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La (ri)scoperta delle situazioni di blocco

Che cosè una situazione di blocco in termini atmosferici? Semplice e al tempo stesso complicatissimo, specie in termini di previsioni. Si tratta sostanzialmente di un rallentamento dei flussi atmosferici, che la circolazione generale dell’atmosfera vuole che scorrano mediamente con direttrice ovest-est nell’emisfero boreale. Con la parola “mediamente”, si sottende il fatto che questi flussi, anche se a volte assumono un andamento conforme ai paralleli acquisendo anche elevata velocità, sono in verità piuttosto ondulati. In sostanza l’aria non corre mai o quasi mai in modo rettilineo da New York a Lisbona, ma piuttosto si sposta seguendo delle ondulazioni che a volte sono più marcate, altre volte lo sono molto meno. Generalmente, l’accentuazione di queste onde dipende dalla posizione e dal vigore delle figure bariche permanenti o semi-permanenti, anch’esse frutto delle dinamiche della circolazione generale.

 

 

Per l’Europa, le due figure di riferimento sono l’anticiclone delle Azzorre e la depressione d’Islanda, la cui posizione media è fedelmente rispecchiata dalla loro denominazione. Dal momento che lo scopo finale della circolazione generale atmosferica è quello di cercare continuamente di ristabilire l’equlibrio termico tra le zone equatoriali e quelle polari proprio attraverso il movimento delle masse d’aria, va da se’ che questo processo, tra l’altro interminabile, si consolida soprattutto quando le onde di cui sopra si accentuano a tal punto da trasportare grandi quantità di aria più calda verso nord sul loro bordo ascendente e altrettanto considerevoli quantità di aria più fredda sul loro bordo discendente. Ma, se un’onda si accentua molto, inevitabilmente il flusso alle medie latitudini sarà rallentato, ove non addirittura bloccato. Sono queste le situazioni che ci portano periodi freddi più o meno lunghi d’inverno e prolungate situazioni di caldo d’estate, specie se, con riferimento ai mesi caldi, ad amplificarsi e a bloccare la circolazione è l’onda che trasporta aria calda proveniente dal nord-Africa, proprio come accaduto la scorsa estate. Con l’aria fredda molto a sud o con l’aria calda molto a nord, inevitabilmente, aumentano le differenze termiche sul piano orizzontale (gradiente orizzontale) e, dal momento che gli eventi atmosferici sono tanto più intensi quanto più è accentuato il gradiente termico tra le masse d’aria, parimenti aumenterà il rischio che quanto accade vada in termini di vento, pioggia, caldo o freddo ad occupare le zone più alte della distribuzione statistica, entrando quindi nel territorio degli eventi estremi.

 

Queste situazioni hanno la caratteristica di essere piuttosto impredicibili, nel senso che se da un lato a situazione di blocco consolidata aumenta la predicibilità dei moderni sistemi numerici di previsione dei flussi atmosferici, dall’altro, prevederne l’insorgenza è ancora molto difficile. Con specifico riferimento alle ondate di calore, cioè ai blocchi che lasciano masse d’aria molto calde stazionare a lungo su una zona specifica, è importante anche il feedback positivo del territorio, ovvero la capacità dello stesso di lasciar consolidare ulteriormente la massa d’aria e aumentarne gli effetti, in ragione di un progressivo inaridimento del suolo dovuto proprio al calore e all’assenza di apporti precipitativi. Anche in questo caso, e quindi ancora una volta, ciò che può accadere dopo è più facilmente predicibile di ciò che accade prima.

 

Con riferimento agli eventi estremi, abbiamo detto più e più volte nel recente passato che lo Special Report dell’IPCC che si è occupato di investigarne l’eventuale connessione con la tendenza della temperatura media superficiale del Pianeta ad aumentare, ha riassunto lo stato dell’arte della conoscenza scientifica escludendo che si possa fare questo collegamento. Le serie storiche non sono sufficienti, i meccanismi di rapporto causa effetto non sono definiti e via discorrendo. Con una sola eccezione, appunto le ondate di calore, per le quali è stata statisticamente individuata una collegabilità leggermente più accentuata.

