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Risorse alimentari, un nuovo approfondimento

Giorni addietro vi abbiamo anticipato la possibilità di una crisi alimentare di proporzioni preoccupanti, dovuta principalmente all’aumento improvviso e consistente dei prezzi delle materie prime alimentari. Questo picco nei prezzi trova la propria causa anche nelle devastanti ondate di siccità che hanno colpito gli Stati Uniti d’America. Come abbiamo spiegato precedentemente i paesi maggiormente esposti a questo shock dei prezzi sono quei paesi in cui la spesa alimentare assorbe la maggior parte del reddito. Un aumento del 10% della spesa alimentare impatta in modo molto diverso nel caso in cui spendiate abitualmente il 30% del vostro reddito in alimenti. Avrà un impatto completamente diverso se, invece, la vostra spesa abituale assorbe fino all’80%. E incidentalmente sono proprio i paesi in via di sviluppo che spendono la quota maggiore del reddito pro capite per avere accesso ai beni di sussistenza. Questa nuova ondata di rincari vede di nuovo in pericolo i paesi del Medio Oriente e dell’Africa Sub-Sahariana.

Attenzione, non stiamo parlando dell’impossibilità di inviare aiuti alimentari ai paesi più bisognosi, stiamo parlando di un regolare accesso al mercato internazionale delle materie prime. Grano, soia, granoturco vengono regolarmente acquistati ed importati al prezzo concordato secondo le normali regole di mercato. Mi sembra opportuno sottolineare questo passaggio in quanto nel precedente articolo erano apparsi dei commenti che confondevano l’accesso alle materie prime alimentari, con i sussidi elargiti dai paesi industrializzati ai paesi più arretrati. Qui parliamo di regolare accesso ai mercati, pagando moneta sonante. Se andassimo a disaggregare la bilancia commerciale di questi paesi (prendetene uno a caso della fascia del Sahel), vedremmo che il reddito pro – capite (quindi a maggior ragione a livello di domanda aggregata) è assorbito quasi totalmente dall’acquisto dei beni di sussistenza. A livello macroeconomico, questi paesi hanno davvero poche frecce per il loro arco: non potendo in alcun modo mettere in campo una politica fiscale efficace, d’altro canto non possono costruire nessun meccanismo di protezione per i propri cittadini. In altre parole, non avendo alcuna leva fiscale non vi è modo di erogare sussidi interni volti a calmierare i prezzi. Altro che accesso alle materie prime. Questi paesi sono in balia dei capricci del tempo, dei mercati finanziari e di quei personaggi davvero poco lungimiranti che utilizzano il cibo per fare bio-carburanti.

E vorrei ritornare proprio tornare su questo punto. In questi giorni FAO ed Oxfam stanno agitando l’ennesima campagna demonizzatrice contro i cambiamenti climatici, colpevoli unici a loro dire della situazione attuale dei prezzi alimentari. E’ davvero singolare che nel suo ultimo Food Price Watch Report, la World Bank affermi che questo aumento di prezzo è costante ed antecedente i trend stagionali e i raccolti deludenti.

La World Bank, senza mezzi termini, punta il dito contro la produzione di biofuel, indicandola come causa principale dell’aumento del prezzo del granoturco. Ricordo ai nostri lettori che il principale produttore mondiale di granoturco (gli USA), ormai dirotta ben il 40% del proprio prodotto verso il biofuel. Pare che anche la FAO abbia timidamente approcciato il problema ma, come vedremo più avanti, è caduta in una sconveniente contraddizione.

Da un punto di vista prettamente economico, il fatto che i prezzi del granoturco si infiammino per le cause appena viste, si determina un effetto trascinamento sulle altre materie prime alimentari. Chi deve necessariamente accedere alla produzione di granoturco, ma ne è tagliato fuori per motivi di prezzo, si rivolgerà a suoi sostituti, per esempio proprio il grano. E da qui un effetto a cascata che piano piano porta al rialzo tutte le materie prime.

Colgo l’occasione per aggiornarvi sull’andamento dei prezzi. Se luglio si è chiuso in modo critico, con un aumento netto del 10%, il mese di agosto ha registrato una generale stabilità dei prezzi. Questa è una buona notizia, non c’è stato il tanto temuto “sfondamento” dei valori registrati nel 2008, che diede il “La” ad una serie di rivolte popolari sfociate nel 2010/2011 nella ormai famosa Primavera Araba. A questo si aggiunga che siamo sempre in attesa del raccolto di riso in Estremo Oriente, ovviamente i dati consolidati arriveranno tra un mese e mezzo circa, tuttavia le prime stime parlano di una produzione sufficiente a contenerne il prezzo o addirittura a farlo calare di qualche punto percentuale. Insomma, come ci eravamo augurati nel precedente articolo, forse questa volta ce la facciamo a evitare una crisi alimentare di proporzioni colossali. Nonostante la siccità. E sì, perchè come vi anticipavo poco sopra, la FAO è caduta in una evidente e sconveniente contraddizione. Attraverso le parole del proprio Direttore Generale, Jose Graziano da Silva, ci fanno sapere che l’aumento dei prezzi è totalmente colpa della siccità. Fine, ci siamo completamente dimenticati di tutti i buoni propositi sulla riduzione dei biofuel.

