse più lungo, e quindi capace di intercettare una più ampia forchetta di variabilità pre-global warming includendo quindi anche le forti oscillazioni di temperatura delle prime decadi del secolo scorso, di cui non è nota l’origine, ma è certamente esclusa l’origine antropica.

Christy lo ha fatto, utilizzando i dati del progetto BEST, quindi, se vogliamo, anche quelli attualmente definiti più rappresentativi e meglio selezionati. Bene, il lavoro di Hansen conteneva un’affermazione per molti aspetti dirompente: nel periodo 2006-2011 la porzione di terre emerse interessata da anomalie termiche positive molto accentuate (oltre tre deviazioni standard) sarebbe passata rispetto al periodo 1951-1980 dall’1 al 10%. Cambiando il periodo di riferimento, includendo cioè una più ampia forchetta di variabilità (anche e soprattutto non forzata antropicamente) e valutando il solo segnale riferito alle temperature massime, la percentuale torna a scendere clamorosamente. E la stessa cosa accade mantenendo lo stesso periodo ma analizzando solo le Tmax.

Insomma, se si considera un periodo più ampio e ci si concentra sulle Tmax, non sembra che la distribuzione spaziale degli eventi di forti anomalie positive della temperatura abbiano occupato più “spazio” di quanto non accadesse in passato.

Per cui, per tornare al nostro titolo, il Global Warming, una parte di esso è probabilmente dovuta all’accrescimento dei gas serra, ma dal punto di vista quantitativo i dati vengono normalmente analizzati in modo sbagliato, errore da cui risulta una sovrastima di questo effetto antropico, che è invece molto più evidente quando si parla di dati che portano la firma inequivocabile della modifica delle condizioni a contorno dei punti di osservazione. Attività pesantemente antropica anche questa, ma certamente non di ampiezza “globale”. Quanto poi alla variazione della distribuzione statistica degli eventi di caldo estremo, come abbiamo visto l’analisi di Hansen è “accuratamente” condizionata dalla scelta del periodo di riferimento. Non esattamente il massimo mi pare.

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Published inAttualitàClimatologia

8 Comments

  1. Claudio Costa

    Criticando su CA questa ricerca d Hansne la Coyaud bontà sua dice che sbaglio perchè

    “a proposito di un paper che parla della la variabilità climatica attuale “percepita dal pubblico” lei tira in ballo il periodo medievale”

    eppure scrivo:

    “Aggiungo io che se anzichè i 30 anni freddi (1951 9180) Hansen avesse preso i 30 anni più caldi del periodo caldo medioevale non avrebbe ottenuto nessun segnale di aumento di probabilità di eventi estremi
    …….quindi che il segnale fatto emergere da Hansen con il confronto di 30 anni più freddi di ora ( e con meno variabilità che è un dato di fatto) non è affatto inusuale e manco per niente antropico. Solo che le forzanti che hanno determinato il periodo caldo medioevale non sono ancora state considerate anche se è emerso che la forzante solare indiretta è pari al 60% di quella da CO2 e le due cose non sono compatibili, delle due una è molto sbagliata, solo che la forzante del CO2 nono spiega nulla del clima degli ultimi 1000 anni mentre la forzante solare indiretta si.”

    Ormai non mi stupisce neanche più

  2. carmelo

    Scusate, ma per capire meglio vorrei fare un passo indietro: non si è sempre detto, in questo blog, che è tutta da dimostrare la teoria secondo cui l’aumento della CO2 provochi un aumento delle T, e che semmai è più plausibile l’esatto contrario (parlo ovviamente a livello planetario), come sostenuto da molti scienziati? inoltre, cosa c’entra la CO2 prodotta nei centri urbani con l’effetto isola di calore e quindi con l’Urban Warming? questo è dovuto all’assorbimento (e successivo rilascio) di calore da parte degli edifici e delle strade, all’emissione di calore dei motori termici (auto, bus ecc.), delle centrali termiche, delle caldaie domestiche, dei condizionatori, delle cucine…E se si parla di inquinamento, la CO2 non può essere certo considerata una sostanza inquinante, come invece certamente lo sono l’ossido di azoto, l’ozono o le polveri sottili. Grazie a chi mi vorrà rispondere.
    carmelo

