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Il Meteorologo non è un deficiente

Il Meteorologo non è un deficiente. Almeno non sempre. Si avvicina pericolosamente alla soglia del difetto quando si occupa di clima, ma recupera rapidamente l’intelletto se si orienta con entusiasmo all’ipotesi delle origini totalmente antropiche delle evoluzioni del clima. Se di questo orientamento fa poi una bandiera da sventolare ad ogni buona occasione mediatica – che al suddetto meteorologo di certo non mancano – può anche diventare un climatologo e smettere di essere…deficiente.

Ho copiato pari pari il titolo di questo post da un articolo che Judith Curry ha pubblicato di recente sul suo blog:

The weatherman is not a moron

Già che ci sono prima di continuare completo il lavoro copiando anche le prime due righe del suo post, che sono una citazione di Nate Silver, il cui ultimo libro è appunto oggetto dell’articolo.

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Perché i previsori meteorologici stanno avendo successo mentre altri previsori falliscono? Perché già molto tempo fa sono giunti ad accettare le imperfezioni della loro conoscenza.

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Da stampare e tenere sulla prima pagina dell’immancabile cartellina che costituisce il modulo base del kit del piccolo previsore. Seguono poi matite colorate di varia durezza, temperino e gomma da cancellare, ma questi oggetti oggi non ci servono, ci basta la frase.

Di che parliamo? Semplice, di incertezza nelle previsioni di ogni genere e di valutazione della confidenza negli strumenti di cui si dispone. Concetti imprescindibili quando si vogliono affrontare temi previsionistici di un sistema complesso e non perfettamente conosciuto e quando si deve comunicare il risultato del proprio lavoro ai fini di supporto ai decisori. Cioè, praticamente tutti i giorni.

Curiosamente mi sono imbattuto nel post della Curry subito dopo aver pubblicato qualche riflessione sulle performance delle previsioni numeriche nel recente passato e sulla comunicazione che delle indicazioni fornite da queste ultime è stata fatta a vario titolo. Nella direzione dei media così come in quella verso i decisori.

Ma in fondo non è questo che ha catturato la mia attenzione, quanto piuttosto il discorso che Judith Curry fa in calce al lungo estratto dell’articolo con cui Nate Silver anticipa l’uscita del suo libro. Mi tocca condividere appieno un’altra delle sue affermazioni: “fare una previsione è facile, il difficile arriva quando le si deve attribuire un peso in termini di incertezza”. E questo è un argomento su cui si sta riflettendo molto ultimamente nel panorama scientifico, specialmente – ma come vedremo non solo – quando più che di previsioni del tempo si parla di scenari climatici. Questi ultimi e i modelli climatici da cui scaturiscono, condividono del resto una gran parte del loro patrimonio genetico con i modelli meteorologici, strumenti che stanno conoscendo un’era di successi impensabili fino a pochi anni fa, grazie al progresso della scienza delle simulazioni deterministiche certamente, ma anche grazie all’inevitabile e oltre modo salutare quotidiano confronto con la realtà e con i propri errori.

Ma degli scenari climatici non si può certo dire la stessa cosa. Perché la sfida è diversa, le verifiche oggettive sono virtualmente impossibili e la conoscenza del sistema ancora più imperfetta, con dinamiche che hanno luogo a scala temporale molto più ampia, tanto da rendere necessario un cammino a ritroso per studiarne l’evoluzione che porta inevitabilmente in epoche delle quali si sa vermente pochissimo.

Incertezza. Racconta Nate Silver che studiando il comportamento di una selezione di meteorologi americani si è scoperto che quando prevedevano pioggia sicura al 100%, si sbagliavano per oltre i due terzi dei casi. Questo certo non depone a favore dell’eccesso di sicurezza nella comunicazione, ma tutto sommato non è grave. Molto più grave è il secondo degli aneddoti che propone, il caso di una previsione di innalzamento del livello di un fiume talmente precisa a risultare appena al di sotto della soglia di rischio. E’ stato sufficiente che la realtà superasse appena del 10% la quota prevista per provocare un disastro che colse di sorpresa in modo tragico non solo la popolazione, ma anche i decisori che di quella precisione si erano giustamente fidati. Dal punto di vista tecnico una previsione che si discosta appena del 10% da quello che poi realmente succede è un successo strepitoso. Nella vita reale, aver fallito di comunicare l’intrinseca incertezza delle proprie determinazioni ha esposto il sistema di sicurezza ad un evento tragico.

