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Temperature: Collezione Autunno-Inverno 2012

Sono tempi di rinnovamento per i gestori di datset delle temperature medie superficiali globali. Un paio di settimane fa, nell’analisi che compiamo ormai tutti i mesi sui dati della NOAA (NCDC), avevamo notato qualche cambiamento. In effetti, a partire dal settembre scorso il GHCN v3.2 ha sostituito il GHCN v3.1 nel ruolo di serie storica che costituisce di fatto la piattafoma di lavoro di tutti gli altri dataset globali, che appunto con il GHCN hanno in comune oltre il 90% dei dati.

A seguire, appena pochi giorni fa, è uscita anche l’ultima versione del dataset accoppiato oceani-terre emerse gestito dalla Climatic Research Unit e dallo UK Met Office inglesi, l’HadCRUT4.

Come noto, non ci sono differenze sostanziali tra questi due, come non ce ne sono con i risultati cui giungono anche i gestori del terzo dataset più gettonato, quello del GISS della NASA. Del resto, considerata l’altissima percentuale di dati in comune difficilmente potrebbe essere diversamente. Quel che cambia da una serie all’altra sono i particolari delle tecniche di interpolazione spazio-temporale dei dati grezzi, di aggiustamento degli effetti cui si attribuiscono cause riconducibili a spostamenti dei siti o cambiamenti della strumetnazione etc etc. A mettere tutti d’accordo, però, ci ha pensato il gruppo di lavoro messo su da Richard Muller (progetto BEST), la cui analisi, compiuta a loro dire su una base dati il più ampia possibile, ha decretato che l’accordo tra i risultati a cui si giunge con ognuno dei dataset è sostanzialmente buono e consente di stabilire con sufficiente chiarezza quale sia stato i trend delle temperature globali nell’ultimo secolo e mezzo. In particolare, naturalmente, l’attenzione va alle ultime decadi del secolo scorso, quando a giudicare dalla curva che conosciamo tutti molto bene, si sarebbe fatto sentire in modo preponderante il forcing antropico.

E’ pur vero però, che appena qualche mese dopo la pubblicazione di questi dati, è uscito un altro paper che identificando dei problemi non banali di classificazione dei punti di osservazione, costringerà probabilmente quelli del progetto BEST ad un lavoro supplementare e, forse, anche ad una revisione dei loro risultati.

Circa la nuova Collezione Autunno-Inverno delle temperature globali si nota tuttavia già qualche particolare interessante.

Su Tallbloke, blog climatico piuttosto tecnico impegnato tra l’altro in una survey della classificazione delle stazioni inglesi, giunge un’analisi del trattamento dei dati grezzi operato dal GHCN V3.2 nell’emisfero sud e, più precisamente, in Australia.

In sostanza, senza che si riescano a trovare delle adeguate giustificazioni in ordine alla qualità dei dati, all’accordo tra trend di stazioni contigue (nel senso ‘australiano’ del termine ovviamente) o alla documentazione che accompagna i dati grezzi, la differenza in positivo tra i dati grezzi e quelli trattati di una porzione del territorio australiano per il periodo 1880-2011 è pari a oltre 2°C. Se avete voglia di leggerla qui trovate tutta la spiegazione, altrimenti potete aspettare domani, perché pubblicheremo un’analisi un po’ più dettagliata. L’autore del post promette inoltre di investigare anche se ci sono casi analoghi nel resto dell’emisfero sud, si vedrà.

A quanti potrebbero obbiettare che in fondo si tratta di una porzione trascurabile di territorio, chiederei di riflettere su due cose:

  1. L’emisfero sud si è scaldato di meno di quello nord, in parte perché ci sono meno terre emerse, in parte perché ci sono meno termometri ;-). In questo modo la distanza si riduce, perché l’Australia copre una porzione molto vasta delle terre emerse dell’emisfero australe. L’impatto di questo aggiustamento è infatti di soli 0,02°C sul trend delle terre emerse globali, ma di ben 0.2°C su quello riferito alle sole terre emerse di downunder.
  2. In base all’analisi compiuta su Tallbloke, una sola delle stazioni esaminate in quell’area mostra un riscaldamento che giustifichi una parte di questo aggiustamento, tutte le altre no. Quindi si accordano più rilevamenti ad uno solo; forse sarebbe più logico che accadesse il contrario.

Ma questo è quello che passa il convento. Chi pensa che si potrebbe far meglio è tenuto a dimostrarlo, perciò il datset del GHCN continua a costituire la base più solida attualmente diponibile per il lavoro di tutti gli altri, compresi, ovviamente gli inglesi e la nuova versione del loro dataset.

Sembrerà strano ma diversamente da quello che succede di solito, questo importante upgrade non ha ricevuto molta attenzione sui media. Del resto non risulta che siano stati fatti comunicati stampa ad esso dedicati. Eppure porta con sè informazioni sostanziali. Una tra tutte: come aveva già avuto modo di far notare Phil Jones, capo della CRU, più di un anno fa, dal 1997 ad oggi le temperature medie superficiali globali non hanno assunto alcun trend statisticamente significativo. Tradotto in soldoni il global warming si è fermato. Quindici anni di assenza di trend, contro ogni previsione e, soprattutto, contro la logica del rapporto causale tra forcing antropico e dinamiche del clima.

