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Clima e risorse alimentari: cum grano salis

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Una breve introduzione.

Nelle ultime settimane abbiamo aperto un thread che sta diventando molto articolato. Nel proseguire la nostra ricerca della trasposizione nella realtà delle dinamiche passate, presenti e soprattutto future del clima, abbiamo pubblicato diversi post sulla relazione tra le oscillazioni climatiche di breve, medio e lungo periodo e le dinamiche delle oscillazioni dei prezzi e della disponibilità di risorse alimentari primarie, cui contribuiscono non poco quelle politiche di presunta mitigazione climatica che stanno spostando il business della coltivazione dalla produzione di cibo a quella di biocarburanti.

Tutto questo si inquadra in quel contesto di catastrofismo dilagante secondo il quale ogni pioggia è un problema, ogni siccità è una catastrofe e, naturalmente, ogni forma che questi eventi atmosferici e climatici dovessero assumere in futuro, porrà enormi difficoltà ove non addirittura problemi insolubili all’umanità, con i più deboli, come sempre, a pagare il prezzo più alto.

Abbiamo iniziato con il post “L’insostenibile leggerezza del calcolo“, in cui senza mezzi termini si chiariva il fatto che la fame nel mondo, parola della FAO, è un problema di distribuzione e quindi accesso alle risorse, non di disponibilità delle stesse in valore assoluto. A seguire tre post più mirati alla relazione pane-clima, “Per un pugno di pop corn“, “Sull’orlo del disastro” e “Risorse alimentari, un nuovo approfondimento“.

Con sorpresa e non poca soddisfazione, abbiamo avuto il piacere di ascoltare le nostre tesi, non sappiamo se solo per condivisione delle fonti o per aver attinto direttamente alle nostre pagine, nel corso della trasmissione “Focus Economia” condotta da Sebastiano Barisoni su Radio24 (qui il podcast), in un approfondimento sulla speculazione finanziaria in atto in questi mesi proprio sulle risorse alimentari primarie.

A completare il quadro, ma non certo a chiudere il discorso, un commento molto interessante scritto sull’ultimo dei nostri post dal Dott. Benedetto Rocchi, ricercatore dell’Università di Firenze. Nella convinzione che quanto aggiunto in quella sede debba avere massima visibilità, ho chiesto ed ottenuto il permesso dal Dott. Rocchi di pubblicare il suo commento in forma di post.

Lo trovate qui di seguito, buona lettura.

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L’equazione eventi meteorologici estremi = variazioni dei prezzi estremi che usa Oxfam è ovviamente semplicistica, il che non stupisce dato l’orientamento sempre abbastanza ideologico dei suoi studi.

Alcune considerazioni:

  • L’inversione del trend globale dei prezzi alimentari a cui stiamo assistendo dopo decenni di diminuzione tendenziale in termini reali è dovuta ad un complesso di fattori sia congiunturali che strutturali.
  • Tra quelli strutturali l’ipotesi prevalente tra gli specialisti è l’incremento tendenziale della domanda nelle grandi economie emergenti a fronte di un non altrettanto rapido adattamento dell’offerta (si parla di insufficienti investimenti in tecnologie agricole e di non razionale sfruttamento delle risorse agricole disponibili);
  • Esiste anche un impatto di trascinamento nel prezzo delle materie prime energetiche (prezzo del petrolio) che nel breve periodo sta incidendo significativamente: tutto da dimostrare se si tratti di una tendenza di lungo periodo o se piuttosto non incidano sopratutto fattori di instabilità geopolitica e le turbolenze sui mercati finanziari.
  • La competizione delle colture non food nell’uso delle superfici agricole è quasi completamente policy-driven e quindi potrebbe essere rimossa “facilmente” (metto tra virgolette perchè ovviamente l’esistenza di sussidi così impattanti richiede un certo tempo per essere eliminata anche solo per il processo politico necessario, la PAC insegna).
  • L’andamento sfavorevole di alcune annate agrarie in paesi grandi produttori ha sicuramente avuto un impatto sui prezzi, ma questo è stato esacerbato dal fatto che le scorte a livello mondiale sono scese a livelli più bassi rispetto al passato perchè da almeno un paio di decenni i grandi produttori hanno perseguito una politica di riduzione delle eccedenze produttive (anche qui PAC docet); in passato la presenza di scorte elevate (generate anche da politiche distorsive) creava un effetto buffer che limitava l’impatto di breve periodo dei cattivi andamenti stagionali sui prezzi; più che introdurre nuovamente il sostegno dei prezzi di una volta è necessario definire nuove politiche di riduzione del rischio alimentare a livello sovranazionale nell’ambito delle quali ci sarebbe spazio anche per incentivi “accoppiati” (più produci più prendi) finalizzati a ripristinare un livello ottimale di scorte.