Contemporaneamente arriva Oxfam con un suo nuovo studio e ci fa sapere che nei prossimi 20 anni il prezzo del cibo potrebbe addirittura raddoppiare, a causa dei cambiamenti climatici. Ci risiamo, il messaggio subliminale è: moriremo tutti (bruciati) e pure affamati. Uragani, siccità and so on and so forth…

Ma lo studio procede e in modo assolutamente prevedibile si afferma che i cambiamenti climatici, in realtà, insistono solo su una quota che va da un terzo a metà dell’aumento dei prezzi. Sono proprio i fenomeni estremi, invece, ad avere l’influenza maggiore su tale aumento. L’equazione di Oxfam è semplice:

[…] extreme weather means extreme food prices.

Ovvero, un clima estremo porta a prezzi estremi delle materie alimentari. Figuriamoci con un aumento previsto tra i 2,5°C e i 5°C, come previsto dall’IPCC (non sono parole mie, ma di Oxfam).

E dopo tutto questo climax, Oxfam mette a segno il suo scacco matto. Lo studio, infatti, avverte che per i più poveri il pericolo non arriva da un aumento graduale dei prezzi, infatti possono in qualche modo adeguarsi. Il pericolo arriva dai picchi improvvisi nei prezzi. E non c’è via di scampo, perchè i picchi di breve termine sono causati dagli eventi estremi, mentre gli aumenti graduali di lungo termine dai cambiamenti climatici. Amici miei, non c’è scampo.

Quanto detto pochi giorni orsono da Oxfam non solo smentisce le proprie affermazioni, fatte ad agosto, ma anche quelle della FAO. A ciò si aggiunga che sono in netto contrasto con quanto emerge dallo studio della World Bank. Gli aumenti dei prezzi delle materie prime sono chiari e limpidi e antecedenti a guerre, cambiamenti climatici di lungo e di breve termine. In altre parole, le componenti che destabilizzano il mercato dei prezzi sono due: speculazione e sottrazione dei terreni alimentari per produzioni alternative (biofuel). E’ chiaro a tutti noi, ovviamente, che come accade dall’alba dei tempi, il tempo meteorologico influenza l’andamento dei raccolti. Questa componente è quasi rumore di fondo in un mondo tecnologicamente avanzato e globalizzato come il nostro. E’ molto più impattante una politica protezionistica come quella adottata dalla Russia in occasione della heat wave del 2010, rispetto alla heat wave stessa.

Ad ogni modo, per il momento restiamo in attesa dei dati sui raccolti di riso e auguriamoci che siano abbondanti come sembra.

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Published inAmbienteAttualità

3 Comments

  1. Veramente da Silva dalle pagine del FT ha chiesto espressamente di smetterla di produrre mais per i biocarburanti e di convertire le colture per l’alimentazione animale e umana. Mi pare siano coscienti del problema.

    Gent.ma Marina, mi pare che nel mio articolo si parli di “evidente contraddizione” di da Silva. E per contraddirsi, chiaramente, avrà detto l’una e l’altra cosa (biocarburanti e climate change). Quest’ultima, però, ha finito per oscurare la prima.
    FMcG.

  2. Claudio Costa

    eppure sui mercati italiani serpeggia una paura che non ho mai visto, non tanto quella di un prezzo elevato, ma la paura di non trovare mais e soia sul mercato, usare il grano come succedaneo del mais è una follia, costa molto di più e ce n’è molto meno sul mercato, vere alternative alla soai non ci sono si può ripiegare sul girasole ma ce n’è poco e vale poco come proteina.
    La coldiretti dice che la FAO ha messo in discussioen la produzione di biocarburanti (ricordo che c’è anche la bioenergia che tutti scordano biogas con silomais e cippato di pioppo coltivato dove si faceva mais o grano.

    http://www2.coldiretti.it/News/Pagine/640-%E2%80%93-14-Agosto-2012.aspx

    spero in allarmi infondati, di sicuro ci sarò però un rialzo dei prezzi.

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