Quanti sono 15 anni? Pochi? Beh, considerato che per AGW si intende solo quella porzione di riscaldamento occorsa dopo la metà degli anni ’70 e che in realtà le temperature sono salite sul serio solo tra il 1980 e il 1996 (16 anni), diciamo che l’AGW è ancora in vantaggio in termini di rappresentatività climatica di un determinato periodo. In vantaggio sì, di un anno.

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Published inAttualità

2 Comments

  1. donato

    Sul nuovo dataset HadCRUT4 è in corso una polemica tra il Met Office, che insieme all’Hadley Centre ha curato il dataset, e David Rose, giornalista del Daily Mail. In un suo articolo Rose aveva un po’ ironizzato sulla circostanza che le temperature globali non erano aumentate nel corso degli ultimi 15 anni come, del resto, G. Guidi ci ha illustrato nel suo post. Il Met Office ha risposto a questo articolo con una mail in cui puntualizzava alcune circostanze. Con un comunicato stampa del 14/10/2012 il Met Office ha reso pubblica la mail:
    http://metofficenews.wordpress.com/2012/10/14/met-office-in-the-media-14-october-2012/
    In questa risposta ho notato alcune “curiosità” che vorrei condividere con i lettori di CM.
    Prima curiosità. Il Met Office ha stigmatizzato il fatto che si è preso in esame solo il periodo 1997-2012. Il 1997, infatti, è un anno caratterizzato da un forte El Nino, quindi molto caldo, mentre il 2012 è un anno che segue due anni di La Nina, quindi piuttosto freddo. Ciò, secondo il Met Office spiega la quasi identica temperatura. Ad ogni buon conto tra il 1997 ed il 2012 i dati dimostrano un aumento di 0,05°C (cinque centesimi di grado) pari ad un aumento di 0,03°C per decade.
    In proposito mi chiedo sulla base di quale principio di teoria delle misurazioni e di teoria degli errori possa avere significato una misura del genere. Forse gli strumenti di misura utilizzati hanno una sensibilità del centesimo di grado?
    Seconda curiosità. Nell’ultimo trentennio si è visto che la decade 1980/1990 è stata più calda di quella 1970/1980; quella 1990/2000 è stata più calda della precedente e, infine, quella 2000/2010 è risultata più calda di quella 1990/2000. Questo significa che la temperatura globale è sempre aumentata. Secondo il mio modesto parere l’aumento in valore assoluto vi è stato, però, ciò che è fortemente diminuito è stato il trend dell’aumento. Come sottolineava nel suo articolo D. Rose, gli scenari IPCC prevedevano, per le prime decadi del 21° secolo, un aumento delle temperature di 0,2°C/decade (se le concentrazioni di CO2 restavano invariate). Questa previsione non si è verificata affatto in quanto, parola di Met Office, l’aumento di temperatura nella prima decade è stato di 0,03°C che è oltre 6 volte più piccolo di 0,2°C. In più c’è l’aggravante che la concentrazione di CO2 è aumentata.
    Terza curiosità. Scrive il Met Office che l’evoluzione climatica si deve valutare su scala multidecadale per cui ha poco senso parlare di periodi così brevi. In tale ottica è probabile che in un trend rialzista si verifichino dei periodi di stasi o, addirittura, di decrescita che possono essere spiegati con AMO, PDO ed altri fattori di variabilità interna del sistema e la cui durata può raggiungere anche i quindici anni. Questa obiezione è condivisibile anche perché quindici anni ormai sono passati e, quindi, basta attendere qualche altro anno per vedere se la stasi è normale o deve cominciare a far preoccupare qualcuno.
    Ed, infine, l’ultima curiosità (quella più “curiosa” di tutte). 🙂
    D. Rose si era chiesto se, oltre alla CO2, potessero esistere altre forzanti. Ebbene, il Met Office, dice che, probabilmente queste altre forzanti esistono e le elenca pure: i cicli oceanici multi-decadali, le variazioni dell’attività solare, le eruzioni vulcaniche o le emissioni di aerosol. Tali fattori, però, non sono ancora ben compresi e sono oggetto di analisi e ricerche. Ve lo assicuro, è scritto nero su bianco, ma io ancora non ci credo. Sono anni che mi sento dare dell’ignorante, dell’arrogante, dell’incompetente, del mistificatore, ecc., ecc. perché avanzo dei dubbi sul fatto che solo la CO2 è il driver delle temperature e tutto il resto non conta niente. Oggi, trovare queste cose scritte sul sito del Met Office mi fa un certo effetto. Non del tutto sgradevole. 🙂
    Ciao, Donato.

    • Donato, a breve un commento anche su questo. L’ho già scritto, e noterai delle curiose analogie con le tue riflessioni.
      gg

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