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Siccità d’Egitto

Venerdì 24 agosto sono incappato per ben due volte in notizie giornalistiche a sfondo catastrofico basate sull’articolo di Bernhardt et al., 2012 “Nile Delta vegetation response to Holocene climate variability”, pubblicato nel luglio scorso sulla rivista Geology.

La prima  era una notizia di coda del Giornale Radio RAI delle ore 6  (qui dal minuto 08:55) che gossomodo diceva quanto segue: La civiltà egizia delle piramidi fu distrutta da una grande siccità accaduta circa 4000 anni orsono. Questa notizia è una magra consolazione di fronte al caldo di quest’estate…  -> in sostanza mi è parso che in modo non particolarmente elegante si volesse dare ad intendere che anche noi stiamo per fare la fine degli egizi (forse ero troppo addormentato per capire ma ad ogni buon conto ho subito toccato ferro…).

La seconda è l’articolo apparso venerdì stesso a pagina 29 del Corriere della sera a firma di Giovanni Caprara (a cui evidentemente si erano ispirati i giornalisti RAI per il loro “scoop”) dall’eloquente titolo “Il mito distrutto dal clima. Fu un improvviso caldo torrido a far crollare il regno egizio. Così finì il tempo delle piramidi”.

Nile Delta vegetation response to Holocene climate variability – Bernhardt et al., Geology, luglio 2012

Per chiarirmi un poco le idee sono andato a leggermi l’articolo originale che in complesso mi è parso interessante, scritto bene ed in modo assai conciso. Esso fa riferimento ad analisi compiute su una “carota” di 27.5 metri  prelevata nel 1989 dalla laguna costiera Burullus, sita nel delta del Nilo.

Più in particolare analizzando i residui carboniosi (che secondo l’idea degli autori starebbero ad indicare il verificarsi d’incendi a seguito di siccità) ed i pollini di piperacee (piante di solito amanti dell’umidità), gli autori giungono a mettere in luce i quattro seguenti eventi siccitosi che avrebbero colpito il delta del Nilo:

  1. l’evento del 6000-5500 BP, che coincide con la fine del “Periodo umido africano”
  2. l’evento del 5000 BP, strascico del periodo 1
  3. l’evento di 4200 BP che coincide con la transizione fra Antico Regno e Medio Regno
  4. l’evento di 3000 BP che coincide con l’arrivo del Popoli del mare, che misero a “ferro e fuoco” l’Egitto e furono sconfitti dal faraone.

Per quanto riguarda l’evento del 6000-5500 è curioso rilevare che gli autori dicono che “may not have had as broad a cultural impact” (potrebbe non avere avuto un esteso impatto culturale) il che mi pare quantomeno difficile da sostenere. Infatti, a quanto risulta da una vastissima bibliografia, fino alla fine del “Periodo umido africano” il Nord Africa era ricco di vegetazione e di fauna selvatica e l’agricoltura vi prosperava. Fu proprio con la fine di tale fase umida che i popoli colpiti dalla siccità furono costretti a concentrarsi nelle vicinanze del Nilo dando luogo alla grande civiltà egizia, il che mi pare un impatto culturale enorme!

Circa l’evento del 5000 BP non ho invece molto da dire se non ipotizzare che possa essere considerato come uno strascico della fase di aridificazione del 6000-5500 BP.

Per quanto riguarda poi l’evento del 4200 BP, potremmo dire che non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Infatti leggendo i testi di storia egizia (ad esempio Grimal, 1990) si coglie che fra la fine dell’Antico Regno e l’inizio del Medio Regno è presente un periodo di circa 150 anni, grossomodo compreso fra il 2200 ed il 2050 a.C., che viene oggi indicato come Primo periodo intermedio e che fu contrassegnato da tumulti ed instabilità politica. Quali le cause che determinarono tale periodo? L’ipotesi della causa climatica (una grande siccità) è sul campo da tempo e ad esempio  ne parla Barbara Bell in un suo lavoro del 1971.

