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AMO, Artico e Temperature

Nelle pubblicazioni scientifiche sui cambiamenti climatici, capita molto spesso che vengano mostrate delle relazioni tra i parametri climatici o tra combinazioni di essi, cui si assegna il ruolo di ‘prova’ della superiorità del contributo antropico alle dinamiche del clima rispetto a tutti quei meccanismi che si sono da sempre modificati in risposta a forcing di origine naturale. La parola chiave è “evidence”, appunto, prova.

L’esempio più recente e anche più tangibile è senz’altro quello dell’estensione del ghiaccio marino artico, che nello scorso settembre ha segnato un minimo storico. Mai, da quando lo si misura con metodi oggettivi, ovvero con sensori satellitari, l’estate boreale aveva visto così poco ghiaccio alle latitudini polari. Questo fatto, combinato con quello che effettivamente il ghiaccio polare artico sta diminuendo sensibilmente e quindi non si può certo parlare di episodio isolato, alimenta la tesi di uno dei maggiori esperti sull’argomento, il direttore del National Climatic Data Center, Mark Serreze, secondo il quale saremmo entrati in una “spirale di morte” che vedrà le latitudini polari presto quasi interamente libere dai ghiacci nei mesi estivi.

Contestualmente, nesuno sembra notare che il ghiaccio marino antartico, che in termini di massa è molte volte superiore a quello artico, nello stesso periodo è stato soggetto ad aumento pressoché continuo. Quei pochi che invece lo notano, come ad esempio proprio l’NSIDC, non esitano ad attribuire questa differenza di comportamento a cause simili. Laddove il riscalamento globale starebbe forzando il ghiaccio artico a diminuire, allo stesso tempo, per effetto di modifiche alla circolazione atmosferica ed oceanica, starebbe favorendo l’aumento del ghiaccio antartico. Curiosamente, i record minimo per l’Artico e massimo per l’Antartico risalgono entrambi al 2007, a conferma di un comportamento sincrono ancorché di segno opposto.

Usciamo quindi dal territorio della relazione causale diretta, più caldo uguale meno ghiaccio, per entrare in quello delle complesse dinamiche del sistema pianeta, per le quali ad una stessa causa possono corrispondere effetti di segno opposto. Ma è proprio così?

Andiamo con ordine. Alcuni giorni fa, in una delle nostre discussioni, un lettore ha chiesto se fossero disponibili delle informazioni relative al contributo del comportamento degli oceani all’estensione del ghiaccio artico e se fosse possibile ‘vedere’ dei dati relativi alla sua estensione prima che si iniziasse a monitorarla con i sensori satellitari. Girando per il web da un blog all’altro, mi sono imbattuto in un’immagine piuttosto interessante. La trovate qui di seguito.

http://sunshinehours.wordpress.com/2012/09/21/arctic-ice-compared-to-amo/

Con un artificio grafico piuttosto grossolano ma efficace, l’autore del post dove l’immagine è stata pubblicata mette a confronto l’estensione del ghiaccio marino artico con l’Oscillazione Multidecadale dell’Atlantico (AMO), un pattern della temperatura superficiale dell’Oceano Atlantico per il quale è nota una ciclicità appunto multidecadale. Come avrete avuto modo di constatare, il risultato di questo artificio è suggestivo, ma occorre fare attenzione a non farsi trarre in inganno e commettere il più classico degli errori attribuendo una relazione causale ad una semplice correlazione, per di più non analitica ma meramente visiva.

Tuttavia nello stesso post, ovvero nei commenti che ha suscitato, ho trovato un link molto interessante ad un lavoro pubblicato sul GRL nel 2009. Qualcosa insomma che ha affrontato l’argomento della relazione tra AMO e temperature artiche in modo molto più analitico:

Arctic air temperature change amplification and the Atlantic Multidecadal Oscillation – Chylek et al., 2009 doi:10.1029/2009GL038777 (pdf)

E’ una lettura facile e piuttosto interessante, che mostra chiaramente la relazione esistente tra il segno assunto dall’AMO e le temperature dell’area artica, mettendo in risalto come il periodo di riscaldamento tra il 1910 e il 1940 sia stato per quell’area più rapido di quanto non lo sia stato quello più recente (1970-2008). Al tempo stesso, altrettanto importante è stato il periodo di raffreddamento del trentennio contenuto tra questi due periodi (1940-1970).

