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Relazione temporale tra CO2 e temperatura

Su CM è apparso recentemente un post a firma Luigi Mariani che descrive l’interessante articolo di Humlum et al., 2012:

The phase relation between atmospheric carbon dioxide and global temperature su Global and Planetary Change, 100, 51-69, 2013 (qui abstract e figure).

Nell’articolo si mostra che, almeno per il periodo considerato, gennaio 1980- dicembre 2011, i picchi dell’anidride carbonica sono successivi ai picchi della temperatura e che questo avviene per diversi set di dati (GISS, HadCrut3, HadSST2, NCDC). Con i dati di CO2 antropogenica del CDIAC e con le eruzioni vulcaniche del set GWP gli autori trovano una minore correlazione (o meglio co-variazione) ma è sempre presente la crescita della CO2 che segue la crescita dei valori delle temperature.

L’analisi viene fatta introducendo una grandezza (DIFF12) che risente poco delle fluttuazioni locali dei dati e che si configura come una differenza tra la media mobile a 12 mesi dell’ultimo mese meno la media mobile a 12 mesi relativa al mese precedente. Il calcolo di DIFF12 viene preceduto da una media mobile a 12 mesi dei dati della CO2 globale per eliminarne l’influenza stagionale. Per chiari motivi di uniformità le stesse operazioni vengono applicate ai dati con cui si confrontano i valori della CO2.

Questo modo di operare e i risultati ottenuti mi sono sembrati interessanti e ho provato a riprodurli, utilizzando gli stessi dati (solo CO2 globale e HadCrut3 cosiddetto “monthly”; tutti i riferimenti e i dati e i risultati sono visibili qui).
Purtroppo, però, non sono riuscito a riprodurre esattamente la figura 2 dell’articolo, in particolare il pannello in basso. Le cause potrebbero essere varie:

  1. Gli autori spiegano il loro metodo in modo troppo semplice e inaccurato.
  2. Io non ho capito cosa scrivono (molto più probabile).
  3. La media mobile su 12 valori (pari) non mi piace: non voglio fare correzioni ai bordi dell’intervallo e non voglio inventare un’ascissa centrale che non esiste. Di conseguenza ho fatto le medie mobili su 13 valori (e non su 11 perchá volevo comprendere la variabilità annuale della CO2), perdendo 6 mesi all’inizio e alla fine dell’intervallo complessivo di 32 anni (1.1.1980-12.12.2011)e avendo quindi dataset più corti rispetto a quelli dell’articolo)
  4. Nel caso di HadCrut3, viene fornita la data in decimali di anno relativa al giorno 15 di ogni mese (cioè anno e mese viene tradotto come anno+mese/12-0.5/12). Nel caso della CO2, viene fornito il dato (anno e mese) e ho calcolato io il decimale nella forma a me abituale di (anno+mese/12, cioè a fine mese).

Quindi, complessivamete, mi aspettavo differenze e volevo verificare se le conclusioni degli autori potevano essere confermate anche in presenza delle criticità precedenti. In particolare cercavo conferme rispetto alla figura 2 (pannello in basso) e alla figura 17 (pannelli a e b) dell’articolo.

Le operazioni fatte sono, in sequenza, il calcolo della media mobile (a 13 punti) dei dati originali; il calcolo delle differenze tra l’ultimo valore della media mobile e il penultimo e così via fino al secondo valore del dataset; il calcolo della media mobile delle differenze (che vengono ancora chiamate DIFF12 anche se dovrebbero chiamarsi DIFF13). Quest’ultima operazione simula il passaggio dal pannello superiore al pannello inferiore della figura 2 dell’articolo. Il risultato è mostrato in Fig.1 (pdf).

Fig.1: DIFF12 per la CO2 globale e per le anomalie di temperatura hadcrut3 (HC3) “monthly”, entrambe “detrended” dai rispettivi fit lineari. HC3 è stata moltiplicata per 5 in modo da avere un migliore confronto diretto. Le linee verticali gialle identificano i picchi (numerati) di temperatura (NB: nell’articolo vengono numerati i picchi di CO2). Il picco numero 5 corrisponde al El Niño 1998.

Gli intervalli temporali (lag) tra i picchi di temperatura e di anidride carbonica sono mostrati nella successiva Fig.2 (pdf). In questa figura hanno influenza le differenze di 15 giorni del punto 4) sopra, e gli errori insiti nella scelta dei picchi di CO2 (ad esempio per i picchi 3 e 7), per cui si può al massimo ipotizzare un’apparente tendenza del lag a crescere nel tempo.

Fig.2: Intervalli temporali tra i massimi di temperatura e i massimi di anidride carbonica di Fig.1. La maggior parte dei lag è compresa tra 4 e 18-20 mesi. La definizione del massimo di CO2 corrispondente al massimo di temperatura numero 7 è problematica.

Gli spettri dei file DIFF12 dei due dataset mostrano un’ottima concordanza con i corrispondenti grafici dell’articolo relativamente a HadCrut3 e qualche problema per la CO2, come si può vedere nelle successive Fig.3 (pdf) e Fig.4 (pdf).