Dell’evento di 3000 BP ci parla infine con dovizia di particolari Rhys Carpenter nel suo “Clima e storia” (1969), associandolo a tutta una serie di eventi che si verificano nel bacino del mediterraneo (es: crollo della civiltà Micenea e Ittita, attacchi dei Popoli del mare, comparsa degli Etruschi sulle coste italiane). A questi eventi aggiungo io la fine della civiltà delle terramare nel nord Italia.

Mi preme infine fare il seguente appunto rispetto al lavoro di Bernhardt et al. ed è quello relativo all’uso di tracce carboniose come marcatori di incendi conseguenza della siccità. Un tale uso non mi convince fino in fondo in quanto sappiamo che i popoli mediterranei usano da millenni l’abbruciatura delle stoppie per liberare i campi in vista delle nuove semine di cereali, abbruciatura che produrrà più residui carboniosi se svolta in presenza di molta paglia, cioè in anni di “vacche grasse”, poiché molta paglia in genere coincide con molta granella. Per inciso si tenga anche conto che in epoca egizia furono per la prima volta sfruttati in modo intensivo i frumenti a 28 cromosomi (es. il grano duro Triticum durum L.) che garantivano rese assai più elevate dei frumenti a 14 cromosomi e dunque anche più paglia. In sostanza temo che i residui carboniosi potrebbero prestarsi ad un’interpretazione alquanto diversa da quella proposta da Bernhardt et al.

Concludo rilevando che in campo scientifico attingere direttamente alle fonti dà modo di avere una messe d’informazioni assai più ricca di quella cui è possibile accedere con l’intermediazione dei media, i quali sono non di rado responsabili non solo di letture affettate ma anche di interpretazioni deformate dai preconcetti ideologici di chi scrive. Ciò mi spinge a rilevare che esisterebbe oggi un enorme spazio per una divulgazione corretta e non ideologica svolta a partire dalla vasta messe di lavori scientifici che ogni anno viene prodotta.

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Bibliografia

  • Bell B., 1971. The dark ages in the ancient history, I, The first dark age in Egypt, AJA (http://www.gizapyramids.org/pdf%20library/bell_aja_75_1971.pdf)
  • Bernhardt C. E., Horton B.., Stanley J.D., 2012. Nile Delta vegetation response to Holocene climate variability, Geology, July 2012, 615-618.
  • Grimal N., 1990. Storia dell’Antico Egitto, Laterza.
  • Rhys Carpenter, 1969. Clima e storia, Einaudi, 102 pp.
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Published inAttualitàClimatologia

15 Comments

  1. E io che pensavo che l’acqua che tiene il Delta del Nilo fertile venisse dal fiume? A meno che non stiano parlando di siccità intorno al Lago Vittoria?

    • Luigi Mariani

      Maurizio,
      grazie per la segnalazione che mi dà modo di poter in luce un punto dell’articolo che non avevo evidenziato nel post.
      In effetti il calo del polline di ciperacee e l’aumento dei residui carboniosi sono effetti locali (meso e microscala) che tuttavia secondo gli autori deriverebbero da un minor apporto idrico del Nilo al delta, a sua volta frutto delle minori piogge che alimentano il Nilo in area subequatoriale.
      Pertanto come causa delle siccità viene invocata la circolazione generale e dunque un effetto di macroscala così esplicitato dagli autori (traduco per i non albionici): il decremento di portata del Nilo è conseguenza della decrescita della radiazione solare nell’emisfero Nord che si traduce in una posizione più meridionale della zona di convergenza intertropicale – ITCZ (Krom et al., 2002). I record lacustri (Lamb et al., 2007) e offshore confermano che questo pattern indebolirebbe il monsone riducendo la piovosità sul plateau etiopico e di conseguenza la portata del Nilo.

