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Se la mazza da hockey diventa un panettone

Questo articolo, è uscito nel giugno scorso sul Giornale del Popolo, il quotidiano della Svizzera Italiana. la versione originale la trovate in pdf qui e qui.

 

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L’hockey Stick, appunto mazza da hockey, lunga e piatta ma con una estremità che s’impenna verso l’alto, è l’emblema del riscaldamento globale. Forse sarebbe meglio dire lo è stata, perché dopo essere assurta agli onori della cronaca nel 3° Report dell’IPCC del 2001 e dopo aver subito una rivisitazione nel report successivo del 2007, la ricerca che aveva prodotto il grafico di ricostruzione delle temperature dell’ultimo millennio è stata soggetta a critiche piuttosto pesanti, al punto di minarne seriamente l’attendibilità. Questa però, è ormai storia vecchia in materia di clima e di dibattito sulle origini delle sue più recenti dinamiche, perché, nel frattempo, più specificatamente a partire dal 1998, il trend delle temperature medie superficiali del pianeta ha cessato di essere statisticamente significativo. La pendenza della curva, cioè, pur calcolabile e ancora lievemente positiva, rientra nella fascia d’errore della stima. Traduciamo per i non addetti: la temperatura media del pianeta ha smesso di aumentare.

 

 

Quindici anni non sono pochi. Certo, sono appena la metà di un trentennio, ovvero della lunghezza minima lungo la quale si è soliti valutare le dinamiche del clima, ma è un fatto che questi ultimi quindici anni sono stati molto diversi dai venti che li hanno preceduti, in cui le temperature sono salite in modo considerevole e in cui abbiamo assistito alla contestuale ascesa del “problema global warming”. Ma c’è un altro fatto importante di cui occorre tener conto, nel lasso di tempo che copre entrambi i periodi, l’anidride carbonica emessa dagli uomini, ritenuta essere il principale driver climatico dei tempi recenti, non ha mai smesso di aumentare. Sicché, se in presenza di un’azione antropica crescente, il sistema si è comportato diversamente, c’è da porsi parecchi quesiti.

 

Siamo in presenza di un rinnovato protagonismo della variabilità naturale? Il calore in eccesso piuttosto che in atmosfera è finito altrove, nella fattispecie nelle profondità oceaniche? Sono nel frattempo intervenuti altri fattori di forcing ad esercitare un’azione di contenimento del riscaldamento? Il sistema è meno sensibile all’azione antropica di quanto si riteneva che fosse? Legittime domande cui la comunità scientifica sta cercando una risposta, non senza aver faticato parecchio tuttavia ad assorbire la cruda realtà di essere di fronte a qualcosa di inatteso. La temperatura media superficiale, infatti, avrebbe dovuto continuare ad aumentare, almeno così ci era sembrato di capire dalle simulazioni climatiche, anch’esse, ovviamente, in evidente deficit di attendibilità.

 

Dicevamo le domande, vediamole una per una. La prima e l’ultima sono due aspetti dello stesso problema. Un sistema come quello climatico, per quanto complesso e caotico, ha i suoi meccanismi di funzionamento che, se alterati, devono rispondere in qualche modo. Nella fattispecie, all’aumento della concentrazione di gas serra ed all’azione di tanti altri forcing antropici, tra cui senza dubbio spicca la modifica dei suoli indotta dall’urbanizzazione, dall’agricoltura etc etc, corrisponde un aumento della temperatura, questo è assodato. A quanto ammonti questo aumento però è tutt’altro che certo. Fissando dei paletti, che la natura non conosce ma che per noi sono indispensabili, si è deciso di provare a definire di quanto aumenterebbe la temperatura a fronte di un raddoppio della concentrazione di CO2 rispetto al periodo pre-industriale. Questa quantità si definisce sensibilità climatica. Ebbene, tutti, ma proprio tutti i modelli climatici impiegati per ipotizzare il clima del futuro sono tarati secondo una sensibilità climatica piuttosto elevata, tanta CO2=tanto caldo in più, perché stando a quanto accaduto nelle due ultime decadi del secolo scorso, questa sembrava essere la relazione. Poi, come detto, è accaduto qualcosa di inatteso e, cerca, studia, misura, analizza, hanno cominciato a proliferare sulle riviste scientifiche lavori che abbassano e non di poco la sensibilità del sistema. In poche parole, almeno con riferimento a questo aspetto del problema, la ricerca si è adeguata all’evidenza, in modo molto simile a quanto accaduto nelle due decadi precedenti. In termini di policy questa differenza non è banale. Che ci crediate o no, qualcuno ha pensato di stabilire per editto che la temperatura media del pianeta non debba aumentare più di 2°C rispetto al periodo pre-industriale, sicché, un sistema meno sensibile, ovvero un riscaldamento inferiore, concederebbero più tempo all’implementazione di eventuali azioni di mitigazione, cioè, per esempio, di riduzione delle emissioni.

