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E’ questione di scelte

Sembrerà strano, ma tra tutti gli aspetti che devono essere considerati ed approfonditi nell’ambito del dibattito sul riscaldamento del pianeta, uno di quelli che presenta maggiori difficoltà di comprensione è proprio l’espressione quantitativa di questo riscaldamento. Il fatto che rispetto ad un paio di secoli fa la temperatura media globale sia salita è certo ed incontrovertibile, ma sulla misura esatta di questo aumento ci sono parecchie incertezze. Il compito più difficile e, se vogliamo, anche di maggiore responsabilità, è assegnato a quei centri di ricerca che si occupano di raccogliere i dati provenienti dalle stazioni meteorologiche e da tutte le altre fonti che forniscono informazioni sulla temperatura ed assemblarli. Sui dataset così costruiti si basano il monitoraggio, i lavori di ricerca ed i tentativi di simulazione dell’evoluzione del sistema.

Questi centri non sono poi molti, anzi, quelli cui normalmente si fa riferimento sono sostanzialmente tre. Il National Climatic Data Center (NCDC) della NOAA, il Goddard Institute for Space Studies (GISS) della NASA e l’Hadley Centre del Met Office inglese1.

Le operazioni cui si sottopongono i dati grezzi sono spesso molto complesse e mirano ad eliminare tutto il rumore che può generarsi attorno ai dati rilevati dai sensori ed a rendere le informazioni il più possibile omogenee. Se si vuole conoscere la temperatura media del pianeta infatti i dati dovranno essere organizzati in una griglia ed interpolati, per assegnare valori anche a quelle zone dove non si effettuano osservazioni dirette, poi si dovrà tentare di eliminare eventuali alterazioni delle osservazioni indotte dall’ambiente circostante, infine, operazione forse ancora più complessa, questi dati dovranno essere uniti a quelli provenienti dalla superficie del mare. Tutto questo si fa mediante l’impiego di algoritmi di correzione diversi per ogni database, per cui è piuttosto normale che questi presentino alcune differenze, spesso non di poco conto.

Alcuni giorni fa mi sono imbattutto in un post sul blog di discussione climatica più visitato del mondo, le pagine di Antony Watts. Nell’articolo -che trovate per intero a questo link– si cercava di dare una spiegazione alle recenti differenze tra le anomalie termiche del DB del GISS e quelle dell’NCDC.

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In questa figura sono rappresentati dataset delle temperature di superficie impiegati dai due centri. L’unica differenza sembra essere rappresentata dall’uso di periodi di riferimento diversi per il calcolo delle anomalie, tuttavia, essi differiscono in realtà anche per altri fattori che sono meglio identificabili dalla figura successiva.

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Analizzando infatti i due dataset, che in apparenza sembrano restituire un’immagine concorde, si scopre che uno, quello usato dall’NCDC, identifica un rateo di aumento delle SST maggiore dell’altro. Per cui, le operazioni di calibrazione possono in questo caso aver portato un bias di riscaldamento per il dataset della NOAA oppure possono averne generato uno di raffreddamento per quello della NASA. Comunque questa differenza è all’origine, almeno in parte, delle differenze notate di recente tra i due database.

La spiegazione può arrivare analizzando il contenuto di queste serie di dati e concentrandosi sui rilevamenti provenienti dai sensori satellitari. Infatti nel DB usato dal GISS sono presenti anche le osservazioni satellitari, mentre nell’altro DB queste sono state rimosse. Il dataset dell’NCDC ha subito nel tempo parecchie modifiche, che dovremmo comunque considerare migliorative, ma ognuna di queste ha visto crescere il rateo di ascesa delle temperature di superficie degli oceani. In particolare, l’ultimo intervento sul dataset, risalente appena al novembre 2008, è consistito proprio nella rimozione dei dati provenienti dai satelliti.

