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Uragani più intensi? Sì, no, forse…

Venerdì scorso, puntuale come un orologio svizzero, la NOAA ha emesso un consuntivo per la stagione degli uragani 2012, stagione che, per convenzione, per il comparto atlantico si apre il 1 giugno e si chiude il 30 novembre. Meno puntuali sono stati invece gli uragani, dal momento che l’attività è iniziata anomalmente con un certo anticipo e si sta chiudendo con un altro disturbo in area atlantica piuttosto ben organizzato. Qui sotto un video molto interessante da youtube che contiene l’animazione dell’intera stagione.

Nella news della NOAA ci sono molte cose interessanti. Innanzi tutto il carattere ancora superiore alla media di riferimento della stagione, con un numero di eventi che hanno ricevuto un nome (19), cioè raggiunto una certa intensità, che ha superato anche le previsioni emesse dalla stessa NOAA in maggio e successivamente aggiornate in luglio. A determinare questo errore di valutazione, secondo la NOAA, sarebbe stato il mancato sviluppo del Niño che, diversamente da quanto indicato dai modelli climatici, non ha mai effettivamente superato le condizioni neutralità, facendo mancare quelle dinamiche circolatorie alle latitudini tropicali solitamente associate con stagioni degli uragani non particolarmente intense.

Sicché, anche il 2012 dunque chiude il bilancio degli uragani con una stagione ad elevata attività, confermando una tendenza instauratasi a partire dal 1995. Gli esperti della NOAA dicono che questi periodi di attività intensa durano mediamente da 25 a 40 anni e che l’ultimo osservato ha riguardato il periodo tra la metà degli anni ’30 e il 1970. Anche quest’anno, però, nessun uragano di categoria 3 o superiore ha toccato le coste degli USA, confermando l’esistenza di un periodo davvero “fortunato”, dal momento che l’ultimo quinquennio con paragonabile ‘astinenza’ per le coste USA risale addirittura ai primi anni del ‘900. In effetti quest’anno c’è stato di fatto un solo uragano di categoria 3, Michael, rimasto in Atlantico per tutto il suo ciclo vitale. Tra gli eventi di quest’anno, inoltre, molti si sono distinti per scarsa intensità e breve durata, benché ce ne sia stato uno tra settembre e ottobre, Nadine, che ha quasi battuto il record di longevità, giungendo alla fine 5° in questa strana classifica.

Si chiude quindi una stagione con numeri alti ma con scarsa potenza disponibile. Ciò non ha impedito che eventi potenzialmente meno intensi, Sandy (post-Tropical Storm) quest’anno e Irene (Cat. 1 Saffir Simpson) l’anno scorso, essendo giunti ad interessare le coste USA, abbiano prodotto degli impatti disastrosi. E questo è vero specialmente per il primo. Ancora una volta dunque si pone il problema della resilienza in relazione ad una attività stagionale intensa ma non eccezionale, che non ha conosciuto eventi estremi di intensità non particolare, anzi, semmai nel complesso più deboli della norma.

E questo ci porta ad un articolo appena uscito sul Journal of Climate, organo divulgativo dell’American Meteorological Society:

Projected Increases in North Atlantic Tropical Cyclone Intensity from CMIP5 Models – Villarini & Vecchi 20121.

Come già evidente nel titolo e ovviamente confermato nell’abstract e nel corpo del paper, questi nuovi studi modellistici metterebbero in evidenza una tendenza all’aumento dell’intensità degli uragani nell’area del Nord Atlantico. Il tracciante utilizzato è l’indice PDI (Power Dissipation Index), un indice che integra l’intensità, la frequenza di occorrenza e la durata di questo genere di eventi e che si affianca ad un altro indice più comunemente usato l’ACE (Accumulated Cyclone Energy). Gli autori di questo paper hanno lavorato sul primo impiegando quella che definiscono una nuova tecnica statistica, trovando che a scenari di elevate emissioni di gas serra corrisponde un aumento significativo dell’indice PDI. In assenza di un aumento della frequenza di occorrenza di questi eventi nelle proiezioni, l’aumento andrebbe tutto a carico dell’intensità degli stessi o della loro durata nelle condizioni di elevata intensità.

Ora, sul blog di Roger Pielke jr, appena qualche giorno fa è apparso un post di commento ad un grafico prodotto da Chris Landsea, uno dei massimi esperti di uragani del National Hurricane Center della NOAA (da cui provengono anche gli autori del paper), in cui è rappresentato l’andamento dal 1900 al 2012 dell’indice PDI, prendendo a riferimento tutti gli eventi in forma di uragano e post-tropical storm che hanno interessato gli USA nel periodo.

