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La spia che veniva dal freddo

Niente camuffamenti o improbabili travestimenti, quella di cui parliamo oggi è una spia molto sui generis. Una spia climatica, che però per i meno attenti, potrebbe anche passare per meteorologica.

Andiamo con ordine.

Parecchio tempo fa abbiamo pubblicato un post in cui, dati alla mano, si è dimostrato quanto influisca sulla piega che il clima prende nel medio periodo sull’area Euro-Asiatica il valore che assume l’indice zonale. In poche parole, con flussi medi persistenti ad elevata zonalità per parecchi anni, cioè veloci correnti ovest-est, la “fabbrica del freddo”, meglio nota come anticiclone termico russo-siberiano stenta ad affermarsi e quindi le probabilità che quell’aria fredda sconfini verso l’Europa centrale durante la stagione invernale si riducono al minimo, rendendo mediamente più miti le nostre stagioni fredde. Diversamente, con una circolazione lenta con indice zonale mediamente basso, l’anticiclone russo-siberiano cresce indisturbato e le sue propaggini più occidentali possono venire a farci visita.

La prova, seppur a scala temporale molto limitata, la stiamo avendo in questi giorni. Infatti dopo parecchie settimane di flussi meridiani sull’Europa, con l’aria atlantica più mite bloccata ad ovest, l’anticiclone siberiano si è impadronito del suo territorio, salvo essere destinato ad essere completamente eroso sul suo bordo occidentale nei prossimi giorni proprio per effetto della ripresa del flusso zonale.

Questo discorso è tornato anche nei commenti al più recente dei nostri outlook, con un lettore che si chiedeva se la presenza o meno dell’anticiclone russo-siberiano durante la stagione invernale potesse in qualche modo avere effetti sulle dinamiche del Vortice Polare Stratosferico. Come ha spiegato CCT rispondendo al commento, un simile ragionamento confonde la causa con l’effetto, perché in realtà accade più o meno il contrario, con le dinamiche stratosferiche che favoriscono o meno la zonalità e quindi le dimensioni e la forza dei centri di massa, compreso l’anticiclone russo-siberiano.

Questa premessa ci serve a contestualizzare l’ambiente in cui si muove la nostra spia, il Lago Baikal, in Siberia.

Posto a 455 metri sul livello del mare nella Siberia Meridionale, il lago Bajkal è un bacino molto profondo e deve proprio a questa sua caratteristica il fatto di possedere un’inerzia termica molto pronunciata, tale da consentire il congelamento della superficie solo a stagione invernale molto avanzata. La data in cui la superficie è interamente ghiacciata si aggira intorno al 9 di gennaio. Quest’anno, in netto anticipo rispetto alla media, la superficie è già quasi completamente ghiacciata, sebbene il record di precocità di congelamento appartenga al 1877, quando la ‘chiusura’ si compì il 14 dicembre. Per converso, nel 1959 il congelamento arrivò soltanto il 6 febbraio, riducendo di molto i cinque mesi durante i quali persiste mediamente la coltre ghiacciata (tanto il record di ritardo, quanto quello di anticipo, sono comunque da prendere con le molle, perché con una lunghezza di oltre 600km, senza satelliti o foto aeree a fornire dati oggettivi, misurare con esattezza la data di congelamento non doveva essere semplice, né i dati possono essere molto affidabili – altre info qui).

Queste variazioni, date le caratteristiche del lago, non sono ascrivibili a fenomeni meteorologici nel senso classico, cioè spiegabili con record di freddo o di caldo le cui dinamiche occupano scale temporali dell’ordine di ore, giorni o al più qualche settimana e rispecchiano nient’altro che la turbolenza atmosferica, cui sono quindi da ascrivere anche gli eventuali record segnati. Per il Bajkal i singoli eventi meteorologici non contano molto, per portarlo al gelo, è necessaria la collaborazione dell’intera stagione autunnale e, in molti casi, anche della prima parte di quella invernale, avvicinando molto di più l’ambito del clima, ossia del tempo atmosferico mediato nel tempo e nello spazio.