    • Luigi,
      il tuo riferimento alla posizione più meridionale dell’ITCZ e all’intensità del monsone africano mi fa tornare in mente quanto accennato nel post “Uno stentato ritorno alla vita”, in cui ho scritto della teleconnessione tra l’intensità del monsone indiano e la posizione della linea di convergenza intertropicale che, se più settentrionale, favorisce le incursioni dell’anticiclone africano sul Mediterraneo. I due monsoni sarebbero infatti in controfase. Gli eventi siccitosi cui fai riferimento in questo post, se connessi all’attività solare, corrisponderebbero a fasi di segno opposto per le nostre latitudini. Sarebbe interessante poter verificare se effettivamente ci sia questa corrispondenza, stante che abbiamo forti indizi che una attività solare scarsa abbia effetti molto tangibili sui pattern circolatori dell’area euro-atlantica. Su questi argomenti ho letto di recente un papero interessante che cercherò di commentare quanto prima.
      gg

    • donato

      Per quel che riguarda l’influenza del sole (dell’insolazione, per la precisione), seguendo il link di L. Mariani alla rivista Geology, mi sono imbattuto in un articolo di E. Anders Carlson riferito al periodo freddo che caratterizzò lo Younger Dryas:
      http://geology.gsapubs.org/content/38/4/383.full?sid=1a660c71-f146-420c-a828-9be2edc130a6
      E. A. Carlson, in questo articolo, analizza le origini del periodo freddo dello Younger Dryas e fa notare che quelli che vengono considerati gli eventi scatenanti più probabili, da soli, non sarebbero riusciti a generare una situazione climatica di durata ultra millennaria. L’esplosione di un bolide (un nucleo cometario, in particolare) nell’atmosfera, per esempio, avrebbe provocato un breve cambio delle condizioni climatiche in assenza di una forzante di natura diversa. Tale forzante è stata individuata da Carlson nella variazione di insolazione nell’emisfero boreale che, partendo da un evento catastrofico istantaneo, avrebbe consentito una duratura variazione delle condizioni climatiche globali agendo proprio sui pattern circolatori atmosferici e, successivamente, su quelli oceanici.
      Ancora una conferma dell’influenza del Sole sul sistema climatico globale e della sensibilità di tale sistema nei riguardi dei cambiamenti di circolazione atmosferica nell’emisfero boreale. In altre parole i casi illustrati nei loro post da L. Mariani e da G. Guidi e quello cui si riferisce l’articolo di Carlson, sono esemplificativi dell’importanza che riveste la comprensione dei meccanismi che determinano le modifiche della circolazione atmosferica a media e grande scala, per capire l’evoluzione climatica futura del nostro pianeta.
      Ciao, Donato.

    • Filippo Turturici

      Ma infatti, i periodi secchi africani non coincidono, grossomodo, con fasi di raffreddamento climatico, e viceversa quelli umidi con fasi climatiche più calde? (A scanso di equivoci, non intendo siccità temporanee e/o localizzate, ma variazioni sensibili e persistenti su scala continentale)

    • claudio

      mah durante il periodo del Sahara verde 6000 anni fa pioveva in molte zone del sahara ora deserte dove vivevano ippopotami zebre e coccodrilli

  2. claudio

    anche altre piaghe d’Egitoo come le ulcere su uomini e animali e le invasioni di rane si potrebbero correlare a siccità protratte, per la mancanza dei carotinoidi degli ortaggi freschi le prime e per concentrazione in poca acqua le seconde.

  3. claudio

    molto interessante anche perchè le siccità innescano altre piaghe d’egitto narrate come leggende nella bibbia ma che probabilmente avevano un fondo di verità cioè la moria del bestiame e le grandi migrazioni verso le aree con acqua cioè le terre nilotiche di mosconi zanzare e locuste in cerca di cibo

    • Luigi Mariani

      Il racconto biblico in effetti racconta delle “dieci piaghe d’Egitto” come un castigo divino. Non è escluso che le piaghe siano da associare ad un grande evento siccitoso (magari a quello di 3000 anni BP).