Questa serie, aggiornata al 2012, non solo evidenzia il carattere “debole” di questa ultima stagione in termini di indice PDI, confermando ovviamente quanto riportato dal comunicato della NOAA, ma mostra chiaramente una totale assenza di trend. In sostanza, pur nel contesto di una molto elevata variabilità interannuale, l’indice PDI che accorpa la durata, la frequenza e l’intensità degli uragani, non ha subito alcuna modifica di lungo periodo, nonostante sempre nel periodo e soprattutto verso la fine dello stesso, la concentrazione di gas serra, le temperature superficiali del mare e la temperatura media superficiale del Pianeta siano indiscutibilmente aumentate. Probabile che i dati di Landsea non abbiano subito alcun innovativo trattamento statistico (qui un precedente lavoro di Vecchi e Villarini che spiega il loro approccio) , ma hanno il pregio (per alcuni forse un difetto) di rappresentare la certezza di ciò che è accaduto, non il prospetto di quanto potrebbe accadere.

Cioè, in uno scenario reale in molti modi simile a quello prospettato dalle simulazioni per il futuro – ulteriore aumento della concentrazione di gas serra e conseguente (per i modelli) guadagno termico per sbilanciamento positivo del bilancio radiativo del Pianeta – quello che i modelli prospettano per il futuro non è accaduto. Gli autori del paper affrontano questo tema su due piani differenti. Da un lato dichiarando di trovarsi in una posizione scomoda, perché questa assenza di trend nell’indice PDI sarebbe confermata anche negli hindcast dei modelli, cioè gli stessi strumenti che prevedono un aumento dell’indice per il futuro non ne prospettano un aumento per il passato, ponendo quindi un problema di affidabilità degli stessi di cui si deve ovviamente tener conto (per inciso nel titolo del paper, nell’abstract e nell’approfondimento che gli autori hanno fatto per Science Daily di questa prudenza non v’è traccia). Dall’altro attribuiscono un ruolo importante agli aerosol, individuando in essi il fattore che avrebbe “limitato” il forcing da gas serra verso la fine del secolo scorso (1960-1980) inibendo l’aumento dell’indice PDI e che in futuro, specificatamente per la prima metà di questo secolo, essendosi allineato al forcing da gas serra, sarebbe responsabile di una buona parte del segno positivo prospettato per il trend dell’indice. In sostanza nel passato avrebbero avuto origine antropica tanto il forcing quanto il fattore inibente, nel futuro le due cose agirebbero insieme.

Il discorso fila, ma solo se si esclude il passato recente. Infatti, sempre nel paper leggiamo che l’allineamento del forcing degli aerosol con quello dei gas serra, sarebbe iniziato dagli anni ’90, però, fatte salve le stagioni del 2005 e 2006, che spiccano chiaramente in quanto anomalmente intense, in tutto il resto del periodo dal 1990 al 2012 l’indice PDI ha oscillato su valori poco superiori o poco inferiori ai valori medi. Alla luce di questa breve ultima considerazione, sembra quanto meno azzardato leggere nel paper che la “nuova norma” dovrebbe essere rappresentata da valori di indice PDI uguali o superiori a quelli del 2005.

Addendum

Roger Pielke ha pubblicato un’altra immagine interessante e ci ha fatto su della sana ironia: “Continua la siccità record negli Stati Uniti…dove per siccità record si intende il numero di giorni trascorsi dall’ultimo “atterraggio” di un uragano di categoria 3 o superiore sulla terraferma americana.

La riflessione che fa Pielke è la seguente: dato che questa “siccità” è una assoluta anomalia, le cose torneranno presto alla normalità e quindi andrà molto peggio, sia per i danni che per le vittime.

Oggi dunque abbiamo parlato di un paper che ha in qualche modo individuato una nuova norma del clima in procinto di realizzarsi se non già realizzata. Beh, quando si tornerà a quella vecchia (NB: anche la stagione dei tornado si sta chiudendo molto sotto la norma) saranno dolori. Al riguardo però abbiamo una certezza: in pieno regime di clima-che-cambia-e-cambia-male, la cabala ha generato questa siccità; quando gli uragani torneranno a colpire sul serio sarà di certo colpa del riscaldamento globale!

Addendum #2

Questo post l’ho scritto a pezzi, abbiate pazienza.

