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Il ponte per le rinnovabili

Non è una festività, dobbiamo aspettare ancora una quindicina di giorni prima di arrivare al primo ponte della stagione. Invece di una strategia che ci traghetti verso un impiego conveniente delle energie rinnovabili ne avremmo avuto bisogno da un pezzo. Ed il traguardo è tutt’altro che prossimo. Dovranno essere risolte molte problematiche di costi di produzione, di eco-sostenibilità, di efficienza e di affidabilità, prima che si possa guardare alla sostituzione dei combustibili fossili con un po’ di ottimismo. In questo percorso però non si potrà  fare a meno di essere realisti ed ammettere che, purtroppo, allo stato dell’arte, l’unica tecnologia che può assecondare la fame di energia del genere umano è l’energia nucleare.

Nel nostro caso però dobbiamo usare il condizionale e limitarci al “potrebbe”. Infatti diversamente da quello che succede nei nostri paraggi, nei paesi a noi paragonabili in termini di domanda ed offerta di energia, siamo ancora molto lontani dal superare il tabù culturale creatosi con la consultazione popolare del 1987. In quella occasione si rinunciò, di fatto e non di diritto, all’impiego del nucleare per l’approvvigionamento energetico. Già, “soltanto” di fatto, perché le decisioni prese in conseguenza del risultato del referendum andarono per molti aspetti oltre le speranze di chi lo aveva proposto e forse anche oltre le attese di chi, con il proprio voto, aveva contribuito alla sua approvazione. Questi, in breve, i quesiti posti all’elettorato (fonte www.zonanucleare.com):

  1. Volete che venga abrogata la norma che consente al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) di decidere sulla localizzazione delle centrali nel caso in cui gli enti locali non decidono entro tempi stabiliti?(la norma a cui si riferisce la domanda è quella riguardante “la procedura per la localizzazione delle centrali elettronucleari, la determinazione delle aree suscettibili di insediamento”, previste dal 13° comma dell’articolo unico legge 10/1/1983 n.8).
  2. Volete che venga abrogato il compenso ai comuni che ospitano centrali nucleari o a carbone? (la norma a cui si riferisce la domanda è quella riguardante “l’erogazione di contributi a favore dei comuni e delle regioni sedi di centrali alimentate con combustibili diversi dagli idrocarburi”, previsti dai commi 1,2,3,4,5,6,7,8,9,10,11,12 della citata legge).
  3. Volete che venga abrogata la norma che consente all’ENEL (Ente Nazionale Energia Elettrica) di partecipare ad accordi internazionali per la costruzione e la gestione di centrali nucleari all’estero? (questa norma è contenuta in una legge molto più vecchia, e precisamente la N.856 del 1973, che modificava l’articolo 1 della legge istitutiva dell’ENEL).

Tutti e tre i quesiti ottennero una risposta affermativa a larga maggioranza e le tre disposizioni di legge furono abrogate. Leggendole si evince che si trattava di norme in grado nell’ordine di: rendere più agevole la scelta dei luoghi dove realizzare le centrali, garantire compensi ai comuni che le ospitavano e consentire all’Enel di non abbandonare l’implementazione di programmi di sfruttamento di energia nucleare in altri paesi, magari proseguendo nella ricerca. Procedure più agili, politiche di compensazione e impulso alla ricerca. Curiosamente attuale. Tuttavia non mi sembra che fu, a norma di legge, “abolito” il nucleare, ma le disposizioni che seguirono furono eloquenti: chiusura delle centrali e smaltimento o stoccaggio definitivo delle scorie derivate dalla dismissione degli impianti.

