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Glaciazioni e Interglaciali: Fondamenti di clima.

Appena ieri l’altro Judith Curry ha fatto propria sulle sue pagine una domanda posta da Andy Revkin su DotEarth:

Qual’è il miglior quesito climatico su cui dibattere?

La risposta necessita di una premessa che a molti non piacerà, compreso chi scrive, almeno non in forma di assunto, ma del resto non si può nemmeno dibattere a vita sulle stesse cose, ogni tanto un intervallo ci sta. Sicché, posto che un certo riscaldamento l’aumento della concentrazione di gas serra e sue derivate lo hanno portato, su cosa dovrebbe concentrarsi il dibattito scientifico?

Nei commenti al post della Curry ho trovato la risposta che forse avrei dato. Prima ancora di valutare effetti a scala globale o regionale, prima ancora di immaginare/simulare il futuro delle dinamiche fondamentali della redistribuzione del calore sul Pianeta, sarebbe necessario affinare più possibile la stima della sensibilità climatica, ove con essa si intenda la porzione di aumento della temperatura media superficiale del Pianeta in risposta ad un raddoppio della CO2 rispetto alla concentrazione pre-industriale. Questo finirebbe probabilmente per riavvicinare parecchio le due sponde del fiume, perché se è vero che esistono le stime IPCC che sono elevate, e ne esistono di ancora più elevate, è anche vero che quelle stime non stanno reggendo il peso dell’invecchiamento, anzi, si fanno sempre più numerosi gli studi che tendono a ridurre di una percentuale importante, circa due terzi, la stima centrale di 3°C dell’IPCC AR4.

Però questo, pur con tutto il suo fascino e la sua centralità, sarebbe un dibattito magari molto acceso e capace di fornire la chiave di lettura delle dinamiche attuali e di medio periodo del sistema, ma non direbbe molto del futuro a lungo e lunghissimo periodo, nel quale, piaccia o no, con i combustibili fossili sottoterra oppure soluti in atmosfera, comunque il Pianeta tornerà alle condizioni che più gli aggradano, quelle glaciali.

Alcuni giorni fa ha iniziato a girare sul web un lavoro molto interessante proprio su questo argomento e devo dire che la prima sensazione che ho avuto è stata esattamente quella di pensare che quei contenuti dovrebbero essere esattamente quelli su cui concentrare tutti gli sforzi della nostra comprensione. Il titolo è il seguente:

Can we predict the duration of an interglacial? – Tzedakis et al., 2012 – Climate of the Past doi 10.5194/cp-8-1473-2012 (qui l’abstract e i commenti dei referee, qui il pdf per intero)

Bella domanda non è vero? Vediamo cosa ne pensano gli autori del paper.

L’argomento parte da qualcosa che curiosamente abbiamo discusso in modo molto superficiale appena nei giorni scorsi, ovvero la diversità di comportamento delle due aree polari, una incline al riscaldamento ed al depauperamento della massa glaciale, quella boreale, e l’altra invece che non subisce variazioni termiche significative, pur continuando ad incrementare l’estensione dei ghiacci che la circondano. Un comportamento in apparenza anomalo, che potrebbe però essere stato nel lungo e lunghissimo periodo tutt’altro che tale, connesso piuttosto alle complesse dinamiche climatiche della Terra. E qui mi approprio dell’efficace commento che alcuni giorni fa ha postato sull’argomento Donato, uno dei nostri lettori.

In sostanza l’altalena bipolare (bipolar seesaw) sarebbe all’origine di uno dei processi di amplificazione (feedback) che determinano l’innesco delle glaciazioni e deglaciazioni. Un effetto in grado di provocare dei mutamenti nella circolazione termoalina atlantica, parte dell’enorme meccanismo di termoregolazione degli oceani, che, se in fase con le forzanti astronomiche darebbe il via alla catena di eventi che nel giro di circa 3000 anni da proprie periodiche inversioni di tendenza originerebbe un raffreddamento dell’emisfero nord e quindi le condizioni di partenza per un periodo glaciale.

Le forzanti astronomiche sono l’obliquità, la precessione degli assi e l’eccentricità dell’orbita (quest’ultima in parte ridimensionata in termini di forcing in questo paper), tutti meccanismi in grado di imporre modifiche sostanziali alla quantità e alla diffusione spaziale dell’energia che riceviamo dal Sole; tutti dotati di ciclicità di lungo periodo che determinano differenti situazioni di fase con conseguenti probabilità di innesco del cambiamento.