Nel paper di Vecchi e Villarini si legge anche che i GCM fatti girare con i tre diversi scenari (che ora si chiamano RCPs) assumono tra le altre cose che l’atmosfera tropicale conservi (non vedo come potrebbe essere diversamente) un gradiente verticale di temperatura di tipo pseudo-adiabatico, cioè la temperatura alla media troposfera tropicale (fascia latitudinale di sviluppo delle depressioni tropicali, appunto, nonché di pertinenza della cella di Hadley) dovrebbe aumentare con un rateo doppio rispetto a quella dello strato superficiale. Questo ci fa tornare in mente il discorso sul mancato hot spot troposferico, recentemente ‘rinfrescato’ insieme a Luigi Mariani sulle nostre pagine. Abbiamo quindi appurato che l’hot spot troposferico non c’è perché non c’è un riscaldamento della fascia tropicale, riscaldamento che invece i GCM prevedevano e continuano a prevedere. Ma se in futuro il riscaldamento globale dovesse continuare ad essere soprattutto un affare dell’emisfero nord e delle medie e alte latitudini (globale eh?), perché dovrebbe avere effetti dirompenti sugli eventi della fascia tropicale? Sarà forse per questo e non per l’anti-forcing degli aerosol che la durata, la frequenza di occorrenza e l’intensità (insomma l’indice PDI) degli uragani non sono aumentate?

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  1. Con CMIP5 si intende il programma di intercomparison del nuovo set di modelli climatici sviluppati per la stesura del prossimo report dell’IPCC. []
Published inAttualità

2 Comments

  1. Eh no: state facendo cattiva informazione! Infatti il clima sta cambiando e tutte le prove contrarie sono pagate dai petrolieri!
    Ditemi la verità, chi vi paga?

    Ma perché tutti i fissati rispondono così?
    Sono reduce da una discussione con un fanatico il quale ha affermato: “io non so leggere i grafici ma tu sbagli e negare l’AGW perché tutte le prove contrarie si sono rivelate finte”, a quanto pare sono io che i grafici li so leggere e dubito a fare cattiva informazione, quindi anche vo. Incommentabile.
    Il grafico sulle stagioni degli uragani è molto interessante: le stagioni dopo il 2006 a oggi sono state abbastanza miti nonostante le previsioni dei modelli, questo quindi dovrebbe provare che i modelli non sono così affidabili come dice certa gente, o sbaglio?
    Non ci sono trend, quindi è impossibile che la forza degli uragani sia legata al GW, altrimenti dovrebbe essere in perenne risalita, insieme alla concetrazione atmosferica di diossido di carbornio.

    • duepassi

      Il clima sta cambiando anche secondo me. E aggiungo che è sempre cambiato. Addirittura mi spingo a dire che il cambiamento è la normalità. Del resto, perché non dovrebbe esserlo, visto che tutti i fattori sono in continuo cambiamento ? Un giorno forse parleremo delle galassie, ma senza arrivare a tanto, Milanković ha individuato in certi moti della Terra dei fattori che favoriscono le glaciazioni. Sembrerebbe che sia necessaria anche la presenza di un continente in uno dei poli, e forse ci sono ancora altri fattori da prendere in considerazione.
      http://it.wikipedia.org/wiki/Cicli_di_Milankovi%C4%87
      “L’inclinazione dell’orbita terrestre rispetto al piano invariante oscilla con un periodo di 100.000 anni, coincidendo quasi con il ciclo delle glaciazioni.”
      I vari moti dunque generano dei cicli, ma sappiamo che un forte terremoto ha fatto variare l’asse terrestre (di pochissimo, ma l’ha fatto variare), e quindi osserviamo che questi cicli sono anch’essi soggetti a variazioni, come variabile è il contributo di terremoti e vulcani. I continenti non sono fermi, né sono costanti gli oceani o le correnti oceaniche o gli agenti atmosferici. La stessa atmosfera contiene vita, non è fatta di soli gas senza vita, ma pullula di esseri viventi. Insomma, la vita è cambiamento, “πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός”, diceva Eraclito, tutto scorre, come un fiume. Magari non proprio come un fiume, che è solo una parte dell’intero ciclo dell’acqua. Ma io credo che tutto cambi, in cicli che non sono mai identici tra di loro. Opporsi ai cambiamenti mi pare un controsenso, come in questo episodio di Re Canuto (oh, saggezza perduta…):
      “Ruler of the waves
      Henry of Huntingdon, the 12th-century chronicler, tells how Cnut set his throne by the sea shore and commanded the tide to halt and not wet his feet and robes. Yet “continuing to rise as usual [the tide] dashed over his feet and legs without respect to his royal person. Then the king leapt backwards, saying: ‘Let all men know how empty and worthless is the power of kings, for there is none worthy of the name, but He whom heaven, earth, and sea obey by eternal laws.’ ”
      da:
      http://en.wikipedia.org/wiki/Cnut_the_Great
      Un re vichingo medievale, un Danese al trono d’Inghilterra, aveva capito (posto che sia vero l’episodio) che non si possono governare le forze della Natura. Se viene l’inverno, piuttosto che fermare i fronti freddi, accenderò il riscaldamento di casa mia, e quando esco fuori mi vestirò pesante.
      Non mi illuderò di governare il clima con le emissioni di CO2…
      Secondo me.

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