Ora, il freddo che avvolge la Siberia durante la stagione invernale è molto diverso di quello che arriva dalle nostre parti (non parliamo del valore assoluto, perché quello è scontato, quanto piuttosto delle sue origini). Se da noi sono necessarie situazioni avvettive, cioè transito di masse d’aria formatesi a latitudini molto più elevate, quello che accade in Siberia è di origine puramente radiativa, perché neanche al Polo esistono masse d’aria più fredda di quella siberiana. Si tratta quindi di perdita di calore verso la spazio. Per cui la Siberia è, diversamente dalle altre zone alle alte latitudini dell’emisfero nord, un indicatore ottimale della temperatura apparente del cielo, cioè della radiazione ad onda lunga di ritorno dal cielo.

La data di congelamento del Bajkal è quindi indicativa della perdita radiativa della superficie terrestre e quindi anche della radiazione di ritorno dal cielo, per cui, se la CO2 è il fattore più importante per determinare questa temperatura (non fanno che dirci che le cose stanno così), come si spiega il fatto che la data di congelamento di quest’anno è così simile a quella di un periodo in cui la CO2 era i due terzi di quella attuale e si usciva dalla Piccola Età Glaciale?

E torniamo da dove abbiamo iniziato: non sarà mica che dopo una fine del secolo scorso in cui la zonalità mediamente elevata ha mediamente inibito il freddo da quelle parti  ora la Siberia sta tornando ad essere più fredda? E se sta tornando ad essere fredda la Siberia, non sarà mica perché il clima ha virato verso modalità diverse dal recente passato?

Mi raccomando però eh? Ditelo piano, in fondo stiamo parlando di spie…

______________________

NB: Grazie a Tore Cocco per avermi fornito una buona parte del contenuto di questo post.

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Published inAttualità

10 Comments

  1. luigi mariani

    Caro Tore,
    Ti ringrazio moltissimo per la lunga e circostanziata risposta.

    Al riguardo convengo anzitutto con te circa lo scarso peso del termine LE.
    Venendo poi al termine H, a prima vista mi verrebbe da darti ragione (poichè sul clima siberiano ho un’idea assai simile alla tua: cieli limpidi e BL immobile perhè dominato da acutissime inversioni).

    Tuttavia c’è una cosa che mi lascia perplesso e mi riferisco alla serie storica 1869-2001 della durata annua del ghiacciamento del lago riportata nell’articolo di Todd e Mckay “Large-Scale Climatic Controls on Lake Baikal Ice Cover ” (accessibile gratuitamente al sito dell’AMS http://journals.ametsoc.org/doi/abs/10.1175/1520-0442%282003%29016%3C3186%3ALCCOLB%3E2.0.CO%3B2).

    Secondo tale serie la durata del ghiacciamento del lago è diminuita di circa 20 giorni dal 1896 al 2001 passando da 130 a 110 giorni.

    In proposito Todd e Mckay (e mi pare che Guido, da buon previsore, dia loro ragione) attribuiscono il controllo della durata del ghiacciamento alla circolazione zonale, per cui la durata del ghiacciamento si ridurrebbe nella fasi a NAO e AO alti (l’indice zonale alto di Guido) (*).

    Ammesso (e non concesso -> tu hai qualche informazione in proposito?) che le serie storiche sulla durata del ghiacciamento siano di qualità sufficiente possiamo allora passare a domandarci da cosa dipenda la riduzione della durata del ghiacciamento verificatasi in 150 anni. Io avrei le seguenti ipotesi:

    – è cambiato il bilancio RL1-RL2 perchè è calata la copertura nuvolosa (con un fenomeno analogo a quello che si verifica sul Mediterraneo in fasi a NAO alto)
    – è aumentata la ventosità al suolo e dunque il trasporto turbolento di calore sensibile H.

    Un caro saluto.