Questa, giusta o sbagliata che fosse, l’interpretazione del sentimento popolare. Buon senso avrebbe voluto che si chiedesse di abrogare anche la norma che consente all’ente che distribuisce e produce l’energia elettrica in Italia, di comprare energia prodotta con il nucleare all’estero. Anche questa avrebbe potuto essere una “interpretazione” del sentire popolare. Ma ciò non è accaduto e, pigramente, abbiamo dormito sugli allori di una scelta ambientale che tale non è, visto che nel contempo abbiamo bruciato enormi quantità  di petrolio, gas e carbone producendo altrettanto enormi quantità di emissioni nocive in atmosfera. La scelta fu figlia della paura di Chernobyl, ma il lavoro non è stato completato. Continuando a consentire l’acquisto all’estero di energia nucleare, si è infatti dato il via libera ai paesi con i quali confiniamo, primi fra tutti Francia e Svizzera, all’impiego su vasta scala di centrali nucleari dietro l’angolo di casa nostra.

Nulla avrebbe potuto impedirlo ovviamente, ma vale la pena ricordare le due ragioni per le quali molti reattori sono appena a poche decine di chilometri dal nostro confine. Innanzitutto la prossimità: dovendola vendere in buona parte a noi è più conveniente produrla vicino al nostro territorio. Da non trascurare la seconda motivazione: nel sud-est della Francia il vento prevalente è il maestrale, ovest nord ovest per dodici mesi l’anno, salvo brevi episodi di vento che arriva da altra direzione. In caso di incidente, la ricaduta radioattiva arriverebbe quasi tutta da noi o sul mare davanti alle nostre coste. Questi i fatti. Ora che la questione energetica sta diventando sempre più urgente, si comincia a sentire qualche timida considerazione sul fatto che forse dovremmo tornare sulle nostre scelte. Come sempre lo faremmo alla nostra maniera però, partecipando alla ricerca per il nucleare sicuro ed evitando di far passare, almeno sulla carta, le fasi transitorie sul nostro territorio. Cioè non costruiremo centrali in casa nostra. Perché noi siamo furbi e gli altri sono scemi. Ma lo siamo davvero? Proviamo a riassumere. Le scorie le abbiamo perché le centrali le avevamo. Il rischio lo corriamo perché il clima e la posizione delle centrali degli altri paesi giocano a nostro sfavore. Ci mancano solo i benefici che avremmo potuto avere e potremmo avere dall’impiego dell’unica fonte energetica che consentirebbe l’autonomia necessaria per sviluppare nel tempo le tecnologie delle risorse rinnovabili. No, direi che non siamo molto furbi.

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Published inAmbienteAttualitàClimatologiaEnergia

7 Comments

  1. Giampiero Borrielli

    Il tempo è galantuomo…tre anni appena è il nucleare, dato allora per abbondantemente defunto in base a tutte le considerazioni su esposte, risulta vivo e vegeto…….bello avere memoria di quanto si scrive!!!!!

  2. […] il tema delle risorse energetiche, sia per quel che riguarda la loro disponibilità, sia per la necessità di diversificazione e, ove possibile, rimozione di alcuni tabù che, con specifico riferimento al nostro paese, […]

  3. max pagano

    al momento, l’arma migliore per contenere costi vivi di produzione e approvvigionamento energetico, gestione corretta di tutte le componenti ambientali, sociali, economiche e quant’altro, e che secondo me è anche l’unica che può fornirci risultati apprezzabili fin da subito, è IL RISPARMIO ENERGETICO, sia a livello di decisioni e “imposizioni” politiche, sia a livello di comportamenti personali nel quotidiano…

  4. Hydraulics

    Per affrontare il problema del futuro dell’approvvigionamento energetico è necessario conoscere pregi e difetti delle possibili alternative ai combustibili fossili esistenti.

    Allo stato attuale della scienza e della tecnica il nucleare non rappresenta un investimento convincente. Le stime (realistiche) sulla quantità di uranio estraibile danno una durata che va dai 30 ai 50 anni supponendo che la richiesta di combustibile rimanga invariata, cosa in realtà poco probabile se più di qualche stato deciderà di investire in questa fonte energetica per sopperire ad una minore disponibilità di idrocarburi. Il rapporto R/P (reserve to production ratio) può variare nel caso alcuni giacimenti minerari diventino economicamente convenienti e quando ci siano nuove scoperte ed è importante ad una prima analisi di massima, ma riassume in modo troppo sintetico la realtà estrattiva che vede un andamento della produzione tipicamente a campana.