  4. Paolo da Genova

    Cosa vogliono dire le lettere “BP” del testo “5000 BP”? Grazie in anticipo.

    • Luigi Mariani

      BP sta per Before Present e cioè anni orsono.

  5. Guido Botteri

    Gli Egizi avevano la deleteria consuetudine di seppellire coi loro faraoni le loro ricchezze. Pensate al grandioso tesoro trovato con Tutankhamon, un faraone, la cui tomba sfuggì ai ladri proprio per la sua importanza minore.
    C’è quindi da pensare che le tombe di faraoni più importanti, come Ramses II o Tutmosis III, fossero davvero incredibilmente ricche. Tutte ricchezze tolte al popolo egizio e finite in mano ai ladri.
    Io credo che questa continua eliminazione di grandi ricchezze (probabilmente anche ricchi dignitari facevano qualcosa di simile) abbia alla lunga impoverito il ricchissimo Egizio a beneficio dei suoi nemici.
    Che la natura contribuisca alla storia, posso essere d’accordo, ma la natura c’è, uguale, per vincitori e vinti, e quindi credo che la Storia cammini principalmente sulla base di altre cause.
    Pensate all’attuale situazione politica, nella decadente Italia, per esempio, o in Cina. Cosa ha determinato il successo attuale della Cina, il clima, forse… ? Non mi pare proprio.
    Cosa ha trasformato l’Italia del boom economico in questa Italia autoflagellante che si autodistrugge industrie e possibilità economiche ? Il clima, forse ? Non mi pare proprio.
    E qui mi fermo, perché non voglio fare un discorso politico, ma solo di scienza.

    • A. de Orleans-B.

      Un precursore del ragionamento del Dr. Botteri è il Prof. Mancur Olson, che nel suo libro “Power and Prosperity” riflette come, al tempo dei nomadi esistessero anche dei banditi nomadi.

      “Inventata” l’agricoltura che creò un surplus di capitale da investire, molti nomadi divennero stazionari e costruirono villaggi protetti da palizzate — obbligando i banditi nomadi a penetrarvi, tentando di trasformarsi a loro volta in “banditi stazionari”.

      Questi ultimi dovettero affrontare un problema del tutto nuovo, quello della sostenibilità delle loro azioni, dato che un eccesso di depredazione delle rispettive comunità stazionarie li condannava a perire assieme alle loro vittime.

      Afferma Mancur Olson: quei banditi stazionari che risolsero con successo il problema della sostenibilità delle loro azioni iniziarono a chiamarsi “re”…

    • Luigi Mariani

      Non so, siamo di fronte a contesti storici e culturali tanto diversi che tenare paralleli è a mio avviso proibitivo. In particolare si noti che nelle grandi società monumentali (penso anche alle civiltà del Tigri e dell’Eufrate) il concetto di autorità che prendeva le mosse da un mandato divino era elemento cruciale per cui non me la sentirei proprio di ridurre il tutto al faraone che derubava i poveri egizi.
      Quel che mi ha sempre colpito della civiltà egizia è da un lato il senso del sacro che caratterizzò questo popolo e dall’altro la grandissima capacità innovativa che si sostanziava ad esempio in una geometria molto avanzata (si pensi alla necessità di ri-delimitare i campi dopo ogni piena del Nilo) in un’ingegneria di prim’ordine (si pensi alle piramidi) ed in una agronomia estremamente innovativa (in grado, lo ripeto di grandi innovazioni nel campo delle varietà e delle agrotecniche). Tutta questa innovatività era in qualche modo legata all’autorità del faraone senza la quale il sistema sarebbe andato in stallo (cosa del resto accaduta più volte nelle fasi di decadenza).

    • Guido Botteri

      Scanso equivoci, io parlavo dei ladri che ripulivano le tombe dei faraoni.
      Immense ricchezze sono state nascoste (non abbastanza bene) nelle piramidi e depredate poi dai ladri, impoverendo l’Egitto.

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