    Luigi

    (*) Circa la causa del virare verso l’alto della zonalità, Todd e MacKay chiudono il loro scritto con le seguenti considerazioni che mi pare utile riportare come elemento di discussione (il primo capoverso è per me del tutto condivisibile, il secondo lo definirei fideistico oltremodo):

    The observed trends in ice cover since the mid-1970s may be directly linked to a trend toward the positive phase of the AO over the same period. Indeed, this may
    indicate that the influence of the AO compared to that of other circulation patterns is stronger at decadal and multidecadal timescales. There are numerous possible
    explanations for the recent trend in AO including stratospheric ozone depletion (Volodin and Galin 1998), increasing concentrations of greenhouse gases and aerosols (Shindell et al. 1999), decadal variability in SST (Robertson et al. 2000), and volcanic eruptions (Kelly et al. 1996).

    As such, the strong association of Lake Baikal ice cover and the AO may have considerable implications for lake ecology given the possibility that future anthropogenic climate change may be expressed substantially through changes in amplitude and phase of existing modes of variability. In any case, there is a strong case that substantial declines in Lake Baikal ice cover may be expected in the future.

    • Tore Cocco

      Caro Luigi,
      temo di avere buone notizie poi sia brutte notizie sia pessime notizie.
      Come sai sto cercando di scoprire il metodo di osservazione per le date di ghiacciamento del Baikal, ed è venuto fuori che la stazione di osservazione storica è una sola, e non è ubicata in posizione centrale e favorevole per la massima osservazione della superficie del lago, né in un punto elevato, ma bensì praticamente al livello del lago. Ma queste erano le belle notizie, la brutta notizia è che la stazione è ubicata a Listvjanka (nell’articolo che hai indicato gli autori hanno sbagliato ripetutamente anche il nome della città, Lystvjanka è in realtà una città dell’Ucraina), e dalle analisi che ho fatto tramite google earth, la superficie del lago visibile da quel punto è molto piccola ed è all’estremo sud del lago. La pessima notizia è che Listvjanka, non sono vede un piccolo spicchio del lago, ma sfortuna vuole che sia proprio sull’estuario di un fiume locale che passa proprio nel bel mezzo della più grossa città della zona Irkutsk, che è di circa 600 mila abitanti, e li ha anche superati in certi periodi. Riassumendo, la stazione di osservazione non solo vede un piccolo lembo dell’estremo sud del lago, ma è anche l’unica porzione del lago che è la foce di un fiume che passa per una grande città, e la città stessa si trova a pochi km. In pratica temo non si possano proprio trascurare i sicuri fenomeni di alterazione della chimica di quella porzione del lago, puliti quanto mai i russi avranno sicuramente scaricato nel lago molte sostanza, plausibilmente aumentandone perlomeno localmente il livello trofico. Purtroppo i dati usati per le analisi non tengono in alcun conto questi fattori, quindi farci sopra delle correlazioni statistiche e ricavarne delle analisi, è a mio parere un suicidio scientifico.
      Comunque a prescindere dai dati e dalla correlazione trovata nel lavoro che hai indicato, e che io alla luce dei fatti preferisco semplicemente ignorare, l’idea di fondo degli autori rimane tuttavia plausibile.
      Ritengo sia plausibile che la durata della copertura glaciale del lago sia in qualche modo connessa ai vari pattern di circolazione atmosferica. Come ho già detto prima, solo il freddo è da ricercare in una chiara origine di perdita radiativa netta, mentre eventuali avvezioni calde compensando le perdite radiative possono posticipare la data di congelamento del lago. Ma ancora più suscettibile di modifica è la data di scongelamento del lago, che è di solito a primavera molto inoltrata, quando il sole è alto sull’orizzonte e l’anticiclone termico è svanito, e l’intera zona senza la possente cupola protettiva anticiclonica interagisce maggiormente con la circolazione generale.
      In definitiva trovo assolutamente plausibile, ed in linea con quanto detto nel precedente intervento, che la durata della copertura glaciale possa essere correlata con i vari indici di circolazione, anche se purtroppo, in assenza di dati seri sul ghiacciamento, non possiamo trarre delle conclusioni più solide.
      Un caro saluto

      Tore

  2. Luigi Mariani

    Sai, Guido, sul congelamento di un lago (per quanto grande possa essere) influisce il bilancio energetico nel suo complesso e dunque l’effetto CO2 è per forza di cose solo uno dei tanti fattori in gioco.

