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Anidride carbonica e prodotto interno lordo

Nel corso degli anni siamo stati abituati ad affrontare la tematica del riscaldamento globale attraverso un approccio fisico. In altre parole il dibattito si è principalmente snodato attraverso la ricerca climatologica e solo marginalmente si è affrontato il discorso da un punto di vista prettamente economico. Solo recentemente, per esempio a partire dal rapporto Stern, il dibattito economico è entrato a pieno titolo nel più ampio tema del riscaldamento globale.

Se per un momento dimenticassimo ogni legge fisica e potessimo fondare i nostri ragionamenti solo su regole economiche, che quadro ne scaturirebbe? Come verrebbe rappresentato o spiegato il riscaldamento globale? L’intenzione di questa analisi è quella di affrontare, senza preconcetti, una riflessione approfondita sulle policy prossime venture, in tema di mitigazione del riscaldamento globale.

Il parametro più largamente diffuso per la misurazione di una economia è il prodotto interno lordo (PIL o Gross Domestic Product, GDP, in inglese). Non è questa la sede per stabilire se sia la misura più attendibile in assoluto, in ogni caso oggi utilizzeremo questo indicatore. L’altro parametro, ampiamente utilizzato, è ovviamente la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera terrestre.

Indossiamo, quindi, gli occhiali dell’economista e diamo un’occhiata a quanto accaduto nel corso del XX° secolo. Sappiamo perfettamente che la CO2 è aumentata, attualmente ci troviamo ad un livello pari a circa 385 ppm, le serie strumentali arrivano all’incirca a metà del secolo scorso, quindi per avere un’idea della concentrazione di CO2 all’inizio del XX° secolo, dobbiamo fare ricorso a misurazioni indirette: il livello stimato di CO2 nel 1900 è pari a 294.81 . Abbiamo quindi un aumento pari al 30% della concentrazione iniziale (1900) di CO2 in atmosfera. Per quanto riguarda il prodotto interno lordo, anche in questo caso, per gli anni più recenti abbiamo misurazioni precise mentre, per l’inizio del XX° secolo, dobbiamo basarci su stime, noi utilizzeremo quella di Kremer2.

Riassumiamo ora i dati per gli anni: 1900, 1950, 2000.

Anno Popolazione (in miliardi) GDP (in miliardi di $ 1990) CO2
1900 1.625 1103 294
1950 2.516 4082 319.9
2000 6.272 41017 385

E’ chiaro che il tasso di crescita del PIL mondiale sia immensamente più alto del tasso di crescita della concentrazione di CO2 in atmosfera. La ricchezza prodotta è cresciuta di circa 40 volte nell’arco di un secolo, mentre la CO2 è cresciuta quasi un terzo. In questo ragionamento inseriamo anche la temperatura che nel corso del XX° secolo è aumentata di 0.7°C circa.

Fatti salvi i dati (va segnalato che le stime possono differire anche di molto, sebbene gli ordini di grandezza rimangano pressochè inalterati), procediamo con qualche considerazione. E’ legittimo legare l’aumento della CO2 all’attività umana (quanta parte o se sia proprio così lo rimandiamo agli innumerevoli dibattiti in corso).

Nei semplici termini di una analisi costi-benefici, quindi, abbiamo che un aumento lieve nella concentrazione di CO2 (imputiamola pure tutta all’uomo) e un lieve aumento di temperatura (imputiamo anche questo all’uomo) sono (sarebbero) stati causati da un aumento enorme nella ricchezza complessiva del mondo (non riportiamo i dati, ma chiaramente anche il PIL pro capite è aumentato, sebbene solo di un fattore pari a circa 9). Quindi all’interno di questo scenario sarebbe assolutamente auspicabile procedere su questa strada (aumento del PIL mondiale, a fronte di lievi incrementi nelle temperature), piuttosto che smantellarlo per affrontare gli immani costi (circa il 5% del totale) della mitigazione del riscaldamento globale. In sostanza un Business As Usual.