 

E veniamo al dunque. Su Science Daily è apparso ieri il commento ad un articolo di prossima pubblicazione sui PNAS.

 

Quasi-resonant amplification of planetary waves and recent Northern Hemisphere weather extremes.

 

 

Il paper è ancora sotto embargo, per cui per ora dobbiamo limitarci a commentare quanto dichiarato dagli autori sulle pagine di SD e il link funzionerà solo quando sarà stato pubblicato. L’inizio non è dei più felici, perché mette l’accento sugli eventi estremi degli ultimi anni, le ondate di calore in Russia e USA, così come l’alluvione del Pakistan per lo stesso periodo, ignorando il fatto che le analisi ex-post di questi eventi ne hanno evidenziato la caratteristica di rarità certamente, ma anche di appartenenza alla variabilità del sistema atmosferico. Poco male comunque, bene o male al giorno d’oggi se non citi qualche disastro e non lo metti in relazione al clima che cambia non ti fanno neanche iniziare a parlare. Un po’ più grave, forse, è il fatto che gli autori sembrano ignari delle determinazioni dell’IPCC cui abbiamo accennato poco più su, benché provengano anche loro da un centro di ricerca che da’ un grosso contributo al panel delle Nazioni Unite, il Posdam Institute for Climate Impact Research.

 

Secondo gli autori – ripeto, non ho ancora letto il paper – con l’aumento delle temperature che avviene in modo fortemente disomogeneo, nel senso che si manifesta soprattutto ai poli, marginalmente alle medie latitudini e quasi affatto alle basse latitudini, si viene a ridurre il gradiente termico lungo la longitudine. Quindi il flusso rallenta e, per determinate configurazioni, con determinate lunghezze e numero di onde, si accentuano le possibilità di innesco delle situazioni di blocco, quindi, anche di eventi estremi. Per cui alla fine, l’aumento delle temperature faciliterebbe sebbene non direttamente il realizzarsi delle condizioni particolari che possono condurre l’atmosfera verso eventi intensi con maggiore frequenza.

 

Con questa affermazione assistiamo ad una virata a 180 gradi della teoria dell’AGW, la quale da sempre vuole che gli eventi estremi aumentino (malgrado come detto nessuno ancora sa se questo sia realmente accaduto o meno), ma ha sempre bollato l’opinione di quanti si dicono più scettici e affermano che così come avviene il riscaldamento genera una diminuzione del gradiente e quindi eventi potenzialmente meno intensi, come carta straccia. Evidentemente, fatte salve le conclusioni, che nella fattispecie vedono questa riduzione del gradiente longitudinale con effetti opposti e quindi peggiorativi seppur con dinamiche assolutamente non lineari, quello che andiamo dicendo da tempo non è poi così lontano dalla realtà.

 

Quanto agli effetti di questa riduzione, spero che la lettura del paper ci tolga il dubbio sul fatto che i 32 anni di dati, il periodo in cui si sarebbe riscontrato un aumento delle condizioni di circolazione idonee ad innescare questo effetto che definiscono “amplificazione quasi-risonante” delle onde atmosferiche, possa essere idoneo a tirar fuori un risultato statisticamente significativo.  E spero anche, infine, che ci tolga il dubbio circa la necessità di cercare la spiegazione a qualcosa che ancora non sappiamo se c’è.

