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Il calore che non c’è ma ci sarà

In attesa della prossima ondata di calore estiva – da notare che quella appena passata non è stata una heat wave vera e propria per durata ed estensione -, ci godiamo, si fa per dire, una visita del fronte polare alle medie latitudini a fine giugno. Non proprio un inizio di stagione promettente. Ad ogni modo, ci sta che già entro la prima decade del mese di luglio o giù di lì, qualcuno possa tornare a consultare le pagine dell’Inferno di Dante per celebrare l’ennesimo battesimo dell’anticiclone africano. Quest’ultimo, è probaile, sarà presto vittima di una crisi di identità, diversa da quella dell’anticiclone delle Azzorre che piuttosto sembra proprio aver smarrito la via di casa nostra.

 

Ma non è di questo calore che parliamo oggi, anche perché i nostri lettori sanno che l’attualità meteorologica frequenta davvero poco queste pagine. Parliamo, anzi, torniamo a parlare, del calore in eccesso atteso invano nel sistema climatico negli ultimi tre lustri.

 

 

E’ di recente pubblicazione un articolo sul GRL che affronta il tema ormai consolidato del rallentamento del rateo di aumento delle temperature medie superficiali del pianeta associandone l’occorrenza ad un aumento dell’efficienza della capacità di assorbimento del calore da parte degli oceani. Un tema molto caro ad alcuni illustri rappresentanti del mainstream scientifico sul clima, primo tra tutti Kevin Trenberth, autore di molti altri lavori sull’argomento. Il paper in questione è:

 

Strengthening of ocean heat uptake efficiency associated with the recent climate hiatus

 

Su the Blackboard, c’è un esaustivo commento al testo, che vi consiglio di scaricare in fretta in quanto solo temporaneamente accessibile.

 

Gli elementi salienti di questo alvoro sono parecchi. Innanzi tutto, diversamente da quanto ci è capitato di leggere sin qui e anche di recente, scopriamo che la fase di interruzione (hiatus) dell’aumento delle temperature globali, come altre fasi più o meno simili, sono sì un comportamento riscontrabile anche nelle simulazioni climatiche, ma solo in un numero molto limitato di queste ultime. Cioè, nei modelli, un periodo di dieci anni di assenza di riscaldamento – stanti i forcing positivi ai quali il sistema è soggetto sempre nei modelli – è un evento estremamente raro. Aggiungerei anche che non so, ma questa è una mia mancanza, se quelle poche simulazioni che prevedono questa possibilità al contempo fanno spuntare le margherite in Alaska. Oppure ancora, non so se magari siano proprio quelle con sensibilità climatica (quantità di aumento delle temperature al raddoppio della CO2) più bassa, che descrivono cioè un sistema in cui la variabilità naturale può avere un’ampiezza superiore di quella eventualmente indotta da forzanti esogene.

 

Nella fattispecie, la variabilità naturale con ruolo dominante in questo particolare frangente viene identificata nella PDO, oscillazione decadale del Pacifico, il cui segno si è invertito proprio all’inizio di questo secolo. Da questo deriverebbe inoltre l’accrescimento dell’efficienza degli oceani di acquisire calore. Ora, nelle simulazioni, l’efficienza di immagazzinare calore degli oceani era previsto che diminuisse. Se quelle simulazioni rappresentassero con una certa efficacia il sistema, secondo gli autori questo potrebbe spiegare il loro bias caldo, cioè la sovrastima del riscaldamento dell’atmosfera.

 

A mio modesto parere, qui inizia una sorta di ragionamento circolare. Se le simulazioni prevedono che l’efficienza degli oceani diminuisca, ed essa invece aumenta, questo non identifica solo un condizionamento dell’output delle temperature, ma una incapacità delle simulazioni stesse di riprodurre le dinamiche della gestione del calore del sistema. Nonostante ciò, si ritiene corretta la stima della futura diminuzione dell’efficienza degli oceani e si conclude quindi che questa debba in effetti prima o poi iniziare a diminuire, consentendo quindi all’atmosfera di tornare a scaldarsi, ovvero alle temperature medie superficiali di aumentare. Questo, naturalmente, se la somma dei forcing cui il sistema è soggetto è positiva, come nelle simulazioni, e se nel frattempo non intervengono altri fattori a cambiare le carte in tavola.

 

In definitiva, quello che si cerca di capire è perché, nonostante il forcing sia invariato, le temperature abbiano cessato di aumentare. Per spiegarlo, si conclude che non si sa per quale motivo la capacità degli oceani di assorbire calore è aumentata invece di diminuire, perché questo è quello che dovrebbe succedere. Ma anche le temperature doveano aumentare…

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Published inAttualitàClimatologia