Nello studio in questione, sulla base di questi ragionamenti e analizzando dati di prossimità di lunghissimo periodo si arriva a definire due differenti classi di interglaciali, la prima caratterizzata da intervalli molto brevi tra un periodo glaciale e l’altro, circa 13.000 anni, e la seconda da intervalli molto più lunghi, circa 28.000 anni.

Nel confronto tra le condizioni di fase delle forzanti astronomiche e quello che è stato possibile stabilire per la circolazione termoalina giace la parte più suggestiva di questo studio che, non solo pur con moltissima prudenza da parte degli autori, punta ad una previsione di appartenenza dell’attuale interglaciale alla classe di quelli brevi, ma identifica anche delle analogie molto interessanti con un altro periodo interglaciale (nello studio MIS 19c).

Dalle loro conclusioni:

[info]

[…] Queste osservazioni suggeriscono che si potrebbe essere in grado di prevedere la durata di un interglaciale dalle condizioni al suo innesco. […]

[…] Un corollario di tutto questo è che dovremmo essere in grado di prevedere la durata dell’attuale interglaciale in assenza di influenza antropogenica. Le fasi della precessione e dell’obliquità (minimo della precessione/massimo della radiazione ricevuta ad 11.000 anni da ora; massimo dell’obliquità a 10.000 anni da ora) punterebbero ad una durata breve, sebbene non sia chiaro se il conseguente minimo di radiazione solare ricevuta (479Wm-2), la più bassa da 800.000 anni, possa essere sufficiente per condurre a condizioni glaciali (Crucifix, 2011). Il paragone con il MIS 19c, un insieme di condizioni astronomiche prossime alle attuali caratterizzato da un’irraggiamento estivo parimenti basso (474Wm-2) e da un più ridotto declino generale dei valori massimi di irraggiamento al solstizio d’estate, suggerisce che l’incipit di una glaciazione sia possibile nonostante il correlato forcing radiativo, se la concentrazione di CO2 fosse pari a 240 ± 5ppmv (Tzedakis et al., 2012) […]

[/info]

Insomma, pare che pur passando attraverso migliaia, milioni di anni, in una intricatissima catena di avvenimenti in fase e controfase, siamo tornati a parlare di concentrazione di CO2 e quindi, inevitabilmente anche di sensibilità climatica. Sono aperto ai suggerimenti, quale sarebbe stata la vostra risposta al quesito iniziale? E quanto durerà questo interglaciale?

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Published inAttualitàClimatologia

4 Comments

  1. donato

    Scrive G. Guidi:
    “E quanto durerà questo interglaciale?”
    La domanda è terribilmente complessa e dare una risposta è difficilissimo. Sulla scorta di quanto scritto nell’articolo citato sembrerebbe che il passaggio da condizioni interglaciali a condizioni glaciali è un fatto estremamente delicato che coinvolge molteplici fattori. Io credo che prevedere, in queste condizioni, la durata di un periodo interglaciale è estremamente difficile se non addirittura impossibile.