    Se qualcuno pensa che questi valori siano pessimistici, uno studio recente (2006) fornisce anche un’interessante analisi della variazione delle riserve stimate di minerale per la Francia e gli Stati Uniti al passare degli anni, mostrando come tali riserve siano state pesantemente riviste al ribasso (cioè ridotte anche dell’85% nell’arco di un anno) per entrambi gli stati man mano che l’estrazione procedeva e trasformava le risorse “possibili” e “ragionevolmente sicure” in nient’altro che numeri fantasiosi scritti per compiacere il potente di turno. Nella pratica quindi la nostra curva di estrazione rischia di avere un aspetto molto asimmetrico e una parte discendente ripida se non facciamo attenzione al metodo usato per il calcolo della quantità di uranio. E’ appena il caso di osservare che nelle vicinanze del massimo estrattivo, esattamente come accade per il petrolio e altre risorse finite, la domanda inizia a superare l’offerta e tale condizione peggiora al trascorrere del tempo, portando ad una lotta all’ultimo sangue per accaparrarsi quanto resta. Sperare che di qui a 20, 30 o 50 anni (nella più rosea delle ipotesi) l’Uomo abbia finalmente imparato a comportarsi in modo ragionevole e non utilizzi le armi a disposizione per vivere meglio del proprio simile è pura utopia.

    Quello delle effettive riserve è un punto fondamentale per impostare una discussione equilibrata sul nucleare, così come lo è il fatto che attualmente i reattori autofertilizzanti, che dovrebbero permettere l’utilizzo di materiale fissile più abbondante dell’uranio, sono interessanti teoricamente ma hanno problemi di funzionamento e non fertilizzano con la velocità che ci si aspettava. Detta in parole semplici, al momento si sono dimostrati un fallimento. Ci sono ricerche in corso e sono possibili miglioramenti, ma intanto dovremmo giocare la partita con le carte che abbiamo in mano, non puntare al buio: la posta in gioco è troppo alta.

    Tenendo conto che abbiamo dovuto scontare 20 anni di buio nucleare dopo il referendum del 1987 e che quindi oggi ci troveremmo a dover rincorrere altri paesi, sia per quanto riguarda la ricerca teorica sia per la formazione pratica, un revival dell’atomo appare ancora meno attraente. Esistono insomma una serie di motivi molto poco politici che consigliano di trattare il nucleare come una extrema ratio più che un’alternativa credibile: motivi assolutamente ignoti alla classe dirigente e, purtroppo, anche a molti “esperti” proprio perché legati alla realtà fisica e non al mondo economico.

    Ho il sospetto che in molte persone sia fondata l’idea che il futuro vedrà una disponibilità energetica pari a quella attuale, se non superiore, però fornita dalle energie alternative. Energie che non sono pronte oggi, istantaneamente, ad assolvere questo compito quando si voglia mantenere un modello BAU (business as usual), così come non lo erano 20 anni fa. Purtroppo è probabile che non lo saranno nemmeno fra due secoli se insistiamo a non voler investire in esse ma nel nucleare, e le trattiamo come eterne promesse mancate che “saranno pronte prima o poi, ma intanto…” Errare humanum est, perseverare diabolicum. Due decenni fa abbiamo sbagliato (forse) ad abbandonare la fissione ma, soprattutto, a non investire nelle energie rinnovabili per affrancarci dai combustibili fossili: ripetersi oggi sarebbe imperdonabile.

    Il ponte del nucleare rischia di non portarci da nessuna parte, sempre che riusciamo a completarlo prima che i problemi energetici inizino davvero a farsi sentire, e una volta arrivati sulla sponda opposta potremmo scoprire che di là non c’è nulla più di quello che avevamo già prima. Serve una visione a più ampio raggio e lungo termine, e la capacità di prendere decisioni che possono sembrare errate ad un esame superficiale.

    No, non siamo furbi. Siamo miopi.