3 Comments

  1. donato

    Ho letto l’articolo originale segnalato nel post di G. Guidi: http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/grl.50541/full
    .
    Come al solito 🙂 , dal punto di vista fisico-matematico, è un boccone difficile da digerire, ma, sostanzialmente, mi sento di condividere parte delle considerazioni svolte da G. Guidi nel suo post.
    Alcuni temi dell’articolo, però, meritano, secondo me, qualche ulteriore considerazione.
    Gli autori partono dalla constatazione che i modelli non hanno previsto che l’aumento delle temperature potesse subire una stasi e cercano di darne una spiegazione. Il punto di partenza di tutto il loro ragionamento è nell’equilibrio del bilancio radiativo terrestre e nel valore che assume la radiazione emessa al livello della TOA.
    Molti dei lettori di CM storceranno il naso sentendo parlare di TOA, però, questo è il punto di partenza degli autori: se si vuole seguire il loro ragionamento bisogna farsene una ragione 🙂 . Ebbene, assumendo per la radiazione TOA un valore di 0,66 W/m2 di segno positivo (verso il basso) concordemente con quanto stimato da Hansen et al., 2011, essi non riescono a simulare il mancato aumento delle temperature atmosferiche nel periodo 2001-2012 e lo stesso risultato (mancata simulazione dello iato) ottengono utilizzando valori diversi per la radiazione TOA (quello dei modelli e quello di CERES oltre a quello di Hansen) per cui deducono che la simulazione dello iato è indipendente dalla radiazione TOA e, quindi, in buona sostanza, dalla CO2.
    Questa, a parer mio, è un’ottima notizia perchè rappresenta una notevole incrinatura nel rapporto di causalità GW-CO2.
    Gli autori, però, vanno oltre e cercano di individuare un meccanismo che renda conto della stasi nelle temperature. Incrociando i dati delle temperature atmosferiche con quelli delle temperature superficiali dei mari (SST) notano che esiste una buona correlazione tra i due set di dati. In particolare tra le SST del Pacifico e le temperature atmosferiche. In altri termini la PDO potrebbe rappresentare una spiegazione fisica del mancato aumento delle temperature atmosferiche (come ci dice anche G. Guidi).
    Questo aspetto dell’articolo, però, mi è parso particolarmente interessante e, secondo me, merita qualche attenzione in più perché consente di capire come può essere modellata l’azione dei mari nel determinare la temperatura dell’atmosfera.
    .
    Confrontando le SST osservate e quelle previste dai modelli, gli autori, mediante delle curve di regressione lineare ottenute applicando il principio dei minimi quadrati, sono riusciti a correggere alcuni dei parametri utilizzati nei modelli e, quindi, ad ottenere una buona simulazione del comportamento delle SST. Successivamente hanno corretto i modelli in quella parte che simula l’andamento del contenuto di calore degli oceani ottenendo output che riducono quello contenuto nello strato 0-300 m ed aumentano quello contenuto nello strato 300-1500 m.
    Schematizzando con un’equazione di natura empirica gli scambi termici negli oceani (ipotizzati come due strati a temperatura diversa separati da una superficie ideale), ed accoppiando tale modello con alcuni GCM, essi sono riusciti ad ottenere un modello che consente di aumentare la capacità dei mari di immagazzinare calore “k” all’aumentare della radiazione TOA, ovvero un modello che è in grado di supportare lo iato di temperatura sperimentato nell’ultimo decennio e passa. Tutto ciò determina un aumento delle SST equatoriali ed una diminuzione di quelle tropicali: proprio come è avvenuto nella realtà.
    Il modello così creato, pur senza fornire una ragionevole motivazione fisica del fenomeno, spiega la stasi nelle temperature atmosferiche, però, contraddice, le previsioni a lungo termine dei modelli (riscaldamento ad oltranza) per cui, ad un certo punto, deve invertirsi: la capacità di immagazzinare calore da parte degli oceani deve diminuire in modo da consentire un riscaldamento dell’atmosfera.
    Questo meccanismo oscillante, pur senza conoscerne le cause, potrebbe essere in grado di spiegare le ciclicità del sistema oceani-terre-atmosfera nella redistribuzione del calore immagazzinato e, da un certo punto di vista (ingegneristico, direbbe l’amico geologo g. pascoli 🙂 ) è piuttosto intrigante. Se fosse reale rappresenterebbe un bel passo in avanti nella comprensione delle dinamiche climatiche e, onestamente, credo che possa avere un futuro.
    .
    Fino a qui gli aspetti di rilievo dell’articolo. Poi, secondo me, arriva il pedaggio che bisogna pagare alla linea di pensiero dominante. Il problema comincia a sorgere nell’istante in cui andiamo a indagare cosa rappresenti il “k” calcolato dagli autori. Secondo loro il meccanismo (ingegnoso, ad onor del vero) potrebbe schematizzare un processo naturale da sempre all’opera. Un “k” che varia in risposta a cause naturali ed imprevedibili, però, metterebbe in crisi i GCM che richiedono un “k” in diminuzione per rispondere in modo deterministico a forzanti antropiche che determinano il cambiamento climatico, quindi ….., ad un certo punto “k” dovrà cominciare a diminuire. E con questo mi riallaccio al discorso circolare di cui al post di G. Guidi.
    Riassumendo: un lavoro che mi è piaciuto perché individua meccanismi (almeno dal punto di vista matematico) che consentono di descrivere meglio quanto sta accadendo intorno a noi e che si sgancia da alcuni aspetti controversi della questione climatica (pur con grande cautela e circospezione) e che presenta molte luci e purtroppo, qualche ombra. Del resto il mainstream richiede un prezzo 🙂
    Ciao, Donato.

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