Fig.3: Spettro di DIFF12 per Hadcrut3. tra i due pannelli cambia solo l’ascissa: tra 0 e 20 anni nel grafico in alto e tra 0 e 10 anni in quello in basso. Sono presenti tutti i massimi riportati nella figura 17b dell’articolo.
Fig.4: Spettro di DIFF12 per CO2. Notare, dal pannello superiore, che i massimi a 14, 6.3, 4.2, 3.5, 2.4, 2.2, 1.9 anni si pongono con maggiore difficoltà rispetto ai massimi di figura 17a dell’articolo che si trovano a 14.7, 8.7, 4.7, 3.8, 2.5, 2.2 anni, anche se l’accordo complessivo sembra accettabile.

In conclusione, il metodo proposto dagli autori si è dimostrato efficace per evidenziare il ritardo della salita della CO2 rispetto alla temperatura e adatto anche a mettere in evidenza somiglianze e dissonanze tra dataset, come la minore somiglianza tra CO2 atmosferica e quella da bruciamento di combustibile fossile (che qui non è stato fatto) rispetto a CO2 e dataset di temperatura come Hadcrut3 (fig 17 dell’articolo). Alcune delle caratteristiche si possono confrontare anche in situazioni affette da varie incertezze, come in questo post.

Addendum

Dopo aver spedito il post e prima della sua pubblicazione, ho rifatto i conti con due modifiche:

  1. Ho usato un filtro passa basso (la funzione smoft di Numerical Recipes) che dà risultati più smussati della media mobile e che, soprattutto, permette di usare tutti i dati, senza troncamenti;
  2. Ho ricalcolato i tempi del dataset Hadcrut3 in modo che si riferiscano a metà mese, come succede per i dati della CO2.

Come ci si poteva aspettare, il senso complessivo del risultato cambia poco. Cambia però la precisione e il dettaglio sia degli spettri che della relazione temporale degli intervalli tra temperatura e CO2, tanto che per quest’ultima ho potuto scrivere la relazione analitica, il coefficiente di correlazione e l’rms dei residui. Tutti i nuovi dati sono disponibili, insieme ai vecchi, al link “Smooth instead of Running Average” qui, nella pagina web che contiene tutto il materiale.

fz

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Published inAttualità

10 Comments

  1. Intanto una comunicazione (di servizio?) a Guido: degli ultimi tre commenti, ho ricevuto solo quello di Luigi Mariani e non quelli di Gianluca Fusillo e di Maurizio Rovati. C’è qualche problema di spedizione dei mail?
    @ Rovati
    nella risposta a Duepassi ho sbagliato la sequenza: gli autori, che hanno analizzato anche HadSST2 (le temperature oceaniche), osservano un breve anticipo di circa un mese dei picchi della SST rispetto ad Hadcrut3 (temperature dell’aria), come si vede nella loro figura 3, per cui la sequenza temporale che propongono è 1) picco della SST; 2) picco della temperatura dell’aria; 3) picco della CO2. Se la relazione lineare che ho proposto ha davvero qualche senso, il lag in questo periodo potrebbe essere di 14-18 mesi e il meccanismo proposto di L. Mariani potrebbe aver luogo, accoppiato al degassamento. La perdita di acidità potrebbe essere un fenomeno temporaneo messo in evidenza dal breve intervallo temporale della ricerca (32 anni).
    @ Fusillo
    Nell’articolo di Humlum et al. viene osservata una sequenza temporale sia sui picchi che sui minimi delle serie in gioco; quindi qualcosa deve abbassare la temperatura (su scale temporali di un anno o giù di lì) e di seguito la CO2 (sempre che la correlazione osservata abbia senso fisico, naturalmente). I meccanismi di feedback sulla temperatura dell’oceano (che sembra essere il motore primo) devono senz’altro esistere, ma io non li conosco.

  2. Maurizio Rovati

    L’aria scalda e l’oceano degassa? (a naso sarebbe normale ma qui siamo nel post-normale)…
    Ma come! Se l’oceano perdesse la co2 dovrebbe diventare più alcalino non meno (o più acido come dicono quelli bravi) ho capito bene?

    • max pagano

      la solubilità di un gas nell’acqua è inversamente proporzionale alla temperatura, ovviamente a parità di pressione;
      pertanto, se la temperatura aumenta, la quantità di CO2 disciolta nell’acqua (che si dissocia formando acido carbonico H2CO3) diminuisce, di conseguenza diminuisce l’acidità della soluzione, quindi l’ambiente diventa più alcalino (basico)….

    • Maurizio Rovati

      E io che ho detto?
      “Se l’oceano perdesse la co2 dovrebbe diventare più alcalino…”

    • max pagano

      “…. (o più acido come dicono quelli bravi)…..” 🙂

    • Maurizio Rovati

      Ossignur!