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Published inAttualitàClimatologiaMeteorologia

3 Comments

  1. donato

    “Se solo i media ed il sistema educativo ci aiutassero a creare un po’ di cultura scientifica di base….”
    Caro Luigi, ti posso garantire che il sistema educativo ci prova (almeno una parte del sistema educativo 🙂 ). Il nostro sistema educativo, però, è molto autoreferenziale e più che “alfabetizzazione scientifica di base” ci costringe a spendere un’enormità di tempo per effettuare un “congruo numero” di verifiche e valutazioni.
    In certe scuole, inoltre, le materie scientifiche sono quasi un optional per cui è abbastanza frequente sentire i nostri concittadini che si vantano di essere ignoranti in matematica (si, purtroppo, si vantano).
    A questo, infine, bisogna aggiungere l’abominio culturale che vede nella “cultura scientifica” una cultura di serie B rispetto alla “cultura umanistica” (come se la cultura avesse un’etichetta).
    A questo bisogna aggiungere il fatto che le materie scientifiche sono piuttosto difficili da digerire in quanto richiedono un grosso lavoro di rielaborazione critica che allontana molti studenti da esse.
    Ciao, Donato.

    • luigi mariani

      Caro Donato,
      grazie per le considerazioni “dal campo”. In effetti io costato il “disastro” quando valuto i miei studenti e tu lo cogli più a monte….
      Concordo con te che la sindrome ha tante cause, non ultima il disprezzo per la cultura scientifica, un pregiudizio che nel nostro sistema si trascina ormai da secoli e che è stato rinfocolato dalla corrente filosofica dell’idealismo. Ricordo d’altronde ancora con raccapriccio una docente universitaria di materie umanistiche mia conoscente dire in mia presenza a mia nipote, studentessa di ginnasio reduce da un brutto voto in una materia che mi pare fosse “scienze naturali”, che non si capacitava di come si potesse prendere un brutto voto in una materia in cui non c’era nulla, ma proprio nulla da capire. Insomma, chi si occupa di scienza per gli umanisti è un po’ come le “genti meccaniche e di piccolo affare” del prologo dei Promessi…
      Nel caso dei giornalisti poi è incredibile che si occupino di cultura scientifica anche persone che proprio sono prive delle basi più elementari. Come può un ordine professionale permettere ciò? Misteri gloriosi.
      Luigi

  2. luigi mariani

    Caro Guido,
    attendiamo il lavoro di PNAS che non mi pare a tutt’oggi accessibile e che mi auguro chiarificatore.
    Certo fai molto bene a riportare la circolazione al centro dell’attenzione ed in particolare il tema delle situazioni di blocco cui si devono non solo eventi recenti ma anche, ad esempio, la grande siccità americana degli anni 30 del 20° secolo (su cui ricordo gli studi dell’americano Namias) o il tremendo inverno del 1929 o quello del 1956 o …
    Ricordo anche il lavoro di Charney e De Vore del 1979 Multiple Flow Equilibria in the Atmosphere and Blocking (http://journals.ametsoc.org/doi/abs/10.1175/1520-0469%281979%29036%3C1205%3AMFEITA%3E2.0.CO%3B2) in cui con un modello circolatorio semplificato si mostrava l’esistenza di due stati nella circolazione globale e cioè uno stato zonale (in cui dominano le westerlies) e uno molto ondulato (in cui dominano i blocchi).
    Per inciso mi domando spesso come si faccia a parlar tanto di AGW senza avere nozioni minime sulla circolazione atmosferica generale, che costituisce l’artefice del ripianamento dello squilibrio termico planetario fra equatore e poli continuamente imposto dalla radiazione solare.
    Prima di riempirsi la bocca di CO2 e dividerci fra favorevoli o contrari alla teoria AGW (così come ci son formiche rosse, così come ci son formiche nere …. http://www.atuttascuola.it/biblioteca/guido_gozzano2.htm) occorrerebbe almeno possedere l’ABC e del clima e per questo sarebbe più che mai necessario lanciare una campagna di “alfabetizzazione climatica”. Se solo i media ed il sistema educativo ci aiutassero a creare un po’ di cultura scientifica di base….

    Ciao.
    Luigi

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