 

Ma c’è la seconda domanda, il calore scaturito dall’alterazione del bilancio energetico, potrebbe essere finito in fondo all’oceano, trasportato lì dalle complesse dinamiche di scambio dell’energia di cui è appunto protagonista la massa liquida, che per inciso è quella che fa la maggior parte del lavoro. Alcuni scienziati sono convinti che le cose stiano effettivamente così, ma i dati di cui si dispone circa il comportamento degli oceani, se in superficie hanno iniziato ad essere soddisfacenti da qualche anno, in profondità ancora non lo sono affatto. Decisamente troppo poco per trasformare l’ipotesi in una tesi. Senza considerare che, seppur in modo meno evidente, anche il contenuto di calore degli oceani ha rallentato non poco la sua corsa, palesando un altro comportamento inatteso, cioè non previsto da quei sistemi che tutto dovrebbero prevedere.

 

E poi la terza. Il fattore di forcing che potrebbe aver agito in senso opposto al riscaldamento sono gli aerosol, cioè tutte le polveri di residuato di combustione da noi prodotte. Se per esempio nel secondo dopoguerra, altro periodo in cui CO2 e temperature andavano in direzioni opposte, su la prima e giù le seconde, sarebbe stato l’occidente a produrre grandi quantità di aerosol e quindi a limitare l’azione della crescente CO2, il successivo l’intervento di regolamentazioni piuttosto severe e conseguente pulizia dell’aria avrebbe dato il via libera al riscaldamento. Dopo ancora, e siamo ad oggi, cioè alla battuta d’arresto del riscaldamento, il lavoro “sporco” lo starebbero facendo le economie emergenti. Il discorso fila in termini dinamici, benché sul ruolo degli aerosol ci sia molto ancora da capire, fila molto meno in termini di scala. Perché un riscaldamento globale il cui forcing è ben distribuito mal si sposa con un fattore limitante molto regionale. C’è però un altro ospite inatteso alla festa. Il Sole, unica fonte di energia di tutto il sistema, dopo aver attraversato un lungo periodo di intensa attività, si è recentemente preso una pausa di riflessione. Intendiamoci, la radiazione solare totale, l’unico parametro preso in considerazione dalle simulazioni climatiche, ha variato poco o punto la sua intensità. Quella che è venuta meno, a partire dall’inizio dell’ultimo ciclo solare è l’intensità della sua attività magnetica. Sin qui nessuno è riuscito a spiegare il perché, al punto che molti fanno finta che non sia vero, ma la storia insegna che quando il Sole si riposa il pianeta si adegua raffreddandosi un pochino. E, come detto, in questo caso il punto non è solo quanto, ma anche come.

 

Sicché, sebbene sembrasse che l’ipotesi delle origini del riscaldamento globale fosse ormai consolidata e l’azione imminente, le dinamiche recenti stanno facendo venire qualche dubbio. Fino a poco tempo fa, il dubbio in questi ambiti era materia da eretici, ove non da malversati al soldo dei potentati petroliferi che chiaramente da una riduzione delle emissioni avrebbero molto da perdere e nulla da guadagnare. Eretici che si consultavano timidamente solo sui blog, pur avendo magari credenziali scientifiche in piena regola. Oggi se ne discute molto più apertamente, complice anche una contingenza economica molto sfavorevole in cui gli stati prima di salvare un clima il cui rischio è dubbio, hanno il problema di far mettere insieme il pranzo con la cena ai loro cittadini. E complice anche un’equilibrio delle forze sempre più spostato a est, ovvero verso paesi che non hanno nessuna intenzione di rallentare la loro crescita per adeguarsi alle costose policy climatiche per esempio europee. E se ne discute sulle pagine di veri e propri termometri dell’orientamento, come il New York Times, il Financial Times e il Washington Post, a volte, sebbene timidamente ripresi anche dai nostri media.

 

Insomma, prevedere è difficile, soprattutto il futuro. C’è da stupirsi semmai come si sia potuto dare per scontato che fosse diventato facile. Se non altro, questi sviluppi “inattesi”, hanno il pregio di aver restituito il dubbio alla scienza del clima, un ingrediente di cui è meglio non fare a meno se non si vuol cucinare un piatto indigesto.

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Published inAttualità

11 Comments

  1. Carlo

    Grazie a lei Guidi per quanto porta avanti con questo sito. Continui così!

  2. Due cose. Prima un commento a giovanni p. Non credo che il “profitto” sia la radice del male: è da parecchio tempo che la scienza è diventata un’attività sofisticata e costosa, da qui l’incrocio con il denaro. E’ che, come altre attività umane (politica, amministrazione della giustizia, eccetera) è governata da regole che non si applicano da sole, ma richiedono intervento umano. Manca l’etica di chi le applica, si è perso il senso della separazione tra interesse personale e interesse collettivo. Questa cosa è un segno dei nostri tempi, dovuta a uno scadimento generale delle qualità delle persone e coinvolge tutte le attività umane: non me ne viente in mente nessuna organizzazione che sia esente da questa malattia. Quando dico “interesse” certo ci sono anche i soldi, ma non solo: c’è chi lo fa per vanagloria, chi per fanatismo, ci sono mille motivi.