  5. Massimo

    Buongiorno Guido,

    faccio mie le obiezioni di Max Pagano, ed aggiungo che per quanto so, e se sono male informato qualcuno mi corregga, in quasi tutti i paesi europei e negli Stati Uniti d’America di fatto i programmi di espansione nucleare sono terminati tra gli anni ’70 e gli anni ’90. Negli USA e’ dal 1973 che non si costruisce una centrale nucleare e in Germania dal 1978. In Europa solo la Francia ha puntato in maniera massiccia su questo tipo di energia, ma anche li’ sono una quindicina d’anni che non si costruiscono nuove centrali e solo quest’anno mi pare abbia preso il via un nuovo progetto peraltro fortemente contestato. E pur tuttavia il costo dell’energia in Francia e’ paragonabile a quello degli altri paesi europei.

    E’ l’Asia attualmente il posto dove si stanno costruendo piu’ centrali nucleari, mentre anche il Sud Africa ha in programma una forte espansione in questo senso.

    Non e’ dunque l’Italia l’unico paese al mondo scettico su tale argomento, siamo anzi in ottima compagnia, soprattutto nel mondo occidentale.

    Il mio pensiero, e’ che passando dalla dipendenza ai combustibili fossili, a quella all’uranio (ammesso e non concesso che le scorte di uranio siano cosi’ elevate da permetterlo), passeremmo come si suol dire, dalla padella nella brace.

    La via da seguire, sempre secondo il mio parere, e’ quella di un vero piano di risparmio energetico e della produzione di energia con metodi sempre piu’ diversificati, in cui “anche” il nucleare potrebbe avere un suo spazio, ma pur sempre limitato.

  6. Caro Max, prima di tutto benvenuto, anche a nome della sparuta ma agguerrita redazione di ClimateMonitor. Il tuo interessante commento mi induce in una ulteriore riflessione.

    Mi trovi assolutamente d’accordo nelle valutazioni circa la pericolosità e la difficoltà di gestione di questo genere di impianti. Questi aspetti, per’altro a me noti solo in modo superficiale, non eliminano però il problema posto nell’articolo. I quesiti referendari non hanno abolito il nucleare ma il legislatore, sull’onda del successo ottenuto per vie traverse (altrimenti avremmo avuto dei quesiti diretti di abolizione degli impianti tout court), è andato a mio parere oltre quanto l’esito del referendum aveva concesso e avrebbe dovuto farsi carico di questa responsabilità in due modi: eliminare completamente il problema, vietando l’acquisto di energia prodotta da altri con questa tecnologia e promuovere sin da allora programmi di produzione “veramente” alternativi. Cosa che non è accaduta. Ora è sicuramente tardi, ma proprio perché diversamente non si può fare, perché non vediamo il nostro territorio tappezzato di pannelli fotovoltaici e puntellato di generatori eolici per legge? Sarà che tutta quasta volontà di affrontare il problema anche fuori dai palcoscenici della comunicazione non c’è? Secondo problema. Questi costi, certamente molto elevati, non li stiamo forse già pagando con la dipendenza dalle sette sorelle del petrolio prima e ora, e dagli “enne” fratelli del gas da qualche anno a questa parte? E ancora, non mi sembra possano venir meno i presupposti per far sì, come ora, che ai paesi confinanti “convenga” ancora produrre energia dal nucleare facendo pagare ai compratori il prezzo dei costi eccessivi. Da qualunque parte si guardi questi 20 anni di scelte scriteriate li stiamo pagando e li pagheremo per un pezzo. La fame di energia diverrà un problema gravissimo in in tempi medio-brevi perché la comunità internazionale esigerà che si paghi il conto delle emissioni che continueremo a produrre continuando sulla strada, comunque cieca, dei combustibili fossili. E’ molto probabile comunque che tu abbia ragione, di impianti del genere in Italia non ne vedremo, non per le ragioni da te esposte, ma per aggravamento cronico della capacità decisionale e delle varie sindromi “nimby” che già alzano la febbre del dibattito.
    Il problema è forse ineluttabile, ma almeno si prova a discuterne.