Un approccio prettamente economico, tuttavia, non ci esime dal porci una serie di dubbi. Ammesso che sia possibile correlare il PIL alle temperature (ovviamente tramite i feedback dell’anidride carbonica), le domande che ci poniamo sono:

  1. come mai, a fronte di un aumento vertiginoso del PIL, sia la CO2 sia le temperature sono aumentate solo lievemente?
  2. è effettivamente possibile legare l’attività umana (qui riassunta dall’indicatore PIL) al fenomeno del riscaldamento globale?
  3. se la 2) fosse vera, su cosa dovremmo basare le scelte di mitigazione: sulla riduzione del PIL mondiale, che causerebbe una riduzione di emissioni di CO2? Oppure su un ragionamento costi/benefici proiettato nel lungo termine?

Alcune considerazioni su queste domande.

Per quanto riguarda la prima domanda, c’è da fare un ragionamento più ampio, possiamo addirittura affermare che si tratti della “madre” di tutte le domande. Le risposte sono molteplici ma, fondamentalmente, il nostro ragionamento ci porta a dire che:

  1. le temperature sono completamente slegate dall’attività umana;
  2. oppure, le temperature sono parzialmente legate all’attività umana e stanno già esplicitando il potenziale massimo. In questo caso vi sarebbe un aspetto di difficile comprensione: le basse emissioni di inizio secolo, terminate nelle più alte emissioni di fine secolo, hanno apportato solo un lieve aumento, in proporzione, nelle temperature medie globali. Ciò significherebbe che l’attività umana si è inserita all’interno di un più ampio fenomeno naturale di aumento delle temperature;
  3. oppure ancora, le temperature sono parzialmente/totalmente legate all’attività umana ma non stanno ancora esplicitando tutto il potenziale. Ovvero siamo in presenza di un lag governato da leggi fisiche non ancora ben interpretate, ovvero ancora vi è qualche feedback negativo (magari anche di natura antropica) che sta nascondendo il potenziale effettivo del Global warming.

In quest’ultimo caso, in presenza di uno scenario BAS (Business As Usual), dovremmo aspettarci prima o poi un picco improvviso nell’aumento delle temperature. Nel secondo caso, come abbiamo detto, l’attività umana si inserisce in un contesto fenomenologico naturale, di natura dinamica e complessa: questo per cui non esclude un comportamento caotico del sistema nel breve periodo. Tale perturbazione viene però “assorbita” dal sistema. Per concludere questo secondo ragionamento sarebbe importantissimo conoscere quali livelli di energia occorrono per alterare definitivamente il sistema nel suo complesso. Gli studi sulla sensibilità del clima terrestre si muovono in questa direzione.

Passiamo brevemente alla domanda 3: tutt’altro che banale. La recente e tutt’ora in corso crisi economica mondiale ci ha fornito uno strumento molto interessante per misurare effettivamente il legame tra PIL ed emissioni antropiche. E’ stato misurato3, ad esempio, che la riduzione del PIL occorsa in Inghilterra, pari al 3.5% abbia portato ad una riduzione del 3.15% delle emissioni antropiche. In questo momento, di conseguenza, è un fiorire di teorie che vorrebbero intraprendere una decrescita complessiva e sostanziale dei nostri sistemi economici (il target oscilla tra l’1% e il 5% in meno del PIL globale). Meno attività umana, meno emissioni antropiche. Meno ricchezza, ma avremo salvato il mondo. Vi è poi l’altra strada, ovvero quella di intraprendere attivamente azioni volte alla mitigazione (riduzione delle emissioni tramite nuove tecnologie e nuove energie pulite). Questa via, intrapresa dai maggiori Panel intergovernativi, è onerosa e porta anch’essa ad una riduzione complessiva della ricchezza (chiaramente attraverso meccanismi diversi dal caso precedente). I sostenitori di questa opzione sostengono che, in ogni caso, lo squilibrio tra costi e benefici verrà superato a favore di questi ultimi verso la fine di questo secolo, ovverosia la mitigazione sarà sì un costo per l’umanità intera per non meno di 50/60 anni, ma al termine di questo percorso avremo soltanto benefici che addirittura porteranno ad un aumento del PIL pro capite mondiale.