Uno degli aspetti secondo me più illuminanti di questo paper, è quello che cerca di approfondire il discorso sull’effetto di amplificazione cui l’Artico è soggetto in termini di trend delle temperature. Sappiamo bene, perché ce lo hanno detto un milione di volte, che sebbene si parli sempre di riscaldamento globale, questo in effetti è quasi nullo ai tropici, più consistente alle medie latitudini e molto più accentuato alle latitudini polari, sebbene per queste ultime sarebbe più corretto usare il singolare, perché in realtà il polo sud si scalda poco o punto. Questa diversa distribuzione degli effetti di uno sbilanciamento positivo del bilancio radiativo, sia esso generato da una accresciuta concentrazione di gas serra o da qualunque altra cosa, per come funziona il meccanismo di redistribuzione del calore sul Pianeta, ha effetti molto più tangibili alle alte latitudini polari, così come le oscillazioni di lungo periodo delle SST della porzione boreale dell’Oceano Atantico hanno effetti molto più diretti sull’area artica di quanti non ne abbiano sulla tempeatura media superficiale dell’intero Pianeta, perché a questa contribuiscono innumerevoli altri fattori.

Chylek et al_ fig3

Ebbene nel paper in questione si legge che l’amplificazione di 2/3 volte di cui si è sempre parlato tra quanto si scalda il polo e quanto si scalda il Pianeta in generale, è valida solo per l’episodio di riscaldamento più recente. Infatti nel periodo 1910-1940, invece, l’Artico si è scaldato 5,9 volte di più del resto del Pianeta. Ma il pezzo forte viene per il freddo: il rapporto tra il rateo di raffreddamento dell’Artico rispetto al Pianeta nel periodo 1940-1970 è stato pari a 9.0! Ciò significa che l’amplificazione è molto maggiore per gli eventi di raffreddamento rispetto a quelli di riscaldamento.

Ora, tornando alla “spirale di morte” del ghiaccio artico, posto che come sappiamo non c’è una relazione diretta con le temperature quanto piuttosto può essercene con le modifiche alla circolazione che queste innescano, dal momento che molto probabilmente l’AMO tornerà in territorio negativo nel giro di qualche anno perché sta per concludersi il ciclo positivo, è altamente probabile che la situazione in Artico torni a cambiare, con una risposta che come abbiamo visto potrà essere più rapida e più incisiva di quanto non lo sia stata in quest’ultima fase positiva dell’AMO.

Con tutti i nostri limiti e senza alcuna pretesa di aver esaurito l’argomento, sorge il dubbio che queste cose possano non esser note o magari siano solo trascurate da chi segue queste vicende con molta più capacità, risorse e cognizione di causa, leggi NSIDC, altrimenti non è chiaro come si possa continuare a parlare di dinamiche destinate a proseguire in una sola direzione, quella della scomparsa dei ghiacci appunto, quando è evidente che pur in presenza di un segnale esterno e forse antropico che dà il suo contributo, esistono forze che hanno un moto oscillatorio così chiaro e così impattante.

Staremo a vedere, in fondo non stiamo parlando del prossimo secolo, è veramente questione di pochi anni!

 

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Published inAttualitàClimatologia

10 Comments

  1. Ho letto l’articolo e lo studio che trovo molto interessante. Volevo segnalare che proprio l’NSIDC, in articolo del 2 Ottobre, fa presente che il precedente record di estensione dei ghiacci antartici risale al 2006, non il 2007, con una estensione di 19.39 milioni mq. Record battuto quest’anno con una estensione di 19,44 milioni mq. Questo il link all’articolo: http://nsidc.org/news/press/20121002_MinimumPR.html

  2. marcus

    Gli oceani danno un contributo impressionante nel determinare le sorti climatiche delle aree del pianeta. E’ noto ad esempio come l’Amo negativo influisca fortemente sul clima mediterraneo (vedasi la parentesi piovosissima dell’inverno 2008/09). Parimenti in pacifico la PDO ha un effetto per così dire ulteriore sulle sorti del polo nord. Il fatto che siano coincise fasi calde dei cicli PDO e AMO non devono aver inciso poco sul trend agonizzante all’artico.
    Aggiungo: vogliamo parlare della distribuzione planetaria delle centraline meteo che per il 95% sono concentrate tra europa e stati uniti? non sarà forse che il duplice ciclo AMO PDO positivi hanno un attimino falsato quest’ultimo trentennio di rilevazioni (alla luce anche della quasi scomparsa delle stazioni meteo russe dopo la caduta del muro di berlino, e della rarità di stazioni nell’emisfero meridionale)…

  3. Luigi Mariani

    Per tagliare la testa al toro è utile citare un articolo scientifico uscito nel 2007 a firma di Edward Schofield, Kevin Edwards e Andy McMullen (Modern pollen–vegetation relationships in subarctic southern Greenland and the interpretation of fossil pollen data from the Norse landna´m pubblicato sul Journal of Biogeography (J. Biogeogr.) (2007) 34, 473–488 nel quale si scrive che:

    1) l’unica traccia di polline fossile di cereali attribuibile all’epoca della colonizzazione vichinga è stata scoperta in Groenaldia da Fredskild negli anni ’70 [Fredskild, B. (1978) Palaeobotanical investigations of some peat deposits of Norse age at Qagssiarssuk, south Greenland. Meddelelser om Grønland, 204, 1–41].