  7. max pagano

    caro Guido, ben ritrovato sul tuo blog dal tuo geologo-grafico preferito;

    entro nel merito della discussione:
    intanto, è bene che precisare che, se anche domani mattina iniziassimo
    a costruire un impianto nucleare, con tutti i crismi di analisi
    preventive, sicurezza etc etc.., non sarebbe operativo prima di 15-18
    anni;

    oggi le centrali sono centrali a fissione nucleare, basate cioè
    sull’ emissione controllata di energia da parte di atomi di URANIO
    235 e PLUTONIO 239, procedimento che produce le note scorie radioattive;
    L’energia nucleare, scondo i suoi sostenitori, avrebbe dovuto
    rappresentare il 20-25% dell’ energia complessiva prodotta alla fine del 20° secolo; in realtà, siamo oggi a non più del 5%, ciò dovuto a aumento dei costi di costruzione, manutenzione onerosissima, sorveglianza, continue interruzioni di funzionamento che ne hanno portato la capacità a non più del 60% del potenziale; oltretutto,
    stando ai dati, il rendimento energetico delle centrali nucleari è di circa il 15-20% inferiore ad esempio alle centrali a carbone;
    inoltre, il combustibile, è composto da un 97% di uranio inerte (U 238) e dal 3% di uranio fissionabile” (U 235), ma questa proporzione degli isotopi non corrisponde a quella naturale (in natura l’ U 235 non supera lo 0,7 %); questo comporta che per essere utilizzato, l’ U 235 deve essere ARRICCHITO, cioè concentrato, in appositi ulteriori impianti di arricchimento; quando poi il combustibile si esaurisce, c’è il problema ( in ITALIA – e non solo) non ancora risolto, come insegna la polemica sulla recente scelta della Sardegna o della Basilicata come deposito, dello stoccaggio in sicurezza delle scorie, che devono essere rimosse dall’ ambiente e “conservate” in un luogo NON IN CONTATTO CON LA BIOSFERA, luogo a tutt’ oggi almeno in Italia non ancora incontrato, data la “vitalità” geologica, geomorfologica e idrogeologica del nostro bel paese;
    questo materiale dovrebbe infatti essere confinato e sigillato per almeno 5-6 periodi di dimezzamento del
    plutonio – circa 125.000 anni – oppure, essere inviato ad un ennesimo
    impianto di trattamento (ulteriori costi), dove il plutonio viene rimosso e riutilizzato, ma il materiale residuo risultante necessita
    comunque di almeno 10.000 anni per perdere la radioattività;
    considerate che il plutonio è la sostanza più tossica che esista, di
    cui tra l’ altro bastano piccole quantità per produrre ordigni
    nucleari “artigianali”; il rischio di furti e di perdite accidentali,
    rendono il trasporto una cosa molto macchinosa e dispendiosa, e ricordiamoci che l’ errore umano – sempre in agguato e non eliminabile al 100% – in casi come questi comporta conseguenze gravissime.
    In ultimo, una centrale nucleare, ha un ciclo di vita di non più di 40, forse 50 anni, dopodiché i materiali esposti al bombardamento di neutroni, o a continui e ingenti sbalzi di pressione e temperatura, si deteriorano, e l’ impianto deve essere chiuso; però non può né essere abbandonato, né smantellato immediatamente, a causa della radioattività che emana dal reattore e dall’ area circostante; deve essere inglobato in cemento, sorvegliato, e solo dopo la cessazione della radioattività può essere smantellato (sempre a costi molto alti);

    a fronte di tutto ciò, aggiungo solo un’altra considerazione:
    tu dici:
    “Le scorie le abbiamo perché le centrali le avevamo.”

    vero: non vedo il motivo di ricominciare a produrne altre che non abbiamo né sappiamo dove metterle….

    altra cosa:
    noi ITALIA non siamo produttori né estrattori di Uranio in quantità tale da essere utilizzati in centrali nucleari;
    dove lo andiamo a comprare? chi ce lo dice che questo costo, insieme a tutto quanto sopra esposto in merito a progetto, gestione, prevenzione, smaltimento, sorveglianza, bonifica etc etc ci costerà meno dell’attuale petrolio?

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