Prossimamente cercheremo di capire cosa significhi ridurre la ricchezza globale di una quantità compresa tra l’1 e il 5%.

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  1. http://earthtrends.wri.org/searchable_db/results.php?years=1903-1903&variable_ID=82&theme=3&cID=&ccID=0 []
  2. http://www.ier.hit-u.ac.jp/~kitamura/data/Source/WorldPopulationData.xls []
  3. http://www.insurancejournal.com/news/international/2009/04/27/99953.htm []
Published inAmbienteAttualitàEconomia

19 Comments

  1. Luca Galati

    Quindi è sbagliato dire che se il PIL è alto non conviene intervenire: con la Mitigazione si potrebbe ottenere un PIL netto ancora maggiore…

    • I sostenitori dell’AGW sostengono questa tesi che ovviamente non è da rigettare in toto o a priori. Il vero problema è la stima dei costi che si basa sulla stima delle temperature. Un po’ poco.

  2. Luca Galati

    Se i danni superano i costi allora certamente conviene intervenire con la Mitigazione la quale consentirebbe di avere anche un PIL netto più elevato per le minor spese ambientali sostenute…
    Il problema allora è stimare in maniera il più possibile accurata i danni…

  3. Luca Galati

    Però giustamente lei fa il confronto con la temperatura ovvero i presunti effetti dall’aumento di Co2 e i grafici continuano a non tornano: quindi converrebbe continuare a produrre e fregarsene dei danni del GW…boh…anche se in realtà l’analisi costi-benefici si fa sui costi per la mitigazione e i danni evitati, non sui profitti totali (PIL) o almeno appaiono due modi diversi per fare tale analisi…io propendo per la prima…

  4. Luca Galati

    Comunque tornando al post, efficienza o meno, dovrebbe più realisticamente confrontare PIL ed emissioni di Co2, non concentrazione di Co2 in atmosfera che è invece il risultato del bilancio emissioni-assorbimento…troverà che anche le emissioni sono cresciute in maniera più che proporzionale nel tempo approssimativamente diciamo in maniera quadratica o anche più…dunque tutto potrebbe tornare…

    • Questo è un costo opportunità (ne abbiamo parlato nell’altro articolo “Solo il 5%”). Chiedo scusa, questa risposta è per il commento successivo di Galati, non capisco perchè il sistema me l’abbia “agganciata” al commento sbagliato).

  5. Galati, non ho capito a quali citazioni faccia riferimento.

    La terziarizzazione dell’economia è letteratura economica da almeno 40 anni: è stato dimostrato avere impatti su qualsiasi fronte. Personalmente metto in ordine decrescente di importanza: sistema sociale, sistema economico, ambiente, impatti residuali.

    In questo senso si parla di impatti. Vero è che l’industrializzazione dei paesi del terzo mondo ha problemi diversi dal controllare le emissioni gassose, dall’avere una certificazione 46/90, o una 81/08 (già 626/94) o chissà quale altra UNI EN ISO…

    Il nodo del dibattito sta tutto qui. Se da un lato le certificazioni citate (solo per elencarne la minima parte) garantiscono livelli qualitativi e di sicurezza davvero moderni e occidentali, è anche vero che si traducono il 99% in costi aggiuntivi che erodono la competitività dei prodotti. Immaginiamoci il significato di questa erosione di margini per un paese in via di sviluppo. La famiglia delle ISO 14000 per esempio potrebbe essere un ottimo punto di partenza (per un dialogo), ed in effetti molto si sta già facendo.

    Ecco perchè da questa parte del mondo al crescere del prodotto interno è diminuita in proporzione la quantità emessa di CO2.

  6. Luca Galati

    Qui si sta parlando di impatto della terzializzazione sull’ambiente fisico non sul sistema socio-economico.
    Che impatto avtrebbe sul sistema socio-economico: sfavorirebbe la crescita?