      Ho scritto: “… dovrebbe diventare più alcalino non meno [alcalino] (o più acido come dicono quelli bravi)”
      Cioè meno [alcalino] = più acido

      Dov’è che non ti trovi? 🙂

  3. duepassi

    “In conclusione, il metodo proposto dagli autori si è dimostrato efficace per evidenziare il ritardo della salita della CO2 rispetto alla temperatura”

    restiamo in attesa di una spiegazione logica da parte dei sostenitori dell’AGW su questo fatto, anche perché a me, a occhio, e senza aver fatto tutte queste ottime verifiche, delle quali mi complimento e che apprezzo, sembra che l’effetto della CO2 sulla temperatura sia poco avvertibile.
    Sbaglierò, ma mi piacerebbe che venisse indagato questo aspetto.
    Osservando gli andamenti della temperatura e della CO2 non vedo, ad occhio, effetti visibili
    http://www.geocraft.com/WVFossils/PageMill_Images/image277.gif
    Per esempio, a metà giurassico, la CO2 cresce, ma la temperatura è costante
    ad inizio cretaceo, la CO2 cala, mentre la temperatura cresce…

    • Grazie per i complimenti. Gli autori dicono che il meccanismo dovrebbe essere: l’aria scalda l’oceano che “degassa”, cioè emette CO2 la quale fa il suo mestiere di gas serra e provoca un successivo riscaldamento (insieme agli altri gas).
      Ho visto proprio ieri da un collega il grafico che citi e anch’io faccio fatica a capire la relazione tra temperatura e CO2 (o viceversa). Mi accontenterei di capire i ritardi osservati da Humlum et al., da qualche mese a un paio di anni mentre io conoscevo ritardi di secoli, e soprattutto la relazione che viene fuori dai conti che ho fatto, per cui al crescere del tempo cresce anche l’intervallo di tempo tra picco di temperatura e picco di CO2 (lag).
      Siccome il masochismo è una brutta malattia che ho sicuramente contratto, ho rifatto i conti per la terza volta, usando il metodo degli autori che credo di aver capito. I risultati (visibili al solito link, alla voce “Like”) sono sostanzialmente gli stessi, in particolare la relazione lineare tra lag e tempo. E quest’ultimo è un risultato che non mi spiego, almeno per ora.

    • Gianluca Fusillo

      Non mi spiego benissimo una cosa….come mai la temperatura media globale mostra un massimo “insuperabile”, una sorta di asintoto, ai 25°C? Anche perchè penso che i due picchi oltre i 25°C potrebbero essere degli errori.
      Inoltre avrei da porre un paio di domande a cui spero di aver risposta da qualcuno più informato di me:
      1) quali sono i metodi utilizzati per misurare CO2 e T nell’intervallo di tempo contemplato dall’articolo di Humlum?
      2) accettata la relazione T/CO2 in base alla quale ad un aumento di T corrisponde un maggiore rilascio di CO2 dai mari (evento, credo, innegabile) quali sono a parer vostro i possibili controlli a feedback che uniscono le due variabili? Perchè se è vero che l’una influenza l’altra e viceversa, è pur vero che entrambe influenzano altri parametri che potrebbero porre un controllo ad un altro livello. Per esempio un aumento di temperatura e di CO2 corrisponde, a parer mio innegabilmente, ad un aumento di fotosintesi, che limite l’ulteriore rialzo delle due…oppure ho detto una castroneria?

      Mi unisco ai complimenti a Franco Zavatti per la pazienza mostrata.

    • luigi mariani

      Circa la prima domanda:
      – l’andamento della CO2 globali è ottenuto da Humlum et al. mediando le misure effettuate con l'”high-precision non-dispersive infrared gas analyzer implemented by C.D. Keeling from the Scripps Institution of Oceanography” in alcune stazioni della rete globale di monitoraggio poste in remote località marittime -> mi pare si tratti di South Pole (90°S), Ascension Island (8°S), Mauna Loa (20°N) e Alert (82°N).
      – le temperature globali provengono dal dastaset HADCRUT3 dell’Hadley center.

      Circa la seconda domanda ripropongo quanto scrissi in un commento al mio post redatto per rispondere ad un commento di Donato: “Un’ipotesi che butto lì è quella secondo cui negli anni più caldi (anni di El Nino) le piante accumulano CO2 tramite la fotosintesi e poi, più avanti nel tempo, degradano l’eccesso di produzione dando luogo, con il delay di 11 mesi o giù di lì osservato, ad un eccesso di CO2 atmosferica.” ->
      1. può darsi che tale mio schema ipotetico si sovrapponga al degassing degli oceani.
      2. uno schema analogo potrebbe forse essere coinvolto nelle sensibili ciclicità annuali di CO2 -> ad ogni estate dell’emisfero boreale (emisfero delle terre) CO2 cala di circa 6 ppmv per effetto della fotosintesi e circa 6 mesi dopo la CO2 risale per varie cause fra cui la decomposizione del surplus di sostanza organica assimilato dalle piante in estate.

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