    Seconda cosa. A dimostrare quanto è diventato surreale il dibattito, leggetevi questo articolo [1]. Da un lato contestatori che si arrampicano su approcci dialettici veramente improbabili, dall’altro sostenitori che hanno la faccia tosta di sostenere che tutti gli studi recenti hanno confermato il lavoro di Mann sull’hockeystick. Nel frattempo, ci guadagnano gli avvocati.

    [1] http://arstechnica.com/science/2013/07/hockey-stick-graph-climate-researchers-defamation-suit-to-go-forward/

    • E scusate la grammatica, ma sto andando a dormire…

  3. Carlo

    Questa non si può nemmeno chiamare scienza, al più parascienza, diciamo che siamo molto vicini all’astrologia e alla cartomanzia. Siamo in balia di tre-quattro pseudo scienziati che vengono interpellati da giornali e tv per ogni evento che ci colpisce, dalla tromba d’aria all’ondata di calore, e lì, tutti e tre-quattro pronti a dire quello che potremmo sentire di fronte ad un bar, acquisendo così simpatia e autorevolezza solo per aver sostenuto un sentimento comune. E questo è per me di una tristezza inconsolabile….

    • Questa è la sintesi più compiuta che mi sia capitato di leggere. Grazie.
      gg

  4. Franco bacci

    Da ignorante e persona non addetta ai lavori, mi chiedo quanta credibilità’ e attendibilità’ abbia la comunità’ scientifica riguardo alla scienza del clima.
    Se a fatica, con riluttanza,sono costretti a scontrarsi con la realtà’ significa che oltre che scienziati sono anche partigiani di una determinata ideologia, oppure si vergognano di apparire in errore, cioè’ persone che possono sbagliare non avendo acquisito una adeguata conoscenza della complessità’ del clima terrestre.
    Quindi sono umani soggetti a sbagliare come tutti gli esseri umani nessuno escluso.
    Ma fin qui non ci sarebbe niente di male basterebbe ammettere ,da scienziati veri, di aver sbagliato.
    Comunque non è’ solo colpa loro ma anche dei media, delle varie ideologie che vorrebbero il mondo in un certo modo e combattono tutto ciò’ che contrasta questo loro modo di pensare.
    Se,ad esempio, si è’ andata affermando l’idea che i cambiamenti climatici sono dovuti all,opera Dell,uomo, occorre combattere chi la pensa in modo contrario , di conseguenza anche gli scienziati ne sono inevitabilmente condizionati.
    Adesso l’ultimo appiglio cui attaccarsi sono i fenomeni estremi….

    • Paolo da Genova

      Condivido. Comunque secondo me il problema è che la scienza è oggi assurta al rango di fede religiosa. Tuttavia, mentre la fede religiosa è per sua natura un “dono”, trascendente, la fede nella scienza è una “conquista”, immanente. Se già la fede religiosa si presta a essere tradita e snaturata, rendendola obbligatoria, quanto più si presta la fede nella scienza, che è cosa tutta umana!

    • giovanni p.

      Quello che forse non é chiaro a molti é che il mondo scientifico odierno é abbastanza simile ad un’azienda, voui per le modifiche fatte dagli accordi di Bologna che hanno messo davanti a tutto l’aspetto manageriale e del “profitto” vuoi per il sistema in cui viviamo. I centri di ricerca cercano soldi per finanziare le ricerche e pagare i ricercatori, i soldi vengono dati dalla politica dalla finanza e dall’economia su quegli argomenti che possono portare e profitto in ritorno. La monetizzazione di tutto questo avviene essenzialmente presentando progetti su temi “caldi”e pubblicando su riviste il piu possibile.
      Argomento che fa gola al finanziatore+tante pubblicazioni sull’argomento, magari anche un po dai risultati eclatanti = tanti soldini che arrivano. Questo é il sistema ridotto all’osso.
      Inoltre gira da tempo questa vignetta che illustra bene il metodo scientifico classico e quello attuale utilizzato in molti ambienti di ricerca.
      http://www.phdcomics.com/comics/archive.php?comicid=761 ( del 9/16/2006)
      http://www.pensee-unique.fr/methode.html

      Per me era una vignetta schezosa fino a quando non l’ho provata sulla mia pelle quando gli esperti mi hanno detta in maniera molto candida e convinta che la mia tesi aveva un’impostazione vecchia ( da anni 60-70) e che oggi si faceva diversamente, suggerendomi di mettere le conclusioni della mia tesi come ipotesi di lavoro e utilizzando i dati esposti come dimostrazione che la mia ipotesi era corretta. Per me é uno scandalo, peccato che vedendo le tesi dei miei colleghi mi sono accorto che i bravi ricercatori e dottorandi utilizzavano questo metodo, invece quelli vecchio stile come me erano destinati alla pattumiera.

  5. Maurizio Rovati

    Beh, occorrerà spiegarla bene a mister Obama questa faccenda che il CAGW si è preso una pausa, Lui pare convinto del contrario, per la precisione che negli ultimi 10 anni il riscaldamento ha accelerato…

    • Tranquillo che lo sa. Si gioca su due tavoli, uno per le opinioni in cui si riducono le emissioni, e l’altro per lo shale gas, che garantirà sostentamento energetico.
      gg

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