    Prendiamo le due equazioni di bilancio radiativo ed energetico di superficie:

    Rn=Rglob(1-A) – RL1 + RL2 (bilancio radiativo)

    Rn+G+H+LE+ST=0 (bilancio energetico)

    Nel bilancio radiativo di superficie:
    Rn è la radiazione netta (che poi diviene una voce del bilancio energetico)
    Rglob è la radiazione solare globale (che ovviamente dipende dalla copertura nuvolosa)
    A è l’albedo (che dipende ad esempio dal fatto che un’annata sia più a meno arida – l’erba verde ha albedo minore di quella secca)
    RL1 è la radiazione a onda lunga uscente (dipende dalla temperatura della
    superficie)
    RL2 è la radiazione a onda lunga dal cielo (e cioè l’effetto serra che dipende non solo da CO2 ma anche da vapore acqueo, nubi, pulviscolo, ecc.)

    Nel bilancio energetico di superficie:
    G è il flusso di calore nel suolo (o nell’acqua) -> dipende da quanto si è immagazzinato nei giorni/mesi precedenti
    H è il lusso di calore sensibile
    LE è il flusso di calore latente (nel caso di un suolo dipende dal contenuto idrico dello stesso).

    Ma dove sta la temperatura? La temperatura di superficie si lega ad H tramite l’equazione di proporzionalità

    H=Kh*(Ta-Ts)
    ove Ta è la temperatura dell’aria (ad es a 2 m di altezza) e Ts è la temperatura delle superficie mentre Kh è il coeff. di scambio turbolento del calore sensibile.

    Tutti i flussi di cui sopra sono considerati sulla verticale verticalizzati per cui non considerano l’effetto avvettivo legato ad esempio dal flusso zonale o ai drenaggi locali di aria fredda o a sistemi circolatori a mesoscala o…

    Tuttavia basta guardare al significato dei diversi termini di queste equazioni per rendersi conto che fra la scala globale ed un fenomeno a microscala (congelamento di una superficie lacustre) c’è tantissimo da considerare, per cui dire “il lago congela prima anche se c’è più CO2, dunque la CO2 non c’entra” mi pare troppo semplicistico. In altri termini così come dobbiamo lasciare ai “credenti” la regola/slogan “tanta CO2 tanta temperatura” non dobbiamo nemmeno cadere nel fideismo opposto “temperatura invariante al variare di CO2”.

    Luigi

    • Luigi,
      grazie per la precisazione. Il senso del post però non è quello di “negare” che la CO2 abbia un ruolo di un certo peso, quanto mettere l’accento sul fatto un peso rilevante lo hanno anche le variazioni della circolazione media nel medio e lungo periodo. In questo senso il lago Bajkal potrebbe rappresentare un segnale.
      gg

    • Tore Cocco

      Caro Luigi,

      prendiamola in 2 modi diversi, in un primo approccio diciamo che in natura vige ed opera la climatologia di Tipo IPCC, in un secondo approccio diciamo che vige ed opera la vera climatologia. Prendiamo per valido il secondo approccio per ora, allora è certamente come dici tu per un lago generico, ma hai solo parzialmente ragione per i laghi siberiani e per il Baikal in particolare. Per prima cosa ricordiamo anche se in maniera rozza (ma efficace), che in un lago siberiano (ed in generale per una qualunque porzione superficiale della siberia), il caldo ed il tepore dipendono da molteplici fattori, come giustamente hai ricordato, ma il freddo dipende solo ed esclusivamente dalla perdita radiativa netta, cioè RL1-RL2. In parole povere l’insieme delle dinamiche meteorologiche può solo far posticipare la data di congelamento di un lago siberiano, ma solo ed esclusivamente la perdita radiativa netta in onda lunga può anticipare la data di congelamento di un lago siberiano. Mentre per qualsiasi altro lago come ad esempio i grandi laghi americani, dove anche la data (eventuale) di congelamento dipende dall’insieme di altri fattori, per i laghi siberiani il gioco è diverso, se vogliamo più semplice, c’entra solo il bilancio radiativo.