La spiegazione per questa operazione la forniscono gli autori del lavoro di approntamento del dataset e provo a sommarizzarla, ma se volete potete leggerla a questo link: Abbiamo rimosso i dati satellitari dal dataset. L’aggiunta di questi dati causava molti problemi a parecchi utilizzatori delle informazioni. Sebbene i dati satellitari fossero corretti con le osservazioni in situ, restava un bias di raffreddamento residuale. Tale bias era più forte alle medie ed alte latitudini dell’emisfero sud, dove le osservazioni sono molto scarse. Il bias portava ad una modesta riduzione del trend di riscaldamento globale e modificava i ranking annuali delle temperature globali.

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La prima considerazione da fare è che mentre le modifiche al dataset che portano un bias positivo sono benvenute, tanto che ogni modifica ai DB ha visto crescere il rateo di aumento delle temperature, quelle invece che ne portano di negativi vengono eliminate. Anche questo potrebbe essere un bias, ma di un altro tipo. Viene da chiedersi che genere di problemi questo possa aver creato agli utilizzatori dei dataset. Forse avrebbero dovuto rivedere qualche prognosi centenaria? E poi, se il bias di raffreddamento era più forte nelle zone dove ci sono poche osservazioni per correggere i dati satellitari, vuol dire che in assenza di correzione questi danno informazioni diverse. E se fossero più affidabili? E ancora, cosa si intende per modifica del ranking annuale delle temperature globali, abbiamo una classifica e non possiamo modificarla? E se questa modifica dovesse mostrare che non stiamo arrostendo sul barbecue sarebbe così grave da dover rinunciare all’impiego del sistema di rilevamento più moderno ed omogeneo di cui si dispone?

Nell’ambito del dibattito sui cambiamenti climatici il comune denominatore è la necessità di approfondire la conoscenza del sistema attraverso l’uso di sistemi sempre più moderni ed attendibili. Questi sistemi costano molto, ma il cielo sa quale messe di danaro sia piovuta nel recente passato su chi si occupa di fare questi approfondimenti. Pur tuttavia Ci teniamo le stazioni di osservazione piazzate nei parcheggi e tra i palazzi ed eliminiamo i dati da satellite. C’è qualcosa che non torna.

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  1. Nella pagina dati di Climate Monitor trovate i link ai loro database []
Published inClimatologia

5 Comments

  1. […] di CM, ovvero i dataset delle temperature di superficie degli oceani (SST) ed il loro impiego. Nel nostro precedente approfondimento ci siamo soffermati sull’esclusione delle osservazioni satellitari […]

  2. Achab

    @Guido Guidi

    Ha azzeccato, certo che ho letto il link di Watts 😉
    Gli altri due non li avevo presi in considerazione perchè la differenza fra le due versioni è ancora piu’ piccola e perchè usa i dati dal 1880 facendo il trend lineare di una cosa che è tutto fuorchè lineare. A mio avviso ha poco significato.

    In cambio rilancio. Ho preso i dati di Hadley (non usa satelliti) e la differenza di trend (1980-2009) con i dati GISS è ancora più grande, poco meno del doppio. E’ un suggerimento a Watts per il prossimo post 😀

  3. @ Achab
    Ti conosco e so che sei andato a leggere tutti i link. La differenza di cui parli è nei due dataset impiegati da GISS e NCDC. Se dai un’occhiata all’ultima figura, quella dell’ultimo upgrade del dataset delle sst in cui sono state eliminati i dati satellitari la differenza è un bel po’ di piu. Come vedi, è questione di scelte. Nel leggere il post hai scelto di commentare quella invece dell’altra. Ognuno ha il suo bias.
    🙂
    gg

  4. Achab

    Vedo che comprensibilmente lo scoprire una differenza di trend di 2.6 millesimi di grado l’anno non ha suscitato molto scalpore.
    Se all’inizio delle misurazioni da satellite qualcuno avesse detto che i dati di trend sarebbero stati concordi con quelli al suolo entro 3 millesimi di grado sarebbero morti dal ridere 🙂

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