Con queste premesse e con la consapevolezza dell’ampissimo livello di incertezza che presentano gli scenari climatici, stupisce non poco il fatto che si sia deciso ormai da tempo di non tener conto di questa incertezza nella comunicazione delle proprie conoscenze in tema di evoluzione futura del sistema. Quando si tireranno le somme e, come dice Judith Curry, non è detto che la verifica sia comunque semplice perché qualcosa potrebbe essere andato come previsto e qualcosa no, non sarà importante aver fatto delle buone previsioni (piaccia o no gli scenari sono a tutti gli effetti delle previsioni) quanto piuttosto sarà importante aver fornito indicazioni utili a decisioni utili, che limitino l’impatto di eventuali pericolose oscillazioni del sistema certamente, ma che minimizzino anche l’impatto di eventuali politiche più dannose del male che si vorrebbe curare.

Sotto molti aspetti, la discussione che sta animando le nostre pagine sul ruolo della policy di mitigazione climatica che spinge sull’acceleratore dell’utilizzo dei biocarburanti e sta già avendo serissime ripercussioni sul costo delle derrate alimentari è un esempio che calza a pennello.

Ma non è il solo.

In questi giorni si sta tornando a parlare di un articolo uscito l’anno scorso in tema di approccio statistico alla determinazione delle forzanti che agirebbero sul clima, mutuando delle tecniche di analisi proprie del sistema economico, sulle cui previsioni e sulla cui incertezza ci sarebbe parecchio da discutere. All’epoca della pubblicazione si è scatenato sulle nostre pagine un acceso dibattito tra i nostri lettori e gli autori dell’articolo. Al netto delle inutili spigolosità che purtroppo caratterizzano spesso quello che invece dovrebbe essere un normale scambio di opinioni, quel dibattito è stato utile ed interessante, sebbene sia stato innescato proprio da qualcosa di molto simile a ciò che discutiamo oggi: una cosa è la ricerca di un risultato scientifico con il suo ovvio margine di incertezza, altra cosa purtroppo molto spesso, è la comunicazione di quel risultato.

E oggi ci risiamo. In seguito ad un nuovo comunicato stampa del CNR che segnala un approfondimento alla ricerca in questione,  è uscito prontamente sul Corriere della Sera un articolo di Giovanni Caprara in cui, tra opinioni riportate e frasi virgolettate degli autori dello studio, scompare letteralmente ogni forma di incertezza sui risultati conseguiti. In un mondo dove tutto è certo tranne ciò che succede sul serio questo non stupisce anzi, ci sta comodo. Non so se si possa dire che le decisioni le orientano gli articoli di un quotidiano pur autorevole come il Corriere o i comunicati stampa di un altrattanto autorevole istituzione scientifica. Dubito però che i decisori leggano le riviste scientifiche, specie se si può contare su dichiarazioni autografe di chi le ha condotte che semplificano i concetti a mezzo stampa accreditata. Non è detto che il fiume finisca per straripare, anche se nella fattispecie il messaggio consegnato va letto al contrario: non è infatti un eccesso di sicurezza che rassicura dagli eventi ma è una determinazione che semmai ne presagisce di pericolosi. Per carità, a quelli che crescono a pane a e meteo insegnano da piccoli a mostrare sicurezza anche in situazioni difficili, ma un piccolo margine di errore buttato lì a frenare gli entusiasmi magari renderebbe un servizio migliore.

Ma anche questa è solo l’opinione di un meteorologo, sebbene non deficiente.

Aggiornamento:

Quel che è giusto è giusto, per cui mi corre l’obbligo di segnalare che a questo link l’autore dl paper citato da Caprara fornisce la sua spiegazione al netto di semplificazioni mediatiche. Mi sarebbe piaciuto che in questo chiarimento si fosse anche evitato di riaccendere vecchie polemiche, ma ognuno agisce come crede.

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