      Parliamo ora del bilancio superficiale del Baikal, ebbene come certamente sai, il termine LE dipende principalmente dalla temperatura superficiale, dalla tensione di vapore del’aria e dalla pressione osmotica della superficie dell’acqua, dallo scambio turbolento della superficie (e da altri fattori minoritari che non sto a citare). Se consideriamo che la salinità del lago sia rimasta invariata in questi secoli, allora possiamo plausibilmente procedere ad un’analisi dei dati con scopo climatico, in caso contrario, se ad esempio un’eventuale attività industriale avesse salinizzato il lago o comunque ne avesse modificato le caratteristiche chimico fisiche con l’aggiunta di inquinanti, allora prima di procedere all’analisi dei dati bisognerebbe normalizzarli per tener conto di questi fattori (il lago congelerebbe dopo e scongelerebbe prima a parità di clima locale). Per fortuna il Baikal ha acque molto limpide a tutt’oggi è lo stesso dicasi per il ghiaccio che risulta trasparente, e famoso nel mondo al punto di poterci vedere attraverso, quindi non occupiamoci di questo fattore. In definitiva il termine LE dipende nel nostro caso quasi esclusivamente dallo scambio turbolento della superficie, dalla temperatura superficiale e dalla tensione di vapore dell’aria, e quest’ultima dipende dalla temperatura dell’aria, quindi possiamo dire che il termine LE dipende dalla temperatura dell’aria. Ma il termine LE in zone molto fredde non è molto grande per via del fatto che non c’è molta energia per l’evaporazione, quindi certamente questo termine aumenta se aumenta lo scambio turbolento superficiale, ma comunque rimane di magnitudo bassa per via delle basse temperature e quindi non gioca un ruolo determinante in special modo per un lago importante come il Baikal.
      Parliamo ora dell’altro termine del bilancio radiativo, il calore sensibile H, ebbene sulla superficie acquosa del Baikal ciò che regola questo termine è ancora una volta lo scambio turbolento superficiale, e in definitiva la stabilità termodinamica della colonna d’aria soprastante. Ma dobbiamo ricordarci che in quella zona siberiana d’inverno è presente l’anticiclone termico (alle più alte latitudini siberiane invece la situazione è diversa), quindi la colonna atmosferica tende verso la stabilità e gli scambi verticali vengono fortemente inibiti, e lo stesso termine H non è molto grande perché affidato principalmente al moto molecolare anziché alle termiche, ne consegue che la costante di Tempo (quello dell’orologio non meteorologico) per lo scambio energetico aumenta notevolmente e tra i 2 fenomeni antagonisti per il raffreddamento della superficie: 1)la perdita di energia per cause radiative (RL1- RL2) e 2)la perdita di energia per cause meccaniche (H + LE), la prima (1) è fortemente determinante mentre le seconde (2) giocano un ruolo secondario nel Baikal.
      Ora rimane da considerare il termine G , ovvero il flusso di energia nell’acqua sotto la superficie.
      In qualsiasi lago, ma anche fiume, per poter arrivare al ghiacciamento della superficie è necessario che venga ripristinata la struttura verticale di equilibrio meccanico, ovvero le acque profonde del lago devo arrivare a 3,8 gradi e da li le temperature devono gradualmente scendere fino ad arrivare alla superficie che si trova a 0 gradi centigradi. Durante l’estate la struttura termica verticale del lago è tale che le acque profonde sono più calde attraverso lo scambio di energia con la superficie calda (stiamo parlando del terminge G), ne consegue che a partire dal momento di inversione del flusso (in una dato generica dell’autunno che dipende dalla latitudine del lago), a causa del rapido raffreddamento superficiale (come abbiamo visto per motivi principalmente radiativi man mano che si avanza verso la stagione invernale), l’acqua risulta più dense di quella sottostante ed inizia a sprofondare, facendo cosi affiorare le acque più calde e al contempo ripristinando l’equilibrio meccanico di equilibrio necessario al ghiacciamento superficiale. In particolare per il Baikal avendo acque molto profonde il tempo di ripristino dell’equilibrio meccanico verticale è il più lungo al mondo, e quindi il lago ghiaccia a stagione avanzata, sempre e solo quando è già inverno da un pezzo, e visto che la velocità con cui si producono acque profonde dipende dalla temperatura superficiale e quindi come abbiamo visto, per il Baikal da cause principalmente radiative, possiamo in definitiva dire che la data di ghiacciamento del Baikal dipende semplicemente e quasi esclusivamente dall’entità della perdita radiattiva.
      Quindi Luigi un conto è dire che il concetto era valido ma era esposto in maniera semplicistica, un conto è dire che è semplicistico e quindi non vero, e tu mi pare di intendere che ti riferissi alla seconda, ed in tal caso debbo dire che non sono d’accordo con te,(per il Baikal quantomeno), perché anche facendola più lunga si arriva sempre a quella conclusione, anzi anche qui son stato semplicistico, ma andando ancora più a fondo nell’analisi, includendo le variazione della copertura nuvolosa (il cielo in inverno in siberia è spesso e volentieri terso) e altri fattori si arriva sempre allo stesso risultato finale.