    Più in particolare Schofield et al. scrivono che: “(Behre, 1981) and Fredskild (1978) notes that according to the Norse sagas there were occasional but unsuccessful attempts by the Norse to grow cereals in Greenland, although at the time of writing only one fossil cereal-type pollen grain has been recorded for the Eastern Settlement (Fredskild, 1978).”

    2) Schofield et al. documentano la presenza di orzo coltivato in fioritura in Groenlandia nel 2004 e 2005. Gli autori precisano che tale orzo non era destianto a produrre granella ma ad essere raccolto a maturazione latteo-cerosa per poi essere insilato ed utilizzato nell’alimentazione del bestiame (pecore).

    Ovviamente non è dato a sapere se le varietà utilizzate (pare senza successo) dai vichinghi intorno all’anno 1000 fossero simili per lunghezza del ciclo colturale e rusticità rispetto a quelle odierne.

    Tuttavia le indicazioni fornite da Schofield et al. mi paiono oltremodo chiarificatrici, nel senso che ci inducono a pensare che in Groenlandia la nostra epoca presenti temperature estive simili a quelle dell’optimum medioevale.

  4. Questo articolo sui ghiacci polari mi ha fatto venire in mente una cosa: attualmente la Groenlandia ospita un enorme inlandsis, ma si sa da fonti storiche che durante il periodo calddo medioevale la Groenlandia ospitava una fiorente colonia vichinga, infatti la parola “Groenlandia” può essere tradotta con “terra verde”. La colonia è stata distrutta dall’estensione dei ghiacci durante la “piccola era glaciale” e l’inlandsis si è conservato fino a oggi. Quindi, se durante il periodo caldo medioevale l’inlandsis della Groenlandia non c’era, o era molto meno esteso di quello odierno, non è logico supporre che la calotta polare artica dovesse essere meno estesa rispetto a oggi?

    • Non so cosa si possa dedurre, forse la tua ipotesi è reale, forse no, in assenza di dati ogni affermazione assume carattere speculativo. Quello che non è speculazione, ma è realtà, è che Groenlandia vorrà pure dire “Terra Verde”, ma questo non dipende dal fatto che ci fiorissero le margherite. Certamente il clima era meno difficile, ma la porzione di territorio colonizzata da Erik il Rosso e dai suoi compagni e discendenti, verde era prima e verde è ora. Verde di muschio e di vegetazione tipica di quelle latitudini. Ci fu probabilmente una forma di “marketing” colonico all’epoca, che non deve essere tradotto in miti pseudoscettici oggi.
      gg

    • Ho capito, grazie. In effetti non avevo considerato il “marketing marketing coloniale” per convincere la gente ad andare a vivere nelle colonie.

  5. Una piccola domanda? Non sembra troppo riduttivo parlare solo di AMO? Possibile che tra i centinaia di feedback positivi e negativi possa influire solo e solamente l’AMO…a me mi sembra una teoria abbastanza scialba di dati, cosi com’è è scialba la teoria che il GW dipenda solamente dall’effetto serra creato dall’uomo.

    Sarebbe da approfondire il discorso…ma detta cosi mi sembra abbastanza semplicistica come teoria.

    • Daniele, certamente non è un effetto esclusivo, ma può essere significativo.
      gg

    • Luigi Mariani

      E’ vero, le cause sono moltissime e per tentare di dominarle tutte occorre un approccio basato su modelli meccanicistici (ad es. quelli noti come GCM).

      Quando invece ci si limita ad un approccio empirico si va’ di solito a parare su indici oceanici od atmosferici (es. NAO, AMO, PDO, SAM, NAWR, …).

      Da questo punto di vista per esperienza diretta posso dire che:

      1. AMO è molto ben correlato con le temperature artiche, per cui lavorarci è di grande soddisfazione.

      2. non è detto che, per un sistema complesso come quello climatico, l’approccio meccanicistico (quello cioè che cerca di star dietro a tutte le variabili) abbia un potere descrittivo superiore a quello empirico (che si fonda su una o poche variabili).

    • Si infatti credo fermamente che ci siano alcune variabili che influenzano maggiormente rispetto ad altre.
      La Fisicia dell’Atmosfera infatti ci insegna proprio questo…
      Sarebbe un discorso e uno studio da approfondire più dettagliatamente.
      Una cosa è sicura prima di gridare al lupo al lupo certi pseudo-scienziati annunciatori di sventura dovrebbero prendere in considerazioni questi studi.

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