    Se ha qualche link da proporre sulle sue citazioni lo faccia altrimenti sa bene che nessuno può andare a rintracciare facilmente quello a cui si riferisce; anzi se vorrà esporlo in maniera sintetica e chiara sarà certamente apprezzato da tutti visto che fa parte della risposta a una critica al suo post, quindi perfettamente in tema.

  7. Immagina bene Galati, l’ho detto esplicitamente qui: http://www.climatemonitor.it/?p=3237&cpage=1#comment-3594

    Sulla terziarizzazione dell’economia porrei (e lo pone pure l’economia stessa) qualcosa di più di un semplice allarme. Avrà pure zero emissioni, ma non ha zero impatto sul sistema socio-economico.

    In ultimo, prima di parlare di efficienza e sviluppo la invito a leggere il Christaller (per una idea di base) e poi procedere con la teoria dei distretti (sviluppo endogeno ed esogeno), le consiglio di partire dallo Schumpeter. Poi, potremo cominciare a parlare di efficienza, centralizzazione o delocalizzazione.

  8. Luca Galati

    Immagino che esistano anche modi di produrre grandi ricchezze con basse emissioni di Co2: si chiama ‘efficienza produttiva’ e questo giustificherebbe la diversa pendenza del grafico del PIL e del grafico della CO2:
    basti pensare al miglioramento di efficenza nei trasporti o in catena produttiva dovuto a miglioramenti tecnologici ovvero a idee nuove; le stesse città possono essere viste agglomerati più efficienti e produttive rispetto a centri minori…
    Poi si sa l’economia è ‘innovazione’ quindi certe idee hanno grande valore e magari anche zero emissioni, basti pensare a tutto ciò che è immateriale come un ‘software’ e via dicendo…

    Dimentica poi che la Co2 può essere assorbita da oceani e foreste mentre il PIL no e dimentica pure la non-linearità tra aumento di concentrazione di Co2 e aumento di temperatura (curva logaritmica) come ci viene riferito all’università…
    Insomma la non-linearità gioca sempre un ruolo fondamentale…

  9. Ivan 72

    Ciao Claudio, ben trovato.

    Gran bell’articolo, sono pienamente d’accordo con te, sai come la penso, un pò ne abbiamo già parlato in pizzeria la volta scorsa.

    Per quanto riguarda le temperature, ok ad un aumento legato al fattore antropico parlando di cemento ed isole di calore urbane, ma sul globale, o meglio in fatto di GW ed in particolare sul clima, l’aumento termico nella stragrande maggioranza è per cause naturali con il principale responsabile meglio noto come Sole.

    Sul discorso economico noto come sia sproporzionato l’aumento del Pil rispetto all’aumento di CO2 e di temperatura, certo che con le cosiddette energie pulite il Pil aumenterebbe, i costi sono esagerati al momento, superiori nettamente a quelli del petrolio, ma chi ci guadagnerà? Non credo le famiglie che non arrivano alla fine del mese, ne tanto meno coloro che nei Paesi del terzo mondo ed anche quarto mondo campano con meno di 1$ al giorno, anche se il problema inquinamento riguarda soprattutto i Paesi sviluppati ed industrializzati, però il pianeta sarà salvo. Ma sarà salvo da che cosa??? L’essere umano sul clima del nostro pianeta influisce in una percentuale bassa e non è né il primo, né il secondo fattore responsabile (senza negare inquinamento e GW, è evedidente che in l’uomo qualcosina c’entra, ma una visione catastrofista fa solo gli interessi di qualcuno, ovviamente a livello economico).

    P.s. : ma su questo sito, le faccine dove si trovano?

  10. Sergio Musmeci (Copernicus64)

    @Claudio,
    lieto di sapere queste notizie da te che sei un economista. Speriamo che le buone intenzioni divengano presto realtà perchè ce nè urgente bisogno. L’approccio olistico (anche se il termine non è ben definibile e si presta facilmente a interpretazioni pressappochiste) è auspicabile anche in altri campi dove l’approccio riduzionista risulta per lo più una forzatura. Forse la stessa cosa si potrebbe dire per lo studio del clima o quanto meno i due approcci dovrebbero sempre convivire in una scenza complessa come quella del clima, per lo più non riducibile alle singole parti.