      Ora possiamo prendere per un pò il punto di vista della climatologia IPCC anziché quella vera. Se nella vera climatologia è vero che la perdita radiativa dipende principalmente dal vapore acqueo e dal contenuto di impurità varie che modificano i flussi energetici, nella climatologia IPCC le cose stanno diversamente, nei report ci dicono in 2 righe che il contenuto di vapore dell’atmosfera è insignificante nello spiegare l’effetto serra e quindi la radiazione di ritorno dal cielo RL2 su scala secolare, per via del fatto che il tempo di residenza in atmosfera di uno squilibrio di vapore è basso, perché va subito all’equilibro con la superficie (ovviamente non è affatto veritiero nella scienza vera, ma tant’è!), quindi nel nostro caso, nel determinare i record di ghiacciamento del lago Baikal l’unico motivo imperante è La padrona dell’effetto serra cioè la CO2, quindi sarebbe impossibile oggi eguagliare quel record di ghiacciamento usando la climatologia IPCC. Che poi nella climatologia verà sappiamo che non è la CO” che regola il clima e che quindi possiamo tranquillamente eguagliare quel record siamo tutti d’accordo, ma per onesta ntellettuale non possiamo spiegare i record di caldo della domenica, del martedì, del giovedì e del sabato con il fatto che la CO2 detta legge, per poi spiegare il lunedì, il mercoledì ed il venerdì i record di freddo dicendo che sono cause naturali perché la CO2 NON detta legge. Non mi sta bene fare queste diversificazioni, preferisco adottare sempre lo stesso criterio ed essere coerente.
      Un caro saluto

      Tore

    • Alex

      Spiegazione dotta e convincente. A questo punto, anche se OT, mi piacerebbe sapere se hai una spiegazione altrettanto convincente, ammesso che tu ci creda naturalmente, della teoria di Tremberth per cui il “missing heath” si inabissa negli oceani e li rimane senza lasciare traccia (almeno fino a nuovo ordine).

      Sia ben chiaro, io la credo una baggianata, ma, visto che mi sembri uno che oltre ad essere competente sa anche spiegarsi bene, mi piacerebbe sapere il tuo parere.

      Ciao, grazie

      Alex

    • Tore Cocco

      eeee, mi vien da dire che il vero problema di Tremberth non è il “missing heat” ma il “missing head” 🙂

      Un caro saluto

      tore

    • duepassi

      Chissà perché, quando penso a Kevin Trenberth, penso che sia Fasullo…
      e quando penso a John T. Fasullo, penso che sia Trenberth 🙂

  3. Maurizio Rovati

    Ma i satelliti hanno qualcosa da dirci sulla situazione radiativa della siberia, oggi come in un recente passato?
    Si può distinguere l’effetto della circolazione atmosferica da quello della perdita radiativa per farne un bilancio energetico?

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