In conclusione: è chiaro che l’andamento stagionale ha sempre un forte impatto sui prezzi nei mercati agricoli e sempre lo avrà: il rischio meteorologico è aspetto caratterizzante della produzione agricola e la domanda alimentare, sopratutto nel brevissimo perido è rigida; però tutto questo ha a che fare con la variabilità dei prezzi agricoli più che con il loro trend di lungo periodo; paradossalmente anche in un ipotetico scenario fantaclimatico in cui aumentassero gli eventi estremi, con adeguate politiche di incremento della produttività e di riduzione del rischio alimentare potremmo immaginare una stabilizzazione del trend e gestire meglio l’instabilità dei prezzi nel breve periodo. Senza bisogno di spendere soldi per far finta di “mitigare” il cambiamento climatico sovvenzionando l’industria americana dell’etanolo e quella cinese dei pannelli solari.

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Published inAttualitàEconomiaVoce dei lettori

Un commento

  1. Guido Botteri

    Personalmente penso che i problemi alimentari, drammatici nel passato, come ci conferma la letteratura, piena, una volta, di personaggi affamati, ma come ci conferma soprattutto la storia delle carestie e della lotta secolare dell’uomo contro la fame, quando la popolazione era moolto, ma davvero moolto inferiore a quella attuale, siano attualmente aumentati a causa della politica, e non a causa del clima. Gli eventi estremi possono causare danni, è vero, ma tutti i grafici che ho visto sulle tendenze degli eventi estremi confermano che non è in atto alcuna estremizzazione. Essa è solo nella testa e nelle ipotesi di chi poi promuove politiche di decrescita, tese a produrre meno, e quindi produrre (molto) meno cibo. Non è un mistero per nessuno, e ce l’ha qui ricordato l’ottimo articolo di Benedetto Rocchi, che le politiche europee soprattutto (ma non solo), sono intese a promuovere comportamenti che non possono che acuire i problemi alimentari, come ricordava l’articolo, qui si punisce chi produce troppo (“troppo”?…con la gente che muore di fame…), si promuove la destinazione energetica a scapito di quella alimentare, e via dicendo.
    Sono anni ormai che si delinea una netta posizione dei sostenitori dell’ipotesi AGW a politiche di diminuzione della produzione alimentare (non ufficialmente, ma nei fatti), e per contro una protesta da posizioni scettiche che essenzialmente ricorda come sia il progresso a produrre più cibo.
    La posizione dei maltusiani è di riservare le risorse agli “illuminati”, privandone il resto del mondo (la popolazione dovrebbe essere ridotta a 500 milioni di “illuminati”, secondo loro), mentre la mia posizione è per il progresso, e quindi per una maggiore produzione di cibo, convinto come sono che le risorse siano qualcosa di dinamico, che dipende dalle tecnologie e quindi passibili di aumentare anche enormemente (nella preistoria le risorse consentivano di nutrire solo un milione di persone, attualmente sono migliorate di sette mila volte).
    Ci sono tantissime prove di questo, la posizione sugli OGM (non sia mai, secondo loro, ci fosse più cibo disponibile, aumenterebbe il P, cioè “popolazione”, del “CO2 =PSEC”, vedi quanto teorizzò Bill Gates), la posizione sui biocarburanti, le pressanti richieste di decrescita e via dicendo. Prove dei due atteggiamenti ce ne sono quante si vuole. Scripta manent.
    http://www.youtube.com/watch?v=YUfGZEFTZpQ
    nel quale potete vedere l’equazione (fantasiosa) CO2=PSEC
    Secondo me.

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