  11. P.

    dobbiamo crescere in maniera totalmente sostenibile, non in parte; è assurdo danneggiare in questo modo casa propria!

  12. @ Achab

    Intanto la ringrazio per il commento interessante. Tuttavia preciso che io non deduco un solo scenario, bensì cerco di presentare un ventaglio di possibilità. Quella di cui lei parla,

    GDP -> CO2/GDP -> CO2 -> temperatura -> costo economico/temperatura

    è in buona sostanza quello di cui parlo nell’ultimo capoverso. Sicuramente il rapporto GDP/CO2 è molto interessante, e devo ammettere non ne ho volutamente parlato in questo articolo per non mettere troppa carne al fuoco, mi ero anzi tenuto il grafico per l’articolo successivo. Il fatto che a fronte di un PIL in crescita, la CO2 si riduca può voler dire molte cose, indubbiamente, in particolare vuol dire che la tecnologia migliora. Ne parleremo presto.

    @ Sergio

    Come ho detto in altri lidi, l’uso del PIL in questa sede è del tutto convenzionale. Lungi da me volerlo presentare come indice taumaturgico. Vero è che creare un indice aggregato e farlo diventare standard valutativo non è semplice, ma gli economisti ci stanno lavorando alacremente. Nel frattempo tocca tenerci il PIL, figlio sicuramente dell’epoca in cui è stato partorito. Come detto altrove su Climate Monitor, anche per l’economia si sta adottando un approccio olistico, non so se ne parleremo qui su CM perchè è materia molto diversa dagli argomenti abituali che trattiamo.

  13. Sergio Musmeci (Copernicus64)

    Ottimizzare il sistema economico e sociale e l’utilizzazione delle risorse dovrebbe far piombar giù il PIL (e con esso gli sprechi, l’inquinamento e la produzione di cose inutili). Prego tutti gli economisti (compreso l’ottimo Claudio) di inventarsi quanto prima un altro indice più corretto dal punto di vista etico e di ricchezza effettiva prodotta e meno devastante di questo!

    Fatta questa premessa, quello che andrebbe soppesato in una analisi di questo tipo dovrebbe essere il tasso di incremento della co2. Quello sta aumentando sempre se non erro. E’ quello che penso correli abbastanza bene alla “ricchezza” prodotta. Forse la relazione potrebbe essere logaritmica e non lineare dovuta al fatto che il sistema ha una certa capacità di accumulo e un suo turnover.

  14. Achab

    @Gravina

    Lei ha utilizzato la logica GDP -> CO2 -> temperatura e deduce, se non erro, che dato che il GDP aumenta “molto” e la temperatura “poco”, non conviene intervenire.
    A me sembra che, sempre restando in ambito economico, mancano due passaggi essenziali; uno nel passaggio da gdp a CO2 e l’altro in coda:
    GDP -> CO2/GDP -> CO2 -> temperatura -> costo economico/temperatura

    La prima aggiunta è essenziale per legare la ricchezza prodotta alla concentrazione di CO2. Guardando i dati si può facilmente notare che il rapporto CO2/GDP è in netto declino da un secolo, con una accelerazione da circa il 1975. Diverso il rapporto fra CO2 e GDP/capita, in aumento fino al 1975 ma anch’esso in netto declino da lì in poi. Ciò chiaramente indica che è possibile produrre la stessa ricchezza, con meno emissioni di CO2. E il tutto senza bisogno di chiamare in causa alcuna fonte di energia alternativa.
    A questo va aggiunto il forte aumento della popolazione mondiale in quel periodo, aumento che sta già rallentando ed è previsto che rallenti ulteriormente.

    L’ultimo step aggiunto è anch’esso essenziale. Senza di questo, e sempre restando in campo esclusivamente economico, non è possibile rispondere alle domande sul da farsi.

  15. […] Anthropogenic forcings A proposito di forcing antropici, un contributo: Anidride carbonica e prodotto interno lordo | Climate Monitor […]

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