    • Carmelo,
      credo ci sia da fare un po’ d’ordine. Che la relazione tra CO2 e T esista é assodato. Non credo che tu possa aver letto nulla di diverso su queste pagine. Una relazione che se riferita (no feedback) alla sola CO2 é logaritmica, cioè, più aumenta il gas, meno forte é l’effetto sulla T, perché si satura la banda disponibile all’assorbimento. Questo significa che per un ipotetico raddoppio della CO2 é possibile (sempre no feedback) un aumento di circa un grado di Tmedia globale.
      Nessuno in questo post e tantomeno Christy nei suoi ha parlato di CO2 urbana o di inquinamento. Quello di cui si parla é l’effetto di alterazione delle condizioni a contorno dei punti di misura, che é molto maggiore sulle Tmin perché queste hanno una forte componente locale, essendo riferite allo strato atmosferico molto sottile che si forma di notte in assenza di dinamiche di rimescolamento. Dato che Tmedia= Tmin più Tmax / 2, se le minime aumentano di più per effetti locali, anche le medie subiranno un bias. Infatti usando solo le Tmax (che crescono meno e lo provala diminuzione delle frost night e l’aumento delle notti calde) il calcolo fatto da Hansen é ridimensionato, per non dire proprio annullato usando un dataset di riferimento più lungo e più rappresentativo.
      Spero di essermi spiegato.
      gg

    • carmelo

      grazie mille per la spiegazione.
      carmelo

  3. Claudio Costa

    @ Guido
    Mannaggia alla mia ignoranza ma io questo effetto serra ancora non l’ho compreso bene. Scusa in anticipo non voglio essere pedante, ma verificare solo ciò che mi sembra di aver capito.

    Scrivi: “La temperatura minima notturna è infatti rappresentativa di uno strato molto sottile della troposfera di poche decine di metri immediatamente a contatto con il suolo. Uno strato che molto spesso risulta essere completamente isolato dall’aria soprastante, dove è lecito attendersi gli effetti più incisivi dell’azione di contenimento del calore operato dai gas serra.”

    E’ lecito aspettarsi che gli strati della media e alta troposfera siano interessati non dall’effetto serraatmosferico, ma dall’effetto serra antropico, che è cosa diversa, perchè presuppone che ad un aumento dei gas climalteranti aumenti la capacità di ritenere radiazioni proprio in media e alta troposfera perchè più in basso i cìgas sono saturati. Mentre io l’effetto serra atmosferico me lo aspetto più nella bassa troposfera. o No?

    scrivi: con il risultato di far ovviamente aumentare anche le temperature medie, mescolando però l’eventuale segnale di riscaldamento dovuto ai gas serra con quello molto più significativo della modifica delle condizioni a contorno dei punti di osservazione, effetto quest’ultimo di cui le temperature minime risentono molto di più perchè come detto sono rappresentative di uno strato atmosferico molto ristretto e quindi molto più sensibile.”

    anche qui non mi torna se non con l’aggiunta di antropici a gas serra. O no?

    quali sono le condizioni di contorno che cambierebbero determinando l’aumento delle T notturne?

    • Claudio, Christy non distingue tra effetto serra antropico e non. E fa bene! Il suo discorso è riferito allo strato atmosferico ove è misurabile. Leggi il commento di Luigi.
      gg

    • claudio

      OK non c’era ancora il messaggi di Luigi e poi ho letto Chrsty e dice che le minime sono i dati più sensibili alle isole di calore che quindi sono le condizioni di contorno

  4. Luigi Mariani

    Caro Guido,
    Se ho ben capito con riferimento alla figura 2.1 la consistente differenza fra la curva ottenuta da Hansen per Tmed (incremento % dei valori che eccedono le 3 deviazioni standard rispetto al periodo di riferimento 1951-1980) e le tre curve ottenute da Christy (incremento % dei valori che eccedono le 3 deviazioni standard rispetto ai tre periodi di riferimento 1931-80, 1951-80 e 1931-2010) è tutta da attribuire ad effetti locali che incidono sulla temperatura minima e non sulla massima.
    Inoltre noto che più si ampia la lunghezza della serie di riferimento (da 1951-80 a 1931-2010) più la percentuale di aumento degli eventi fuori di oltre 3 deviazioni standard si riduce, il che ci fa pensare che se ragionassimo su serie ancora più lunghe l’anomalia sparirebbe del tutto.
    Questo ci dice che l’effetto dell’Urban Warming UW è grossomodo quadruplo rispetto a quello del Global Warming il che, in un mondo perfetto, dovrebbe spingere i decisori ad investire nella lotta all’UW quattro volte quel che si investe nella lotta al GW…
    Purtroppo il nostro non è un mondo perfetto per cui, mentre i governi sono impegnati nel salvataggio del pianeta, l’Urban Warming dilaga, con gravissimi danni alla salute dei cittadini di cui nessun giudice si preoccuperà mai.
    Ancora una volta complimenti a Christy perché mette il dito nella piaga ed a te che hai saputo cogliere nei giusti termini la notizia. Bene fai anche a ricordare che la CO2 è un gas serra (pesa per il 15-20% sull’effetto serra complessivo del pianeta terra) e dunque non può in alcun modo essere considerata ininfluente sul clima, anche se resta tuttora da dimostrare che i suoi effetti siano catastrofici.
    Circa poi Hansen, il suo approccio è inguaribilmente ideologico, e qui concludo.

    Luigi

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