    La prima causa ostativa, forse la più importante, è stata enunciata dal prof. Crescenti Uberto: chi ci dice che la Terra, nel futuro, continuerà a comportarsi come nel passato? Altra causa che rende improbabile prevedere con esattezza la durata dell’attuale interglaciale è che la sua fine sarà determinata dal concomitante verificarsi di diverse situazioni: elevata obliquità, precessione, insolazione, concentrazione di gas serra e, ovviamente, altalena bipolare. Nel passato l’inizio del periodo glaciale e, quindi, la fine di un interglaciale, si è avuto in presenza di combinazioni dei vari fattori molto diverse. La bassa insolazione è stata in grado di compensare un livello di gas serra particolarmente elevato, per esempio. Il verificarsi di tali condizioni in corrispondenza di particolari valori di obliquità e di precessione ha fatto il resto.
    La cosa che lascia un po’ perplessi in tutto il discorso è il lunghissimo intervallo che separa il verificarsi delle condizioni di picco (minimo e massimo) delle varie grandezze in gioco e l’effettivo inizio del periodo glaciale o di deglaciazione (migliaia di anni). Questo sta a significare che ciò che accade oggi è in grado di “guidare” le condizioni climatiche del sistema a distanza di migliaia d’anni: un “effetto farfalla” di dimensioni particolarmente rilevanti! Oppure che le ciclicità individuate sono solo empiriche e poco hanno a che fare con la fisica dei processi effettivamente in gioco.
    A questo bisogna aggiungere fenomeni stocastici, regionali e globali, che possono alterare il complesso meccanismo individuato. In altre parole un rompicapo di dimensioni planetarie la cui comprensione mi sembra ancora piuttosto modesta. A complicare tutto la concentrazione di gas serra (CO2, in particolare). Sembra che nel passato la glaciazione abbia avuto luogo anche in presenza di valori di concentrazioni di CO2 particolarmente alte. Si parla, però, di concentrazioni inferiori a 250/260 ppm. Se la concentrazione di CO2 ha un ruolo in questi eventi, che cosa succederà in presenza di concentrazioni di CO2 come quelle attuali? Quale sarà la combinazione di fattori scatenanti (obliquità, insolazione, precessione, concentrazione di CO2) che determinerà l’inizio della glaciazione e, quindi, la fine dell’interglaciale? Nel passato (almeno quello indagato dallo studio) non mi sembra che le concentrazioni di CO2 fossero paragonabili a quelle attuali.
    E qui entra in gioco la prima domanda di G. Guidi ed il post di J. Curry. Se non siamo in grado di individuare la sensibilità climatica non facciamo alcun passo in avanti nella previsione della durata dell’interglaciale attuale. L’innesco della nuova glaciazione impone una modifica della MOC, cioè un radicale cambiamento della circolazione termoalina. Gli autori dello studio sembra che abbiano individuato nella fusione di enormi placche glaciali terrestri (non marine) il meccanismo in grado di influenzare il nastro trasportatore oceanico. Se la sensibilità climatica è molto elevata, le temperature nell’emisfero nord aumenteranno fino a determinare la fusione delle calotte glaciali terrestri e l’inversione della MOC. La glaciazione, però, potrebbe non innescarsi a causa dello sfasamento di tutte le altre variabili in gioco. Viceversa se la sensibilità climatica è molto bassa. In questo caso le forzanti in gioco sarebbero altre e la ciclicità naturale sarebbe salvaguardata. Nella conclusione dello studio, comunque, sembra che la parte del leone in tutto il gioco lo rivesta l’obliquità: l’inizio della fase glaciale ha sempre coinciso con valori dell’obliquità tendenti al minimo (mai minimi, però). Il che significa che questo parametro, più che l’insolazione e la concentrazione di CO2, potrebbe essere determinante nella fine di un interglaciale.
    Dalle considerazioni che ho svolto, mi sembra di aver confermato l’incipit del commento: fare previsioni in questa situazione è, a mio avviso, piuttosto difficile.
    Diverso il caso dell’altalena bipolare che mi sembra alquanto più interessante ed intrigante. Questo, però, è un tema che preferisco affrontare in un altro momento.
    Ciao, Donato.

  2. agrimensore g

    Anch’io sono d’accordo nell’individuare la sensibilità climatica come argomento essenziale e propedeutico.

  3. Crescenti Uberto

    Ritengo che per dare una risposta al quesito si possa tener conto del comportamneto climatico del nostro Pianeta in tempi passati. Così è ben noto che negli ultimi 400 mila anni si sono succeduti 4 periodi glaciali della durata di circa 100 mila anni e 4 periodi interglaciali di circa 10 mila anni. Se la Terra si dovesse comportare come nel passato, l’attuale fase interglaciale (Olocene) che stiamo vivendo dovrebbe ormai essere vicina all’esaurimento. Ma la Terra si comporterà come nel passato?
    Uberto Crescenti

  4. Claudio Costa

    Il quesito da porre secondo me è sempre lo stesso: quali sono le forzantie/o feedback e/o meccanismi sconosciuti che hanno dato le oscillazioni climatiche all’interno dei periodi interglaciali, come il periodo caldo miceneo romano medioevale e…corrente?
    La risposta alla seconda domanda, non la conosco, ma mi sento di dire che il periodo interglaciale durerà quello che ha deciso che duri la natura, forse prolungato di qualche decina d’anni per l’effetto antropico, nulla più.

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